4 marzo 2020

LETTERA AL DIRETTORE

Una risposta parziale


Caro direttore ci sono due cose nel tuo pezzo riflessione che non mi convincono e che temo ne indeboliscano la forza. La prima è tutta nell’uso che fai del concetto di “classe politica”, la seconda è la chiave interpretativa tutta psicologica o psicopatologica dei limiti della suddetta classe e cioè “il super ego inconscio e compulsivo, malattia che colpisce soprattutto gli uomini soli al comando”.

Se si considerano gli uomini che vivono di politica (direbbe Weber) o che svolgono funzione amministrative più o meno elettive un tutt’uno indifferenziato, separato e separabile dal resto della società, non si coglie la complessità del problema. Si è sempre qualcosa in relazione a qualcosa altro. Classe politica esiste rispetto a cosa? Classe sociale? Classe professionale o intellettuale? La cosiddetta società civile o meglio la società cosiddetta civile? Quali sono le interazioni? Le connessioni? Inutile lamentarne i limiti se non si colgono le ragioni di quella conformazione.

Quindi è davvero “solo” la classe politica ad avere limiti o questi sono nei luoghi di produzione di quelle culture e mentalità, nei meccanismi di selezione degli stessi? Davvero ci sarebbe un gruppo di cittadini saggi (l’epistocrazia di Jason Brennan in Contro la democrazia?) che troverebbe più facilmente e rapidamente le soluzioni più appropriate? A vedere il dibattito tra virologi ed epidemiologi non si direbbe proprio. Scarica le responsabilità su una indistinta classe “altra” mi pare un’autoassoluzione, un chiamarsi fuori o al massimo ritagliarsi il ruolo dei critici dall’esterno. Ma nessuno è un osservatore esterno alla società di cui è parte.

Secondo punto. Ma davvero il dialogo del collettivo dei saggi (non si sa bene come e da chi scelti e quindi con quale legittimità) potrebbe essere l’antidoto efficace alla velocità e complessità dei processi decisionali del nostro tempo? Davvero dialogare tra pari spogliandosi di interessi “altri” è possibile? E davvero questo dialogo porterebbe alla soluzione razionale (ottima)? La famosa razionalità dialogica? O non porterebbe necessariamente alla affermazione degli hooligan contro i vulcaniani (per rimanere ai concetti di Brennan)?

A mio parere non se ne esce se non si trovano meccanismi di decisione e di selezione dei decisori (istituzioni, leggi e regolamenti) più adatti al nostro tempo. Forme e procedure di decisione che arricchiscano la democrazia delegata rendendola più riflessiva e meno plebiscitaria. Per questo i riferimenti alla assemblea della polis sono quanto mai inutili se non dannosi perché producono inganni e illusioni. Ma soprattutto deprimono le competenze che invece la società sempre più complessa esalta. Ma, in politica e non solo in politica, ci vuole anche il necessario riconoscimento dell’innovatore e quindi dei leader che vanno caso mai domati e regolati ma non azzoppati appena emergono.

La leadership innovativa va coltivata e tutelata, i campioni vanno allevati. E i campioni escono dai tornei internazionali aperti tipo Wimbledon non dalle bocciofile dove a turno ogni socio anziano prima o poi vince. Questa nostra società ha bisogno di competizione e merito che valorizzi le competenze e i talenti (in tutti i campi). Bisogna pensare a come prendere decisioni tra discordi. E tra diversi livelli di interesse e conoscenze. Non illudersi di poter raggiungere sempre decisioni che mettono tutti d’accordo. Altrimenti sarà sempre un punto di incontro al ribasso. Qui a mio parere la costante esigenza di una riforma degli assetti istituzionali.

La complessità cresce e con essa la necessità di riconoscere la società contemporanea come una società plurale, animata sempre da penultime verità. Per questo il pluralismo (il riconoscimento della legittimità dell’altro punto di vista) non è una conquista della tolleranza ma una necessità imposta dalla complessità crescente. E i leader sono un semplificatore indispensabile di questa complessità dei quali credo che la società italiana – impantanata nel consociativismo emerso dall’impossibilita del ricambio e da una cultura di fondo corporativa e anti liberale (che ha generato corruzione e rendite di posizioni intollerabili) – abbia bisogno più di altre. Poi ci sono leader e leader, più che legittimo criticarne uno, il suo stile o meglio i suoi obiettivi e i suoi risultati, ma senza mettere in discussione la leadership in sé.

Con affetto e stima

Mario Rodriguez

 

Caro Rodriguez, su una cosa son completamente d’accordo con te: bisogna formare una nuova classe politica all’altezza dei problemi della società di oggi. Ma come fare?
Una volta questa funzione era svolta dai partiti ma “quei” partiti oggi non ci sono più e dunque la domanda è: chi potrebbe assolvere quel compito? Un dibattito tutto da aprire.
Quanto alla “classe politica” e ai suoi limiti basta sentir parlare moltissimi dei suoi esponenti per capire che non sono all’altezza dei compiti che l’architettura istituzionale assegna loro.
Quanto alla “assemblee della polis” oggi non è cosi. Molti cittadini per merito della rete si organizzano non solo per tutelare i loro interessi immediati (my backyard) ma per tutelare interessi generali in particolare nell’ambito dell’urbanistica e delle sue leggi.
Quanto al “super ego inconscio e compulsivo, malattia che colpisce soprattutto gli uomini soli al comando” devo farti dei nomi?

LBG



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  1. Marco CiprianoCarissimi, che piacere ritrovarvi ! Interessante dibattito , il tema è : può esistere una democrazia che non sia fondata sul sistema dei partiti ? Secondo la nostra Costituzione direi di no ! E quindi ? P.S. Se cercate su youtube a nome Marco Luigi Cipriano trovate il mio ultimo video messaggio datato 2010 quando ho smesso di essere un professionista della politica...
    11 marzo 2020 • 08:34Rispondi
    • Mario RodriguezCiao Marco, ci sono però sistemi di partito diversi e non a caso anche nella cosiddetta prima repubblica i partiti non erano tutti la stessa cosa. La Costituzione non definisce come debbano funzionare i partiti e su questo non s'é mai ragionato abbastanza passando dalla sottovalutazione alla idealizzazione (al disprezzo) senza mai entrare nel merito del come organizzarli e farli funzionare, ma soprattutto come farli contribuire alla efficacia delle istituzioni della rappresentanza. Buona quarantena!
      22 marzo 2020 • 20:24
  2. Cesare MocchiDibattito molto interessante, questione cruciale. Vorrei aggiungere un dettaglio, richiamare cioè l'attenzione su quella parte di classe dirigente che non sono né i politici, né gli intellettuali, né i cosiddetti poteri forti, ma che (grazie anche a vari sciagurati provvedimenti "anti-casta") sta prendendo ultimamente sempre più potere: i cosiddetti "civil servants", ovvero i dirigenti e i funzionari della pubblica amministrazione che spesso sono i veri estensori del provvedimenti che attribuiamo al Sindaco o al Presidente del Consiglio. Questi dirigenti in teoria vengono scelti mediante concorso (e quindi in modo competitivo e selettivo), ma in realtà (lo sappiamo tutti) spesso e volentieri sono cooptati dal sistema stesso, mediante ad esempio criteri restrittivi di accesso ai concorsi, commissioni compiacenti, prove orali discrezionali, ecc. (e quindi scelti alla fine in modo consociativo e autoreferenziale); in più, sono inamovibili. E quindi il sistema decisionale è intasato da personaggi spesso non di grande competenza (è una carriera di poco prestigio sociale, e quindi spesso viene scelta per ripiego), arrivati ai vertici grazie a spinte politiche del passato, e quindi lì a rappresentare istanze che non ci sono più. Tempo fa con la riforma Madia il Governo aveva giustamente tentato di affrontare il problema, prevedendo la possibilità di mettere in aspettativa i dirigenti anche senza motivazione (come avviene ad esempio per i Segretari Generali), ma c'era stato un sollevamento di scudi, e adesso si parla più modestamente di "rotazione" degli incarichi (almeno questo); ma il problema è che resta un sistema chiuso, poco aperto alle sollecitazioni esterne; e sempre più potente. Se non ci si rende conto di questo, temo che non si riuscirà mai ad affrontare adeguatamente il problema. Grazie per l'attenzione
    11 marzo 2020 • 09:24Rispondi
  3. valentino ballabioVeramente il termine “classe” appare più equilibrato e misurato di quello, assai in voga da circa un decennio, di “casta”. I pur imperfetti meccanismi di formazione e selezione dei partiti “di massa” novecenteschi consentivano sia una relativa qualità e merito dell'élite politica sia un rapporto strutturato con i diversi segmenti della società. Oggi prevale la cooptazione, che come è noto, procura una catena in costante discesa tra cooptanti e cooptati, se non la caduta verticale con la chiamata diretta di gregari e famigli nei vari cerchi più o meno magici, ecc.
    11 marzo 2020 • 11:48Rispondi
  4. silvanoOgni riferimento alla consuetudine, tutta "sinistra", di azzoppare (segare, stroncare, fate voi) i leader nascenti, quando danno fastidio ai soliti noti, vedi ultimamente quel fiorentino antipatico, saccente e arrogante, è puramente casuale, o sbaglio?
    22 marzo 2020 • 18:48Rispondi
  5. giuseppe uccieroVeramente, il fiorentino ha regnato per 5 anni e sono stati 5 anni di disastri. Nonostante questo, nulla ha imparato e persegue stile e contenuti che lo hanno posizionato da anni all'ultimo posto del consenso tra gli italiani. Significherà qualcosa?
    24 marzo 2020 • 10:30Rispondi
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