22 aprile 2020
EMERGENZA SOCIALE A MILANO
Sono volontari e cittadini a tenere “in piedi” la città: è giusto?
22 aprile 2020
Sono volontari e cittadini a tenere “in piedi” la città: è giusto?
Abbiamo tutti vissuto, e stiamo ancora vivendo, momenti molto difficili, sia come individui, singoli e nel nucleo familiare, sia come professionisti, sia come cittadini. La nostra vita “di tutti giorni” è stata certamente sconvolta, mutate le abitudini, le esigenze e, con esse, i pensieri e le azioni quotidiane.
Si parla molto, in queste settimane, del ruolo fondamentale che ha avuto e sta avendo il personale sanitario, medici e infermieri, vero avamposto di progresso e di cura per la nostra società. Attori insostituibili di quella che è una vera e propria “emergenza sanitaria” che chissà per quanto tempo e con quali passaggi dovremo affrontare.
Ma, a parere di chi scrive, oltre a questa urgenza che ha condizionato le nostre ultime settimane, un’altra emergenza dovrà essere affrontata, in tempi molto stretti, pena ulteriori danni alle persone e alla nostra comunità. È l’emergenza sociale, in particolare in una grande città come Milano.
Ci sono migliaia di nuclei familiari, spesso con figli minori che sono chiusi da settimane in abitazioni sovente inidonee per una convivenza pacifica. Ci sono migliaia di genitori che, oltre alla cura quotidiana dei figli ed alla gestione domestica, sono da settimane senza lavoro, magari senza corrispettivo economico, con grandi preoccupazioni per il futuro proprio e della famiglia. Ci sono migliaia di anziani, spesso soli, magari autonomi economicamente con la propria pensione, ma impossibilitati a coltivare una semplice vita relazionale e con difficoltà nell’approvvigionamento quotidiano. Insomma, ci sono migliaia di problemi: non solo di emergenza sanitaria, ma di convivenza sociale.
Il Comune di Milano, lo sappiamo bene, ha un’indubbia tradizione di impulso ai servizi sociali pubblici, da decenni. Tuttavia, è anche storia nota che, soprattutto negli ultimi anni, le risorse destinate ai servizi sociali, in particolare quelli dislocati sul territorio, sono state drasticamente ridotte, con conseguenti forti disservizi nel funzionamento delle strutture. Occorrerà rivedere questa politica e sarà gioco forza ritenere le risorse ai servizi sociali una vera e propria priorità.
Milano ha una lunga storia di impegno civico solidaristico e, negli ultimi anni, il variegato mondo dell’associazionismo, sia laico sia religioso, ha sopperito in modo considerevole alle mancanze del pubblico. Basti pensare, senza fare nomi specifici che sarebbero ingiusti in quanto le realtà sono davvero moltissime, alla Caritas cittadina che, da anni, si fa carico di innumerevoli forme di povertà, materiale e non solo, con una organizzazione capillare e molto complessa. Anche in questi giorni di emergenza sanitaria Caritas si sta occupando, non senza difficoltà, di mantenere in funzione, pur con tutte le precauzioni, luoghi di consegna di cibo e di indumenti.
È bello, però, sapere che, a fianco di queste realtà che possiamo chiamare “istituzionali”, vi sono centinaia di associazioni, spesso piccole e legate a particolari quartieri o zone della città, che si fanno carico delle esigenze dei più fragili e bisognosi. Si è letto, proprio in questi giorni, di associazioni di quartiere che portano il cibo a domicilio ad anziani e persone malate, altre che si occupano di reperire strumenti informatici per i ragazzi che seguono la scuola a distanza, altre ancora che mettono a disposizione, attraverso volontari, momenti telefonici di compagnia e condivisione. Bellissimi esempi di una Milano che, anche in giorni complessi e chiusi in casa, “si dà da fare”.
Tuttavia, proprio per la straordinarietà di questo momento emergenziale e per la sua lunga durata nel tempo, non ci si può affidare esclusivamente alla buona volontà dei singoli e delle associazioni. Servono competenze specifiche, organizzazione e risorse.
Il Comune, quindi, a maggior ragione in una realtà complessa come la nostra metropoli, dovrà implementare l’organizzazione dei servizi sociali sul territorio, dando impulso alle strutture, nel caso assumendo nuovi professionisti e stanziando fondi. Ne va del benessere di tanti cittadini e, conseguentemente, dell’equilibrio della città. Solo così, come diceva il cardinale Tettamanzi, a lungo arcivescovo della città, “i diritti dei deboli non saranno diritti deboli”.
Ilaria Li Vigni
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