4 maggio 2021

IL PNRR MILIARDARIO INCONTRA UNA GOVERNANCE SBILANCIATA

Gli effetti della lettera Draghi-Trichet dieci anni dopo


Giusto un decennio fa Mario Draghi, nella celebre lettera firmata con Jean-Claude Trichet in occasione del cambio al vertice della BCE, tra le altre misure tese a contenere spesa e debito italici scriveva: “c’è l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province)”. Un vincolo inesorabile che tuttavia consentiva l’alternativa tra due esiti diversi.

ballabio

Abolire o svuotare gli enti intermedi avrebbe prodotto un inevitabile accentramento di poteri nelle Regioni, con il conseguente rischio di conflitto con lo Stato, come di fatto poi avvenuto. Fonderli avrebbe invece portato un loro relativo consolidamento, evitando o riducendo tale rischio.

L’esecuzione della perentoria prescrizione toccò al “governo tecnico” di Mario Monti, che varò un decreto-legge (5 novembre 2012, n. 188) che sposava la versione dell’accorpamento delle province, a cominciare da quelle nate per clonazione virale nel decennio precedente.

Pertanto queste si sarebbero quasi dimezzate di numero, e per quanto ci riguarda (art. 5) : “La Città metropolitana di Milano comprende altresì il territorio già appartenente alla Provincia di Monza e Brianza”. Inutile dire che l’intero decreto decadde alla vigilia della sua conversione in legge, insieme alla capitolazione dell’intero governo Monti!

Toccò al ministro Graziano Delrio rimetterci le mani, sotto la spinta dell’iniziale dinamismo renziano ed all’insegna della diffusa polemica verso il ceto politico allora additato come “casta”.

Ne sortì l’omonima legge (7 aprile 2014, n. 56) che riuscì ad abolire non le 107 province, tutte sopravvissute, bensì la loro elezione diretta. Inoltre a ben 14 di esse fu attribuita la gratuita denominazione di “città metropolitana” con il fatuo criterio spagnolesco del “todos caballeros”.

Il risultato si riscontra nell’attuale squilibrio del sistema di governo regionale e sub-regionale lombardo: da un lato il doppio gigantismo di Regione e Comune capoluogo, dall’altro la dispersione pletorica in piccoli e piccolissimi comuni (sostanzialmente non intaccata da fusioni “fai da te”). In mezzo province funzionalmente debilitate e prive di peso politico, di cui quella centrale privata persino dell’elezione indiretta del “sindaco metropolitano”!

Eppure è su questo mostriciattolo politico-istituzionale che il governo Draghi deve fare affidamento per mettere a frutto gran parte del PNRR miliardario, questa volta con il dovere di rendere conto all’autorità europea, per altro insieme all’impegno di operare adeguate “riforme”.

Ebbene, per restare nel nostro raggio d’azione, non sarebbe questa l’occasione per disegnare un assetto istituzionale ed amministrativo più logico e funzionale, basato su chiare e semplici linee guida? Proviamo a delinearne tre.

Primo. La Regione deve essere ricondotta alla condizione originaria, antecedente la modifica costituzionale del 2001, ovvero ente di alta programmazione e di legislazione specifica (concorrente nel senso del concorso non della concorrenza) rispetto a quella fondamentale statale. Pertanto senza funzioni amministrative dirette, a partire dalla materia sanitaria da restituire alla gestione territoriale.

Secondo. Quando si parla di Comuni non ha senso annoverare tanto il comune di Milano quanto quello di Maccastorna. La dimensione locale deve essere commensurabile, tanto mediante accorpamento obbligato dei piccoli e piccolissimi, quanto attraverso il decentramento della megalopoli per le funzioni di base quali i servizi alla persona e la cura del patrimonio pubblico.

Terzo. Il rinnovato interesse per la questione metropolitana non può prescindere da tre condizioni essenziali, come un tavolino che (salvo stravaganze da Salone del mobile!) non sta in piedi senza almeno tre gambe. Ovvero per titoli: la ricomposizione dell’area con il recupero della Brianza; l’elezione a suffragio universale degli organi politici; il trasferimento dal capoluogo alla nuova autentica Città delle competenze strategiche, speculare al suo decentramento verso autonomi Municipi delle funzioni non inscindibili.

O altro? Resta comunque l’obbligo, oggi che la “resilienza” alla pandemia ci rende più europei, di reggere il confronto con gli esempi collaudati di Barcellona, Lione, Francoforte e simili. Pertanto il presidente Draghi, tenendo fede “all’esigenza di un forte impegno”, chiarisca – ora che ne ha il potere ed il dovere – se il modello di governance metropolitano diffuso e consolidato nel resto d’Europa sia invece inimitabile e impraticabile in Italia, a cominciare da Milano.

Valentino Ballabio



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