29 settembre 2019
ADDIO AI MONTI?
Incuria e abbandono nella fascia prealpina lombarda
In tempi di globalizzazione le mete vacanziere possono variare per latitudine e longitudine tra la Thailandia e la Patagonia. Tuttavia il periodo feriale è anche occasione, per più o meno brevi soggiorni o benefiche escursioni, di rivisitare la corona di colline, laghi e Prealpi della fascia pedemontana che fa ombrello alla città. Ovvero il limite ove la “città infinita” finisce per incontrare quello che rimane di campi e boschi, sentieri e torrenti, ruderi di cascine e fienili.
Ma, con tutti i problemi che assillano la città ed il suo immediato contorno, che interesse può avere porre attenzione e riguardo per una realtà tutto sommato marginale, spesso abbandonata e trascurata dai suoi stessi abitanti autoctoni? E pure colonizzata da “seconde case” propagatesi a macchia d’olio oltre le vecchie ville liberty già vituperate da Carlo Emilio Gadda?
Eppure stiamo parlando del polmone della metropoli, del contorno di verde ed acque ancora relativamente chiare che presidia l’area intensamente antropizzata, ove invece dominano atmosfere al PM e fiumiciattoli inquinati, quando non rovinosamente alluvionali.
Un polmone che offre pure un respiro storico e culturale, un monumento diffuso di mulattiere selciate e muretti a secco, crotti e cascinali lastricati, lavatoi e fontane, cappelle ed edicole di manzoniana memoria. Secoli di cultura materiale e popolare sedimentati in opere vitali per ambienti già coltivati e lavorati ma oggi in stato di abbandono e degrado per incuria ed anche inciviltà (vedi l’incoscienza di solcare e disselciare con motocross gli antichi sentieri sterrati).
Qui però l’analisi della realtà fisico-territoriale si scontra con quella politico-istituzionale. Parliamo infatti di territori spesso assai vasti e di grande pregio tuttavia affidati a Comuni piccoli per numero di residenti, spesso governati da personale “politico” raccogliticcio espresso da effimere liste civiche, privi di un apparato tecnico-amministrativo sufficiente e qualificato.
Le Province sono state depotenziate e squalificate; le Comunità montane, ovvero gli embrioni di possibili nuovi Comuni più ampi e solidi, abbandonate; le Unioni e fusioni, affidate ad uno spontaneo fai da te, raramente hanno superato rozze resistenze campanilistiche.
La Regione infine, empireo centralistico già prima di conquistare nuova autonomia differenziata, appare lontana e assente per quanto disporrebbe di apposita azienda forestale. (Vedi ad esempio il “sentiero del viandante”, che accompagna tutta la costa orientale lariana, caldeggiato da Formigoni in occasione del Giubileo 2000, che appare oggi ammalorato in più punti e privo di periodica manutenzione).
Pertanto la distanza pressoché incolmabile tra Stato e Regione da un lato e la polverizzazione in Comuni piccoli e piccolissimi dall’altro crea un vuoto di attenzione e capacità di intervento necessarie per contrastare il degrado paesaggistico ed il rischio idro-geologico di parti importanti del territorio pre-montano. I pendii non protetti ed i boschi incolti poi favoriscono inevitabilmente frane ed alluvioni, con conseguenze economiche ed ambientali anche gravi.
Infine la città di Milano può essere interessata a questa problematica, posto che si pone fuori dai confini comunali e pure di quelli assai labili metropolitani? Pensiamo allo sviluppo del turismo, che tanto ha coinvolto ed affascinato la recente belle époque cittadina. Ebbene una visita ai laghi ed ai monti, alle ville e chiese storiche, alle bellezze artistiche e naturali facilmente raggiungibili, rappresentano una preziosa risorsa complementare.
Non si tratta ovviamente di fare “il lavoro degli altri”, ma di esercitare influenza politica e ideale per una riequilibrio dei poteri locali ed intermedi che, in alternativa all’ulteriore appesantimento della regione-stato, consenta una cura del territorio valida e controllabile. Diciamo un NIMBY alla rovescia, una sollecitudine positiva per ciò che si verifica oltre il giardino di casa.
Valentino Ballabio
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