21 febbraio 2020

NEL MONDO DELLE STARTUP: FYBRA

FBP (Future for a better place). Una vittoria per l’ambiente


barbieri2Nelle aule della fondazione Grossman, a Milano, c’è un grande semaforo sopra la lavagna: quando diventa rosso gli alunni delle scuole di ogni ordine e grado sanno che è ora di aprire le finestre e arieggiare l’aula. In pochi minuti, con il calare della concentrazione di Co2, il segnalatore luminoso inizia a lampeggiare in una diversa tonalità fino a diventare azzurro. È ora di richiudere le finestre per non disperdere calore.

Sembra un meccanismo semplice (e lo è: questo è un complimento) ma dietro a quel “pulsantone” un algoritmo complesso autoapprende tempi di concentrazione dell’anidride carbonica in relazione al numero di alunni, condizioni atmosferiche, temperatura e umidità della scuola. Quei dati, una marea di dati, sono poi a disposizione degli studenti che possono estrarne indicazioni utili su come comportarsi in classe e associare in modo corretto il loro fisiologico calo di concentrazione all’atmosfera che respirano.

A sviluppare questa soluzione, che si chiama Fybra, è FBP, Future for a better place, una startup che può insegnare qualcosa sotto tanti punti di vista. Non solo per i premi che sta ricevendo (ultimo il Klimahouse Future Hub Startup Award e il premio speciale Agenzia Casaclima), ma anche e soprattutto per il suo posizionamento nella filiera dell’innovazione.

FBP infatti è di fatto un corporate spinoff del Gruppo Focchi, gigante di Rimini che crea facciate continue per l’edilizia, ed è una Esco (una Energy service corporate) che ha come missione l’efficientamento energetico degli edifici in ambito civile e industriale. Una startup che va a completare l’offerta del gruppo e allo stesso tempo può aprire un mercato autonomo dal grande potenziale.

Interessante anche come, all’interno di FBP, sia nata la realizzazione di Fybra: la caratteristica delle startup deve essere la velocità e la libertà per arrivare il prima possibile a quello che tecnicamente si chiama MVP (minimum viable product), un prototipo funzionante sul quale validare tecnologia e modello di business.

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Per farlo la FBP ha avuto dal gruppo Focchi la massima libertà e il suo responsabile, Gaetano Lapenta, proveniente da un settore diverso e con un MBA in tasca, ha potuto mettere insieme un giovane team che a Milano (quindi lontano dalla casa madre) ha potuto velocemente arrivare in poco più di un anno e mezzo sul mercato grazie ad una serie di collaborazioni: uno studio di design di Milano ha disegnato Fybra rendendolo fin da subito un oggetto di stile, semplice e gradevole, e un’azienda della provincia di Varese (una piccola realtà sotto i 10 milioni di fatturato che ha nel Dna la sperimentazione) ha aiutato FBP nella componentistica elettronica del sistema. Velocità, libertà ed ecosistema quindi.

A queste caratteristiche si affianca una focalizzazione di mercato chiara, così come il business model: FBP punta sulle scuole, concede Fybra in comodato d’uso, e fa pagare un abbonamento in base al numero di alunni agendo su due leve (e quindi due budget), quella della salute e del risparmio energetico e quella dell’educational. Chi non pagherebbe qualche euro in più per la salute di suo figlio? E quale scuola, in un Paese il cui patrimonio edilizio sfiora, se non supera, il più delle volte il secolo, non proporrebbe una soluzione così semplice e plug and play, alle famiglie?

Non sappiamo se la FBP avrà successo o meno, ma di sicuro appare fin da subito un esempio interessante. Le startup innovative in Italia infatti sono già più di undicimila, quasi tremila solo in Lombardia; oltre 61mila gli occupati, i finanziamenti sono saliti sopra i 700 milioni. Ma non sono questi i numeri che cambieranno il Paese.

Le startup spesso hanno idee geniali e grandi intuizioni, soprattutto, nel campo del digitale ma non riescono a scaricarle a terra. Perché? Perché per creare oggetti concreti, funzionanti e scalabili, la startup ha bisogno di un “saper fare” manifattutiero e di design che è patrimonio genetico diffuso ma non sempre “aperto” alla collaborazione. Più che di nuovi incubatori, i giovani inventori hanno bisogno di tante Pmi che scommettano su di loro per integrare la propria offerta e le aiutino a realizzare prodotti che possono dar vita a un nuovo ricambio imprenditoriale italiano.

Luca Barbieri



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