24 ottobre 2019

TUTTI PAZZI PER BRAHMS O PER GATTI?

«LaFil - Filarmonica di Milano» in sala Verdi al Conservatorio


Nessuno l’avrebbe potuto immaginare. Forse l’avranno intuito quei pochi che hanno avuto la fortuna di assistere al debutto schumanniano di fine maggio al Palazzo delle Scintille in Fiera, o ai concerti della residenza estiva a Sestri Levante. Ma la sensazione è che il vero debutto di questa meravigliosa orchestra dal nome bizzarro «LaFil – Filarmonica di Milano» sia stato quello dell’ultimo weekend, al Conservatorio, con la direzione di Daniele Gatti e sotto l’ala protettrice della Società del Quartetto: quattro concerti (pomeriggio e sera di sabato 26, pomeriggio e sera di domenica 27), una vera maratona per ascoltare le quattro Sinfonie di Brahms ciascuna preceduta da altra musica, brahmsiana – come il Trio per violino, corno e pianoforte, l’Ouverture tragica, le Variazioni su in tema di Haydn – ma non solo, anche il Concerto per violino di Beethoven e quello per violoncello di Schumann. Ed è stato un debutto che, senza esitare, definirei trionfale. Dai tempi dell’integrale delle Sinfonie di Beethoven dirette da Claudio Abbado, prima a Vienna e poi a Roma, non ricordo di aver assistito a un tripudio simile.

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La storia di questa nuova orchestra è tanto preziosa quanto semplice: il felice incontro di tre amici ex compagni di studi al Conservatorio milanese – Roberto Tarenzi docente di viola nello stesso Conservatorio, Carlo Maria Parazzoli milanese prestato a Roma, all’Accademia di Santa Cecilia di cui da vent’anni è il primo violino, e l’ormai celebre direttore d’orchestra Daniele Gatti. Tre musicisti giunti al successo attraverso percorsi diversissimi, i quali si chiedono cosa si può fare per aiutare i giovani talenti ad entrare in carriera senza essere costretti ad espatriare per trovare altrove orchestre “aperte” che li accolgano e li valorizzino.

“Fondiamo un’orchestra per loro”, ovvio. Ma anche la Verdi fu creata da Corbani con gli stessi obiettivi, e così anche le orchestre di Abbado; solo che sono nate tutte come orchestre giovanili stabili, di quelle in cui si entra da ragazzi e ci si resta fino alla pensione. I nostri tre amici vogliono invece realizzare un’orchestra con un forte turnover, che accolga i giovani e lavori “a progetto”, che si riunisca per alcuni periodi allo scopo di realizzare programmi di ricerca e di approfondimento di un autore, di un epoca, di una forma musicale. Ma soprattutto, ecco la grande novità, in cui le prime parti dell’orchestra siano grandi professionisti, provenienti dalle migliori orchestre d’Italia e d’Europa, e siedano insieme ai ragazzi per insegnar loro il mestiere spalla a spalla. Trovata generosa e geniale. Che con grande lungimiranza viene subito condivisa da Luca Formenton, la persona perfetta per il ruolo di manager, il colto editore de Il Saggiatore di cui tutti ammiriamo la bella collana di argomento musicale. A loro si unisce il giovane direttore d’orchestra Marco Seco, un poco argentino e molto italiano, ed ecco che LaFil – Filarmonica di Milano è fondata.

Sabato e domenica è stato uno spettacolo fantastico vedere questa sessantina di ragazzi e ragazze (come sono belli i giovani tra i venti e i trent’anni – ma qualcuno è anche più piccolo – che si impegnano in una vita così seria su una strada così impervia!) seduti fianco a fianco a tanti maestri supercollaudati nei ruoli delle prime parti. Ma attenzione, non maestri che insegnano “per mestiere” e che ineluttabilmente finiscono per essere teorici, ma maestri di vita che, raggiunto l’apice della carriera, trasferiscono direttamente ai giovani colleghi la loro esperienza e la concretezza del lavoro in orchestra. Un esperimento che sembra avere le radici nella Atene di Pericle o nel regno di Utopia! Commovente.

Tutto ciò premesso è difficile dare un’idea della bellezza del suono o della ricchezza del fraseggio con cui sono arrivate al pubblico le Sinfonie di Brahms (meglio, devo dire, del concerto di Schumann con il violoncello solista di Jan Vogler, ed anche di quello di Beethoven, che pure è stato ottimo, con il violino solista di Frank Peter Zimmermann). Le quattro Sinfonie erano inaspettatamente nuove, ripensate daccapo, sviscerate in tutti i loro meandri concettuali ed emotivi, con le singole parti fatte emergere una ad una con magnifica lucidità e chiarezza. Gatti ha dimostrato una conoscenza totale e profonda della partitura, tanto da non trascurare alcuna sfumatura e soprattutto da approfondire le indicazioni agogiche e dinamiche con grande libertà ma insieme con rigorosa coerenza. Unica forzatura, forse, aver rallentato un po’ troppo i movimenti lenti ed accelerato quelli veloci (come negli ultimi due tempi della terza sinfonia), ma questo sembra essere diventato oggi una sorta di imperativo categorico. Nella Ciaccona dell’ultimo movimento della Quarta, con cui ha chiuso “trionfalmente” il ciclo, è però riuscito a far emergere la complessità della costruzione musicale, e la raffinatezza delle relazioni contrappuntistiche ed armoniche, con evidenza esemplare. Insomma una qualità elevatissima non solo grazie al direttore ma sicuramente grazie anche all’entusiasmo, alla preparazione ed alla serietà dei giovani musicisti. Sorprendente.

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Purtroppo la sala Verdi del Conservatorio non era propriamente affollata. E’ un vero peccato che non si riescano ad annunciare questi eventi con incisività tale da attirarvi il pubblico. Eppure il giorno prima una ricca e colta intervista a Daniele Gatti di Giuseppina Manin, sul Corriere della Sera, avrebbe dovuto far drizzare le orecchie a tutti gli amanti della buona musica. Ma forse a Milano non è molto diffusa la cultura della “maratona”. In compenso il pubblico era straordinariamente giovane, a dimostrazione del fatto che i ragazzi, quando trovano un interesse – e in questo caso sarà stato forse quello di essere amici o compagni di studio degli orchestrali – arrivano e sanno anche apprezzare.

La cosa che invece ha accomunato sicuramente tutti, giovani e anziani, è stata la potente onda di energia che promanava dal palcoscenico e che ha letteralmente travolto l’intera sala facendola scattare in piedi, alla fine, per festeggiare lungamente gli interpreti.

Paolo Viola



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  1. Carla Maria CasanovaSì, un evento da ricordare. D'altra parte, l'esordio a fine maggio, in Fiera, era stato un buon mattino, con l'oro in bocca. Qui Conservatorio forse non strapieno, ma sala ben guarnita, magari non a tuttii concerti. Quattro (concerti) in due giorni, sono un bell'impegno anche per l'ascoltatore. Avanti così, caro Daniele Gatti, la Fil è una promessa molto mantenuta.
    30 ottobre 2019 • 09:20Rispondi
  2. Giampaolo à ParisBuongiorno, grazie pel bell'articolo, molto interessante. Pensando alla musica vocale, oltre al Coro della Scala di Milano, potreste dirmi quanti altri cori di musica lirica e sacra esistono a Milano ? Da queste parti, ce n'é almeno una buona trentina, di cui 5 o 6 di livello internazionale, anche se composti in gran parte da dilettanti (amateurs, come si dice romanticamente sulle rive della Senna). Senza dimenticare quelli di musica tradizionale (armena, irlandese, etc.), regionale (baschi, corsi, etc.), jazz-soul, rock, etc. ... oltre ad un centinaio di cori e corali che, insieme alle orchestre giovanili, oltre a prodursi a Parigi e dintorni, girano la Francia e l'Europa. Cordialmente Giampaolo
    30 ottobre 2019 • 09:22Rispondi
  3. Daniela Da RivaDesidererei essere informata sui prossimi concerti. Grazie.
    30 ottobre 2019 • 09:49Rispondi
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