24 novembre 2019

PARLIAMO ANCORA DI PGT?

Una riflessione in positivo


PER COMINCIARE - Parola chiave - L’urbanistica dunque è l’insieme delle attività di studio e progettazione dell’ambiente in cui si è insediata una collettività, come ad esempio la città di Milano. Il PGT (Piano di Governo del Territorio) è uno strumento urbanistico, che definisce l’assetto del territorio a livello comunale. Il nuovo PGT approvato dal Comune di Milano ad ottobre 2019 ha fissato degli “obiettivi” da raggiungere entro il 2030, alcuni dei quali potrebbero andare a modificare pesantemente la realtà architettonica, abitativa e sociale della nostra città. È per questo motivo che il PGT prevedrebbe la partecipazione dei cittadini, tramite osservazioni mirate, in fase di scrittura.

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Prima del PGT – Devo dire che quando mi sono apprestato a scrivere un articolo sul PGT di Milano ho avuto una sorta di blocco, di rigetto … perché mentre discutiamo di argomenti che a noi sembrano molto importanti, l’Occidente, con un’Europa inerte, stanno compiendo uno storico tradimento nei confronti del popolo Curdo. Con questo sentimento di frustrazione ed impotenza, accresciuto dalla risoluzione del Consiglio europeo che equipara nazismo e comunismo (e dall’esito delle votazioni in Umbria) viene poca vogli di occuparsi di PGT o d’altro. Tuttavia pensando, mutatis mutandis, che nel 1944, sotto i bombardamenti nazisti, Londra approvò il Greater London Plan, facciamoci forza e occupiamoci della Grande Milano.

Il nuovo PGT di Milano: una valutazione sintetica
Un giudizio sintetico su uno strumento così complesso come il PGT rischia di essere superficiale. Tuttavia penso utile individuare le questioni fondamentali e definire una gerarchia di valori.

Per dare un giudizio sintetico sul nuovo PGT (formalmente è una Variante, di fatto un nuovo Piano) bisognerebbe confrontarlo con i precedenti Piani, dall’ultimo piano del centro destra, Moratti, Masseroli del 2011, al piano Pisapia, De Cesaris del 2012. Anche in questo caso sarebbe necessaria un’analisi puntuale, ma mi limiterò a dire che vi è stato certamente un progressivo miglioramento rispetto a temi di fondo, quali il rapporto tra sistema della mobilità e sviluppo, dotazione di verde, edilizia sociale, riduzione dell’impatto ambientale e contenimento del consumo di suolo ecc. Persino nelle relazioni con la Città metropolitana, punto debole di tutta la politica milanese, ci sono in questo PGT alcuni segni di maggiore attenzione.

Mi pare invece che i commenti di ArcipelagoMilano sul PGT siano piuttosto negativi, a partire dall’editoriale di Luca Beltrami Gadola che non vede nel nuovo strumento urbanistico una chiara strategia fondata sull’analisi dei bisogni.

In realtà una strategia c’è e si può sintetizzare così. Il PGT concentra lo sviluppo nel capoluogo dell’area metropolitana; lo organizza in relazione alla rete del trasporto pubblico, rafforza la qualità ambientale del generale processo di trasformazione; demanda alla fase attuativa i contenuti dello sviluppo e della città pubblica e la definizione della forma urbana. Tale strategia ha alcuni punti forti (non necessariamente condivisibili) e alcuni punti più deboli.

Il rapporto tra il Capoluogo e la Città Metropolitana

Secondo una logica di scala la strategia di Piano avrebbe dovuto essere inquadrata a livello regionale e metropolitano. Il Piano territoriale metropolitano (PTM) e il PGT avrebbero potuto (dovuto) essere impostati insieme e decidere tra concentrazione dello sviluppo nel capoluogo o, in alternativa, riequilibrio territoriale. La scelta dell’amministrazione milanese è stata di separare i destini del Capoluogo da quelli della sua area metropolitana (non è stato ininfluente che i grandi comuni dell’Hinterland siano ormai di centro destra e che Milano sia ancora di centro sinistra). Il nuovo PGT che per sua natura si occupa del solo territorio amministrativo del comune, sostiene dunque la concentrazione dello sviluppo nel capoluogo. Tuttavia, a differenza dei PGT precedenti, comincia ad affrontare il rapporto con l’area metropolitana su tre temi: i trasporti e la mobilità, i parchi territoriali e infine la copianificazione di alcuni territori critici al confine tra Capoluogo e hinterland. Sono indicazioni in parte efficaci con effetti diretti (la rete del trasporto pubblico del PUMS), in parte puramente programmatiche. Ma di questo aspetto vorrei occuparmi in un futuro articolo.

La concentrazione dello sviluppo

Una strategia ad alto rendimento ma ad alto rischio. Possiamo considerare un punto forte del PGT il sostegno allo sviluppo che da alcuni anni investe la città: lo sviluppo è dunque concentrato nel capoluogo dell’area metropolitana e strutturato sulla rete del trasporto pubblico. Che tipo di sviluppo? Il Piano non lo prefigura: è un contenitore aperto alla dialettica tra pubblico e privato che traccerà il carattere dello sviluppo; dialettica demandata dunque alla futura gestione della città. Le previsioni di crescita della popolazione del Piano sono quelle del trend demografico di Milano che negli ultimi anni è positivo e ha invertito la tendenza rispetto alla sua area metropolitana: 86.000 abitanti in più tra il 2008 e il 2017 e 77.000 abitanti in più previsti al 2030 (pari ad un incremento del 5,6% della popolazione e dell’8,3% delle famiglie).

Il Piano non regola le destinazioni d’uso e dunque quanto edificato o rigenerato potrà essere destinato alla residenza o a funzioni produttive o di servizio, in ragione della domanda del mercato. Quindi non c’è rapporto diretto tra dimensionamento del Piano e crescita demografica attesa. Complessivamente, tra riduzioni e nuove previsioni il nuovo PGT riduce le previsioni insediative del PGT vigente e prevede di concentrare lo sviluppo in punti strategici della città – piazze, aree destinate a grandi servizi, nodi di interscambio – e nelle parti di città servite dalle linee di forza del trasporto pubblico, che coprono gran parte della città centrale entro la circonvallazione esterna, ove sarà possibile superare l’indice massimo di piano attraverso trasferimenti volumetrici perequativi e meccanismi incentivanti.

Il Piano recepisce inoltre le previsioni degli accordi di programma in atto: in particolare gli ex Scali ferroviari, serviti dalla futura “Circle line” e l’area ex Expo, servita da metropolitana, ferrovia e autostrade. Tali aree prevedono oltre un milione di mq di superfici edificabile (Sl). Il Piano dei trasporti è dunque assunto dal PGT come struttura della città e riferimento per lo sviluppo concentrato. Nello stesso tempo il Piano sostiene la rigenerazione diffusa con gli ambiti di rinnovamento urbano, regolati da strumenti urbanistici non tradizionali (l’Atlante urbano, gli incentivi / penalizzazioni finalizzate al recupero degli edifici abbandonati, ecc…). Vedremo se il mercato immobiliare di Milano e l’intervento pubblico, saranno in grado di sostenere lo sviluppo concentrato e nello stesso tempo la rigenerazione diffusa.

Rigenerazione e sviluppo sostenibile

L’attenzione allo sviluppo sostenibile è un secondo punto di forza del Piano. La dotazione di verde a Milano è cresciuta negli ultimi anni di 1.500.000 mq. La politica del traffico ha ridotto la circolazione e le emissioni inquinanti (nell’ area C la circolazione si è ridotta del 30% e nella città gli inquinanti si sono ridotti negli ultimi 20 anni dal 60% al 90%) Il nuovo Piano rafforza le condizioni di sostenibilità ambientale dello sviluppo: alcuni obbiettivi sono misurabili: crescita del trasporto pubblico e riduzione di quello privato, mobilità alternativa (obbiettivi quantificati dal PUMS); aumento della dotazione di verde (4.660.000 mq in più pari al 18% rispetto alla dotazione attuale) con venti nuovi parchi e l’ampliamento del Parco Sud (1.544.000 mq in più) e riduzione del consumo di suolo (riduzione del 4% rispetto alle previsioni del PGT vigente). Se tali previsioni si attueranno sarà un buon risultato. Altri obbiettivi, come la rigenerazione diffusa e gli effetti delle regole edilizie ecologiche si valuteranno con l’attuazione del Piano.

La costruzione della città pubblica e l’incremento dei valori immobiliari.

Qual è l’obbiettivo del Piano?

Nel Piano manca la valutazione delle risorse necessarie alla costruzione della città pubblica (NB, il bilancio economico del Piano sarebbe un obbligo di legge). Per quanto non sia facile prevedere i valori economici in campo, il Piano avrebbe potuto quanto meno indicare criteri di determinazione della parte di incremento di valore degli immobili, consentito dal nuovo Piano, destinata alla costruzione della città pubblica (il DPR 380, art 16 .4.d-ter stabilisce che almeno il 50% dell’incremento di valore determinato dalla Variante di Piano, debba essere destinato al Comune).

Le parti di città comprese nei futuri poli di sviluppo hanno già incorporata una quota elevata di valore pubblico (infrastrutture per l’accessibilità) che determina alti valori di mercato e quindi una sufficiente capacità autopropulsiva. La rigenerazione diffusa invece, nelle periferie di minor valore immobiliare, ha bisogno di interventi pubblici, catalizzatori delle trasformazioni. Le finanze comunali non saranno in grado di sostenere da sole tale ruolo; sarà necessario reperire le risorse dalle quote di rendita delle posizioni privilegiate. Penso che questa sia l’intenzione dell’amministrazione, ma un “bilancio” del Piano sarebbe di utile orientamento.

Welfare, una strategia ancora debole

Un punto invece della strategia di Piano, a mio avviso, incerto è la capacità di incidere sul welfare: i settori che il Piano può controllare sono l’edilizia residenziale sociale e pubblica e i servizi alla persona.

L’Edilizia residenziale pubblica e sociale. L’offerta di edilizia residenziale a prezzi calmierati (edilizia sociale – ERS – ed edilizia pubblica ERP) è dichiarata obbiettivo centrale del Piano. La quota di edilizia pubblica /sociale a Milano è la più alta tra le grandi città, in Italia, ma è sotto gli standard di molte città europee. La domanda di edilizia in affitto a basso prezzo è ancora elevata. La stessa relazione del nuovo Piano rileva che i meccanismi di attuazione dell’ERS del Piano vigente non sono stati efficaci. Il Piano prevede di destinare all’ERS/ERP aree per 14.000 alloggi a fronte di un numero di domande (reali?) di edilizia pubblica di circa 20.000 unità. A questi dovrebbero aggiungersi gli alloggi in affitto realizzati nei futuri interventi convenzionati, di grandi dimensioni. Per questi il Piano aumenta la quota obbligatoria e snellisce i meccanismi che incentivano la realizzazione di ERS da parte dei privati negli interventi diffusi.

L’offerta di edilizia sociale e pubblica prevista dal Piano, se realizzata darà un contributo al welfare significativo in un periodo di totale assenza dello Stato, ma non inciderà a sufficienza sul mercato e di conseguenza sulla struttura sociale della città che tende a perdere i ceti meno abbienti. Certo non è più il tempo dei massicci piani di EEP della legge 167, approvati da alcuni comuni virtuosi negli anni ’70 (e sorretti dall’intervento dello Stato) ma se le previsioni del nuovo Piano si attuassero sarebbe già un successo. Ma il punto debole di tale strategia è la mancanza di strumenti di gestione delle quote di ERS che i privati sono tenuti a realizzare ma che hanno difficoltà a gestire. Non è materia del PGT ma sarà un punto cruciale della gestione del Piano

I servizi. L’altro campo di intervento per il consolidamento del Welfare sono i servizi alla persona.

Il livello dei servizi di Milano è sicuramente comparabile ai migliori standard europei. Tuttavia vi sono carenze pregresse e prevedibili per l’evoluzione della struttura demografica e sociale (analizzata dallo stesso PGT) che impongono la definizione di priorità di intervento. Il Piano dei servizi non appare supportato da un’analisi dei bisogni selettiva (anziani, giovani, studenti, immigrati, famiglie; asili nido, centri culturali, impianti sportivi, ecc.) ma si configura come uno strumento che agevola la realizzazione dei servizi in generale, come esito della negoziazione pubblico /privato negli interventi di trasformazione. In effetti il bilancio del Comune e il programma delle opere pubbliche definiscono le priorità dell’Amministrazione, ma rappresentano solo una parte dei servizi; il Piano avrebbe dovuto indicare i principali servizi che i privati dovrebbero realizzare nei grandi interventi di trasformazione urbana.

Qualità dello sviluppo e forma urbana

Tra la scala del piano generale e la scala dei piani attuativi e dei progetti

Il PGT non regola la forma urbana. L’urbanistica razionalista (a partire dal PRG di Milano del ’53) affida ai Piani Particolareggiati il compito di progettare la forma della città (compito delegato poi ai piani di lottizzazione) L’esito è noto. La carta del paesaggio (allegata al DdP) è chiara. La città ha una forma consolidata e riconoscibile nelle parti del Piano Beruto e del Piano Pavia Masera (i piani “ottocenteschi”) mentre gli “ambiti di ridefinizione del paesaggio urbano”, classificati tali dal PGT, sono tutti esterni a tali zone (salvo un cuneo tra Naviglio Grande e Pavese) ed esterni alla cinta ferroviaria. Tuttavia gli “insiemi urbani unitari”, ovvero i quartieri di “valore insediativo”, individuati dal Piano, sono diffusi in tutta la città, con il grande asse di espansione dell’edilizia pubblica del dopoguerra, dei quartieri QT8 e Gallaratese.

Ridefinire la forma urbana, componente essenziale della qualità dello sviluppo, agendo sulla città costruita non è compito facile. Lo sviluppo concentrato, policentrico in ambito urbano, previsto dal Piano, può creare parti di città di alto valore urbano, ma rischia anche di creare conflitti locali e trasformazioni in contrasto con le regole di sviluppo della città; rischia di stravolgere la forma e il paesaggio urbano consolidato e comunemente accettato. Il Piano dunque demanda alla fase attuativa la definizione della forma urbana, ma quale ruolo affida al Comune nella dialettica pubblico /privato? Il Piano offre alcuni strumenti (l’”Atlante urbano”, i “Contenuti paesaggistici”, la “Commissione per il paesaggio”) ma molto dipenderà dalla qualità ed autorevolezza dell’apparato amministrativo e dei professionisti preposti.

L’”Atlante urbano” annesso al DdP come guida alla rigenerazione, è un tentativo di connettere la scala generale con la scala degli interventi diffusi. E’ ancora una strumento che organizza le funzioni, ma l’attenzione posta allo spazio pubblico (strade, piazze, verde, ecc.) potrà incidere sulla qualità dello spazio urbano e della forma urbana. I “Contenuti paesaggistici” costituiscono un riferimento alla progettazione ma non sono certo regole formalizzate; la coerenza di giudizio della Commissione per il paesaggio, un compito non facile, sarà essenziale.

La gestione del Piano

Gli esiti di questo PGT si giocano molto sulla capacità di gestirlo. Ci sono due aspetti: uno politico che riguarda il ruolo degli organi del comune, il Consiglio comunale e i Municipi e le forme di partecipazione dei cittadini “esperti”; l’altro riguarda la qualità e la capacità delle strutture tecniche e amministrative. Il Consiglio comunale ha dettato gli indirizzi per la pianificazione e ha discusso e approvato il PGT, ma in che misura sarà coinvolto nelle decisioni sull’attuazione, considerando che il Consiglio comunale, per legge, non approva gli strumenti di attuazione del Piano? Il caso del PII di EXPO (vedi articolo di M. Sacerdoti su ArcipelgoMilano) dice che al di là degli aspetti di legge il Consiglio Comunale, i Municipi e anche l’opinione pubblica esperta, dovrebbero poter dare un giudizio sulla corrispondenza tra indirizzi ed attuazione e sull’esito della trasformazione del paesaggio urbano.

Sotto il profilo della capacità tecnica è necessario superare la dicotomia tra ruolo propositivo del privato e ruolo puramente regolativo e di controllo del Comune, e quindi va rafforzata la capacità del Comune di progettare e governare le trasformazioni, e di garantire una partecipazione reale dei cittadini. Il Comune potrebbe anticipare e stimolare il mercato attraverso la simulazione dei grandi interventi (piazze, nodi di interscambio, ecc) e la predisposizione di progetti guida. Per il governo degli aspetti economici e della costruzione della città pubblica, sarebbe necessario predisporre strumenti giuridici e amministrativi che consentano di rendere evidente e trasparente l’incremento di valore determinato dal Piano e che si concretizza nei piani e programmi attuativi, in modo da poter stabilire su basi oggettive la quota da riservare all’interesse pubblico.

Per quanto attiene l’edilizia sociale il Piano rende più efficace il meccanismo per la realizzazione di alloggi in affitto, ma, come già detto, il nodo per gli operatori non sta nell’impegno economico e nella riduzione del plusvalore che possono realizzare, ma nel gravoso impegno per la gestione di tali alloggi, specialmente per operatori di piccole e medie dimensioni. Bisogna pensare ad un ente di iniziativa pubblica e di capitale misto, in grado di gestire il nuovo patrimonio residenziale prodotto dal Piano, almeno per la parte in affitto, in coerenza con le politiche di gestione del patrimonio pubblico esistente. Infine per gestire l’attività di trasformazione diffusa sarà necessario istituire una prassi di confronto tra progettisti, tecnici comunali, adeguatamente preparati, e Commissione per il paesaggio, non su progetti formalmente compiuti ma su idee, progetti di massima o bozze di progetto, come base dialettica per la costruzione della città.

Conclusioni

Come intellettuali e nello specifico come urbanisti abbiamo il dovere di critica, ma anche di non perdere la visione d’insieme. Milano è un città attiva ed attraente che sta migliorando: è un giudizio generale ampio, non solo dei milanesi. La città ha anche un ruolo nel Paese che va sostenuto da chi ne ha a cuore le sorti. Questo piano, se ben gestito, aiuterà a rafforzarlo.

Ugo Targetti



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  1. Elio...complimenti...finalmente in articolo di obiettività sulla disciplina Urbanistica...
    27 novembre 2019 • 08:41Rispondi
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