17 dicembre 2019
SENTENZA SUGLI SCALI E FISCALITÀ PUBBLICA
Perché fare sconti?
La sentenza del TAR della Lombardia sull’Accordo di Programma Scali Ferroviari, al di là delle perplessità e delle preoccupazioni che ha sollevato in termini generali, sul tema specifico degli oneri urbanistici (e dei famosi 50 milioni graziosamente offerti al Comune) se la cava in modo assai superficiale (e a mio avviso fuorviante) in sole sette righe: “il contributo straordinario” dovuto a norma del Testo Unico dell’Edilizia per le trasformazioni urbane “in variante urbanistica o con cambio di destinazione d’uso”1 “non risulta applicabile alla fattispecie”2.
Come se l’obiettivo generale del “necessario e doveroso perseguimento dell’interesse pubblico” che è implicito nell’utilizzo dell’Accordo di Programma riguardasse soltanto la fase di concezione e realizzazione del programma (peraltro mai valutata in questo senso: che cosa ci guadagna la città?) e non la fase di distribuzione delle plusvalenze fra il partner pubblico, cioè il Comune, e i partner privati.
Sette righe sono poche e possiamo analizzarle attentamente. La non applicabilità del contributo straordinario – che aumenterebbe le risorse a disposizione del Comune per altri interventi di pianificazione e progettazione urbanistica, sottraendole alla pura acquisizione privatistica – deriva secondo la sentenza da tre elementi:
E appare improprio anche il richiamo esplicito alla sentenza del TAR del Veneto 692/2017 che imputa alla norma nazionale di non raggiungere “un livello di dettaglio sufficiente ad essere auto-applicativa”: a me sembra che, per essere una legge di principio, il suo dettaglio sia già assai ampio, indicando precisamente i casi di applicazione, la imposizione minima del 50% dei plusvalori, le modalità di pagamento da parte dei privati e di utilizzo delle risorse da parte dei Comuni. Questo si evince anche dalla sentenza stessa del TAR sul caso specifico del Comune veneto, in cui è bastata una semplice delibera consiliare comunale di applicazione a una fattispecie locale perché la imposizione del contributo straordinario fosse giudicata “corretta” e in linea con la Costituzione. Inoltre la norma nazionale esplicitamente indica che le legislazioni regionali possono intervenire sulla materia solo “con riferimento a quanto previsto dal secondo periodo della lettera d-ter”, e cioè sulla dimensione del contributo e sul suo calcolo, ma non sul primo periodo, e cioè sull’innovazione di principio;
La Regione Lombardia nella sua legge urbanistica 12/2005 (integrata con successive modifiche fino ad oggi, e cioè dopo l’introduzione delle nuove disposizioni nazionali nel 2014) continua ad affermare all’art. 103 che l’art. 16 (complessivo) del TU (Testo Unico) nazionale sull’edilizia non si applica nella Regione, per la preesistenza di diverse disposizioni locali sugli oneri. Se questa indicazione era corretta nel 2005, ed è corretta ancora oggi ma solo per quanto concerne gli oneri tradizionali3, essa non vale per i nuovi oneri imposti dal contributo straordinario. Ma la dizione impropria della legge regionale autorizza l’equivoco, ancora oggi assai presente nella nostra regione, di quanti – professionisti, amministratori pubblici o finanche professori universitari – ritengono per superficialità, ignoranza o tornaconto che il contributo nazionale qui non vada pagato;
Mi attardo su questa disamina non a caso: siamo in presenza di un caso eclatante, di importanza fondamentale per la città (le ultime aree libere nel comune), ma ben altre trasformazioni sono alle porte, cui il dettato di legge nazionale si applicherebbe ancora più direttamente se non esistesse il rischio di ulteriori “disattenzioni”, amministrative e regolamentari locali.
Il Sindaco Sala ha parlato, credibilmente e con una valutazione cautamente positiva, di 13 miliardi di investimenti immobiliari attesi su Milano nei prossimi anni, anche in relazione alle Olimpiadi invernali: un business 6 volte maggiore di quello degli scali ferroviari. La Milano di oggi – “modello” per l’Italia, città globale, nel mirino, quasi unica in Italia, della finanza immobiliare internazionale, porta di entrata alla terza macroregione più ricca d’Europa – è pronta a lasciare briglia sciolta a nuove costruzioni – perché? per chi? e perché sempre solo nel comune centrale? – senza imporre una compartecipazione pubblica agli enormi plusvalori che la città contribuisce a generare? Accontentandosi degli oneri tradizionali, che ormai hanno una dimensione irrisoria4, e di qualche mancia?
E dunque accodandosi, sul tema della fiscalità urbanistica, ai paradisi fiscali (patria, a quanto sembra, di molte società immobiliari internazionali o di loro affiliate, intrinsecamente non-trasparenti)? Caro Sindaco, la Germania chiede ai developer il 30% del valore di mercato del costruito (non il nostro 3-5%), per realizzare, oltre al resto, vera edilizia sociale pubblica; la Francia chiede 3-4 volte le nostre cifre per le grandi trasformazioni, con accordi pubblico/privato in cui la parte pubblica sa farsi rispettare, e sta realizzando linee metropolitane e servizi di quartiere in tutte le città medie e medio-grandi del paese. E Milano invece sembra che abbia avuto bisogno di regalare volumetrie edilizie in zona Città Studi per rifare, pare male, il fondo della piscina Ponzio! Le assicuro che non c’è bisogno che Milano faccia sconti – e che sconti! – per garantire la sua trasformazione.
Roberto Camagni
Professore emerito del Politecnico di Milano
1art. 16, comma 4, d-ter, DPR 380/2001
2punto 8.5 della Sentenza
3Questo è quanto mi insegna l’amico giurista Alberto Roccella, che voglio qui ringraziare
4In regione gli oneri tradizionali sono stati anche progressivamente ridotti. Si veda la recentissima Proposta di Progetto di Legge sulla rigenerazione urbana e territoriale della Giunta della Regione Lombardia del giugno 2019 n. 1741, oggi approvata e integrata nella l.r. 12/2005. Ho spesso ricordato la irrazionalità di normative di incentivazione che riducono oneri fiscali già limitatissimi, e dunque con effetto incentivante quasi nullo (ma devastanti per la finanza dei comuni). Gli oneri dovrebbero essere invece moltiplicati, e ridotti solo in casi di accertato vantaggio pubblico nella trasformazione.
6 commenti