23 settembre 2019

C’È UN TESORO IN CITTÀ

Cittadini, finanza e problema “casa”


La crisi del 2008 ha portato alla luce un tesoro. Anzi no, ne ha fatto intravvedere l’esistenza. C’è qualcosa di strano, però. Solitamente i tesori affascinano e meravigliano, invitano alla ricerca. Invece di questo tesoro pare che nessuno abbia voglia di occuparsi, anzi non si vede l’ora che i suoi tenutari pro tempore consumino in fretta, in un modo o nell’altro, l’intera fortuna. È strano davvero. Potrebbe essere, non dico la soluzione, ma una piccola svolta… E invece niente, sta lì (tra poco vi dico dove), per così dire dormiente e nessuno lo tocca. Sarà mica radioattivo?

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Partiamo con ordine. La crisi del 2008 inizia come crisi finanziaria. Il credito, i derivati, i subprime, i mutui, la casa. Il solito mattone. Il solito, sì! Studiare per credere, era già stato così nel ’29 (leggere il più divulgativo Galbraith se proprio non si ha voglia di approfondire appendici e tabelle di Keynes), e in Italia persino negli anni ottanta dell’Ottocento. Per farla breve, una bolla di mattone, il diritto di costruire (attenzione, non proprio il costruire) come zecca monetaria. Il cubo virtuale come moneta di conto (locale e globale, very glocal, altro che moneta complementare). Bastava lasciar fare, concedere più volumi, trasformare da agricolo, o industriale, a residenziale (o almeno a commerciale), lasciar crescere il valore di terreni, fabbricati, o anche di semplici operazioni immobiliari scritte sulla carta. L’abbiamo visto tutti. Poi, quando non si vendono più case (nonostante mutui generazionali strutturati apposta per rendere le rate compatibili con stipendi da fame), la valanga torna indietro portandosi appresso i detriti e tutto quello che trova sul pendio. Le immagini si sprecano, ci vorrebbe un esperto di metafore per rendere l’idea.

In sostanza, tutto quello che veniva mandato avanti, in maniera davvero agevole, con poca fatica (se non il lavorio di architetti e avvocati), grazie alla spinta gentile (una firmetta, una delibera o una determina), comincia a costare fatica (come nelle catene di sant’Antonio troppo ingolfate), la strada s’inerpica e infine tutto l’ammasso (prestiti, diritti edificatori, ipoteche) rotola all’ingiù. Ci son quelli che ammettono subito di averla combinata grossa e si dichiarano pentiti (la Spagna di Zapatero, “abbiamo perso dieci punti di PIL con l’immobiliare. Li dobbiamo recuperare, ma da un’altra parte, non ancora nel mattone”), ma in Italia non sia mai! Meglio puntellare con fragili bastioni fatti solo di parole i dolci pendii su cui sta rotolando la valanga. “L’Italia è il secondo paese industriale”, “le nostre banche sono solide (sì, soprattutto quelle legate al territorio…)”, “la speculazione immobiliare in Italia non c’è stata”, “la crisi del mattone non ha colpito le famiglie (gli immigrati sì, ma chi se ne frega)”, e via farneticando da parte di ministri, banchieri centrali e periferici, sindaci, immobiliaristi e imprenditori (industriali part time, immobiliaristi a tempo pieno).

Va bene, la storia la conosciamo. Arriva la vigilanza europea, cambiano le regole di trasparenza sulle attività bancarie e vien giù tutto. Quasi tutto, la storiella si può provare a raccontarla ancora, con qualche modifica del caso, il finale non è ancora scritto ma sicuramente sarà lieto. “L’immobiliare si riprende”, “la gente crede ancora nel mattone”. La casa non è proprio come un assegno circolare (quelli sì che eran bei tempi), ma basta aspettare… “Sono in netto calo le sofferenze bancarie (metà delle quali dovute proprio al mattone)”. E via così, esattamente con la stessa visione del mondo, le stesse procedure, le medesime panzane che avevano provocato il patatrac del 2008. Nuove volumetrie edificabili (tante! Sono stati toccati dalla crisi, bisogna aiutare i poveri mattonari), gli stadi (soprattutto quello che si portano appresso), le città della salute (o dell’innovazione, o della scienza, o di quello che si vuole, basta che sia very appealing).

Non è rimasto però proprio tutto uguale uguale. Se le banche centrali, fino al 2008, viaggiano nel solco del credo Greenspan (mai più crisi coi tassi bassi, abbiamo spalle larghe), in seguito si son messe a stampare denaro più che altro per tappare i buchi delle banche. E allora il tesoro? È proprio lì, nei bilanci delle banche. È tutto quel ben di dio di credito deteriorato, ipoteche, operazioni immobiliari dormienti, mutui e prestiti che non vengono pagati. Le banche se ne sono in parte liberate a colpi di pacchetti milionari, spesso miliardari, a volte di decine di miliardi. Siccome perdevano di valore pesavano sui bilanci, così han ceduto la mercanzia a prezzi di realizzo. Trenta, venticinque percento, ma spesso anche venti o quindici del valore a libro. E chi compra? Si chiamano fondi avvoltoio (il perché si capisce abbastanza) e qualche volta i fondi avvoltoio sono ben imparentati con quelli (i grandi debitori) che, non restituendo i debiti, sono causa del deterioramento dell’attività bancaria. C’è persino qualche grossa società (grossa grossa) che ha svoltato rapidamente nel core business, dall’investimento immobiliare alla gestione dei crediti in sofferenza (così forse può ricomprarsi il suo stesso debito a un prezzo frazionale).

Sarebbe bello sentire di qualche amministratore, magari di comuni grossi che sono i più attrezzati, che va in banca per avere un quadro dei crediti in sofferenza che riguardano la sua città. Per sapere quante sono le famiglie che non riescono a pagare il mutuo, per vedere se ci sono dei terreni che si possono comprare per quattro soldi per poi metterli a disposizione della città (e sottrarli alla speculazione), per capire quali sono le operazioni immobiliari sulle quali si può fare un ripensamento. “Conoscere per deliberare”, mica solo deliberare a capocchia. Certo non è facile. Anzi è piuttosto complicato, ma meno di quello che sembra, e non sarebbe la prima volta nella storia d’Italia che la scoperta del bene comune viene in soccorso dell’economia.

Bisogna cominciare, magari con progetti in scala ridotta per vedere come butta. Prendiamo un piccolo fabbricato dove sono tutti indebitati. Quanto costa rilevare (a prezzi di realizzo) i mutui residui? Comune (e stato) sono in grado di acquistare il pacchetto? Proviamoci, potrebbe essere quasi un affare o almeno un’operazione a costo zero: i proprietari (ipotecati e pignorati) diventano affittuari e il comune (e lo stato) con la riscossione degli affitti si ripagano il finanziamento. Poi magari i cittadini, passata la buriana, man mano che ne hanno la possibilità, la casa la potranno riscattare. Lo stesso con le operazioni immobiliari, decotte, decrepite o dormienti. Ci sono terreni o stabili interessanti per il comune? Si può trattarne l’acquisto?

Ancora una volta, non è facile. Certo che non è facile, ma stiamo parlando della più grande crisi nella storia del capitalismo. O vogliamo continuare a raccontare barzellette?

Mario De Gaspari



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  1. Andrea PassarellaE' una bellissima idea anche se a mio avviso il comune dovrebbe rimanere proprietario delle proprietà riscattate. Molte persone eccessivamente indebitate lo hanno fatto sapendo che prima o poi qualcuno avrebbe pagato per loro e questo sarebbe ingiusto verso chi non si è mai comportato disonestamente da un punto di vista finanziario. Fare questa operazione non sarebbe facile ma darebbe ai comuni la possibilità di ripianificare/rigenerare intere zone rilanciandole economicamente. E' venuto finalmente il momento che il pubblico faccia l'imprenditore avendo un occhio benevolo e giusto verso chi ha più bisogno ed un comportamento spregiudicato verso gli speculatori.
    24 settembre 2019 • 19:12Rispondi
  2. Cesare MocchiTutto molto corretto e ragionevole. Tranne che immaginare che il Comune (che spesso e volentieri sbaglia a suo discapito anche i conti più elementari...) sia in grado di fare operazioni complesse e delicate come quelle delineate. Sarebbe bello, per carità (ma non è così).
    25 settembre 2019 • 11:35Rispondi
  3. Marilena ArancioArticolo interessante ma sulla parte finale un dubbio è lecito: se i cittadini non riescono a pagare le rate di un mutuo, vien da pensare se sarebbero in grado di pagare la rata mensile di un affitto....
    25 settembre 2019 • 14:52Rispondi
  4. Mario De GaspariDall'ultima domanda. Spesso il cittadino non paga le rate del mutuo perché la quota residua da rimborsare è superiore al valore dell'alloggio. Tutta la vicenda dei subprime nasce da questo. Nel caso estremo il problema è di natura strettamente sociale sia nel caso di perdita della casa per insolvenza sia nel caso di impossibilità a corrispondere un affitto. In generale comunque è evidente che si tratta di soluzioni complicate, ma nei pacchetti sofferenze c'è di tutto ed è proprio lì che il pubblico, comune e stato, dovrebbero fare cernita. Da un approccio tutto macroeconomico (tutto nelle mani delle istituzioni finanziarie) a uno micro basato sulla selezione. Del resto se i comuni vogliono giocare un ruolo effettivo nell'attuale crisi economica possono farlo unicamente valorizzando le loro prerogative, i suoli e la potestà decisionale. Anch'io faccio fatica a immaginare un comune che si imbarca in operazioni del genere, ma fatico anche a trovare interessante l'attività dell'amministratore pubblico che si limita ad osservare il corso delle cose.
    25 settembre 2019 • 15:39Rispondi
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