25 novembre 2019

GIULIA DE LELLIS, MASCOLINTÀ TOSSICA E CULTURA DELLO STUPRO

Lui il predatore, lei la preda: il modello sociale che va (finalmente) smantellato


PER COMINCIARE: Con “cultura dello stupro” si indica la tendenza a giustificare i colpevoli di molestie e violenze sessuali (verbali e fisiche, fino al vero e proprio stupro) in quanto “vittime” di presunti impulsi incontrollabili, e a responsabilizzare invece la vittima per il suo modo di vestire, di vivere, etc. Le aggressioni sono sproporzionatamente di uomini verso donne, e così la loro giustificazione. Una delle spiegazioni del fenomeno è che l’uomo subisca una pressione sociale che si riassume nell’espressione “mascolinità tossica”: l’idea che l’uomo debba essere forte, dominante, violento, padrone, insensibile alle emozioni. Quando quest’attitudine, da molti ritenuta una caratteristica biologica maschile, si manifesta in una donna, mette in crisi le nozioni di uomo-predatore e donna-preda con cui abbiamo normalmente a che fare.

Il 17 settembre 2019 viene pubblicato il primo libro dell’influencer Giulia De Lellis e in meno di un giorno alcune frasi diventano virali. Neanche a dirlo, è subito bestseller; le “bimbe” – così si chiamano le fan di Giulia – sono in fibrillazione: la loro eroina ha avuto la possibilità di mettere nero su bianco, attraverso un’opera letteraria, tutta la sofferenza che ha provato a causa del tradimento da parte dell’ex fidanzato Andrea Damante, conosciuto nello studio del celebre programma della De Filippi “Uomini&Donne”.

Con una collera improvvisa, m’avvento sui quadri appesi al muro, li tiro giù, li sbatto contro il tavolo, le tele si strappano, le cornici si spezzano. Scaravento i souvenir dei viaggi che abbiamo fatto insieme contro la parete, ma sento che non è abbastanza. Vado in bagno e verso i suoi preziosissimi cosmetici men-care nel cesso. Ancora non sono paga.

La PlayStation! La maledetta PlayStation! Finalmente ci gioco anche io … a romperla, però! Prendo la console e la metto sotto l’acqua corrente nella vasca. Provo un fremito di piacere ma non sono ancora sazia.

Magicamente mi viene l’idea definitiva: i suoi vestiti! Vado in cucina, dove ca**o sono? Eccole! Le forbici. Le impugno e mi dirigo verso il suo guardaroba. Prendo i capi, uno a uno, partendo dai suoi preferiti e li riduco in brandelli. Sono completamente posseduta dallo spirito di Beyoncé.

Parlo da sola. Adesso sì che sono pazza.

Continuo finché non ho accumulato qualche migliaio di euro di danni sul pavimento e poi, come un palloncino che si sgonfia, mi accascio a terra, tra quelli che ormai sono solo stracci, e finalmente piango”.

Queste alcune delle citazioni che hanno fatto il giro del web.

Cosa succede quando questo mondo patinato, fatto di gioco tra realtà e finzione, entra nel mondo della letteratura? Succede che, indipendentemente dalle caratteristiche letterarie delle 160 pagine del libro, grazie alla popolarità della ragazza, milioni e milioni di copie vengano vendute. E un sacco di soldi vengano guadagnati. Un sacco di soldi, sì, e anche un sacco di like, ormai non lontani dal diventare la nostra nuova moneta ufficiale.

La Bionda_25.11

Subito all’orizzonte spuntano loro: gli aspiranti scrittori, indignati. Questi poveri uomini e donne della letteratura del domani col sudore della fronte ogni giorno scrivono post su qualsiasi social cercando di scalare la montagna della popolarità virtuale (non me ne vogliate, sono autoironica: mi annovero anche io all’interno di questo gruppo). Eccoli mettersi subito al lavoro, cercando disperatamente di capire quale posizione sia la migliore secondo gli algoritmi di Instagram.

No, è troppo semplice ormai limitarsi a criticare Giulia perché tutta moda, trucco e superficialità; nella nostra società apatica sparare a zero sulle persone popolari per i loro aspetti più facilmente attaccabili non muove più alcun tipo di scandalo. Ora c’è bisogno di molto più odio per poter raccogliere anche solo una briciola d’attenzione nel marasma generale dei tweet volanti.

Uno tra questi esperti della tastiera, con grande lucidità, ha capito come costruire una critica apparentemente profonda al libro della De Lellis e trasformarla nel post accalappia-like della settimana. Come aprire una questione più pesante del libro stesso di cui si sta trattando? Semplice: eliminando dal discorso l’unico pregio che questo bestseller poteva avere: la leggerezza. E così, quasi magicamente, “Le corna stanno bene su tutto” diventa teatro di una discussione sulle differenze di genere. Mi scuso, anche solo scriverlo mi ha fatto attraversare la schiena da un brivido, non immagino leggerlo. Eppure è successo.

Nella fattispecie, il post dello scrittore in questione ha posto – al suo seguito e a quello della De Lellis – il seguente quesito: perché quelle frasi “shock” (riportate all’inizio di questo articolo) di “violenza” e “possesso” avrebbero avuto un’altra reazione se l’autrice fosse stata un uomo? Sottintendendo la risposta, ossia che ci siano due pesi e due misure nei confronti dei comportamenti violenti all’interno delle relazioni, in base al genere del partner colpevole.

Insomma, la classica retorica del “se fosse stato un uomo a scrivere e pubblicare quelle frasi si sarebbe urlato alla violenza di genere, mentre, se è una donna, lo stesso scandalo non si scatena!”, il tutto condito con una molto poco velata accusa verso chi, opponendosi alla violenza maschile di genere – secondo l’autore del post -, considererebbe l’uomo come l’eterno porco e malvagio, senza considerare la sfera emotiva presente anche nel genere maschile. Retorica sicuramente importante, che cela dietro di sé le falle ancora oggi presenti in chi parte prevenuto nei confronti della battaglia alla violenza maschile di genere. Una retorica che però, esposta così crudamente, azzera le possibilità di aprire un dibattito utile.

È in occasione del weekend che precede il giorno contro la violenza sulle donne che avevo deciso di pubblicare la mia risposta a quel quesito.

Tutti percepiamo, tanti in modo del tutto inconscio, che nella vita di tutti i giorni agli uomini vengano assegnati degli standard di virilità. Tali standard, ruoli predefiniti in base al genere sessuale, sono gli ingredienti che costruiscono la cultura machista, purtroppo un primato dei paesi del Mediterraneo e del Sudamerica. Questa è la cultura che induce la società a sviluppare l’immagine dell’uomo come forte, vigoroso, senza sentimenti, ed è proprio la cultura che permette a Giulia di parlare del suo ex senza tener conto dei suoi sentimenti e della sua sfera privata che non andrebbe violata. (il libro è stato pubblicato comunque con l’approvazione anche di Damante)

La cultura machista impedisce agli uomini di mostrare tutti i lati emotivi, delicati, fragili del loro carattere, lati che vengono attribuiti al genere femminile e che fin dai primi anni di vita si giudicano come imbarazzanti e deplorevoli se assunti da un maschio: “non piangere come una femminuccia”. È questa stessa cultura machista che porta la nostra società a costruire tutte le differenze culturali/sociali di genere che ancora, purtroppo, abbiamo. L’uomo forte è insensibile è, ancora troppo spesso nell’immaginario collettivo, il lavoratore della famiglia, che porta a casa i soldi, che domina le relazioni personali all’interno della famiglia e, nei casi peggiori, che “possiede” come fossero dei beni materiali la moglie e i figli. E così via.

In molti non sopporteranno ciò che sto per scrivere, ma la realtà è che proprio per questo esiste il movimento femminista, il quale nasce con una presa di coscienza delle donne come classe oppressa in queste dinamiche sociali. Il che non significa che sia la donna l’unica a soffrire, o che sia la donna l’unica ad avere ripercussioni a causa della cultura machista. Semplicemente, ci sono molti più aspetti di questa cultura che mettono in una posizione di palese inferiorità e mancanza di diritti la donna piuttosto che l’uomo. Non è assolutamente nell’intenzione di chi si batte per l’uguaglianza ricercarla in una privazione di possibilità altrui. Non è mail stato così e non lo sarà mai.

Lo scopo del femminismo è raggiungere un livello sociale in cui ci sia parità tra i sessi, e non ci siano più le dinamiche che ci inducono ad avere rapporti dispari che fanno soffrire tutti. Infatti “non piangere come una femminuccia” è una frase che viene ritenuta maschilista e, in quanto tale, fa male sia al genere femminile, dato che “femminuccia” è inteso come termine velatamente spregiativo, sia al genere maschile, perché la frase così formulata toglie al maschio la possibilità di piangere.

In spazi di dibattiti femministi e di parità di genere si parla spesso di ciò di cui parla l’autore del post, perché il movimento femminista (proprio come inconsciamente fa anche l’autore del post) percepisce che la prima fondamentale mossa sia quella di educare le generazioni alla parità.

Quindi, andando alla sostanza, perché quelle frasi shock di Giulia non hanno mosso lo stesso clamore? Appunto (come tra l’altro lo stesso autore del post paradossalmente afferma) perché, siamo educati a giudicare che l’uomo manchi di una particolare sfera emotiva. Per i casi invece in cui la parte “lesa” sia una donna, persone sensibili al tema reagiscono più duramente perché non ci troviamo di fronte all’impossibilità di essere fragili, ma di fronte a ciò che è giustamente definito “cultura dello stupro”.

Questa cultura dello stupro colpisce la stragrande maggioranza delle volte la parte oppressa, le donne, perché quella cultura machista che tenta di portare l’uomo a sentirsi possessore delle relazioni interpersonali con le donne lo porta poi a essere possessore anche del corpo di queste, sentendosi legittimato a insultare, stuprare, uccidere individui in quanto donne (o, per la cronaca, individui in generale la cui emancipazione viene ostacolata, come i bambini o le minoranze etniche e religiose).

Ancora non esiste una dinamica ricorrente, storica, culturale in cui le donne siano educate a sentirsi legittimate ad insultare, stuprare, uccidere un uomo in quanto uomo. Nonostante ci siano episodi di violenza verbale, stupri, omicidi, questi sono in proporzione una parte minuscola rispetto ai numeri statistici che ci sono per le donne, e fondamentalmente mai questi atti sono motivati dal fatto che l’individuo leso fosse di genere maschile1. Per fortuna, io donna che lo vivo sulla pelle non auguro a nessuna creatura al mondo di trovarsi in tale situazione.

E infatti lo scopo finale della lotta alle parità di genere è eliminare questa cultura malata e sbagliata, non certo legittimare le donne a insultare, stuprare, uccidere. Il post muove una critica più al fatto che se l’ex del libro fosse stata donna ci sarebbe stato un fastidio e frastuono maggiore, anziché al fatto che non ci sia stato frastuono abbastanza nei confronti di questo episodio facilmente definibile come “mascolinità tossica presente in una donna”. E la dimostrazione è che i commenti al post vertono per la stragrande maggioranza dei casi al fatto che un uomo sarebbe stato mediaticamente punito mentre una donna no.

Senza che però purtroppo da questo dibattito, che potrebbe essere molto interessante, se ne esca invece con una vera vittoria in termini di parità di diritti.

Sofia La Bionda

1Fonte: Eures Ricerche Economiche e Sociali (20 novembre 2019) SINTESI Femminicidio e violenza di genere in Italia. Ultimo accesso: lunedì 25 novembre 2019,

https://www.eures.it/sintesi-femminicidio-e-violenza-di-genere-in-italia/



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