16 settembre 2019

CALCIO E URBANISTICA, BENEFICI CHE VANNO E CHE VENGONO

Trovare l’equilibrio è essenzialmente una scelta politica


Prendo spunto dall’editoriale di Luca Beltrami Gadola “Calcio e Urbanistica oggi sposi” del 23 luglio scorso, non tanto per parlare del nuovo stadio, che non mi coinvolge né per interessi né per passione, ma piuttosto per ricollegarmi al tema su cui ho già scritto in passato, quello dell’attribuzione dei margini che i progetti di sviluppo generano.

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L’articolo sostiene – e lo dico subito: sono in parte d’accordo – che occorra una più equa ripartizione di tali margini tra operatore privato e pubblico in rappresentanza della collettività.

È dunque il valore della civitas e non la sola meccanica dell’accumulazione che rende grande una città” scrive Beppe Longhi citato nell’articolo dove apprezzo il concetto di “civitas” come accumulatore di energia collettiva a cui riconoscere il suo controvalore (ma leggendo il dotto intervento per intero mi viene il sospetto che Beppe Longhi ed io viviamo in due Milano diverse).

Ci sono diverse tesi su criteri, modalità e quantità di tale redistribuzione, e non basta una valutazione di costi e ricavi ma, come oggi si sa, occorre affiancare un’analisi di costi e benefici. Nel primo caso i costi sono più o meno noti, salvo il valore dell’area che è l’incognita, ed i ricavi sono stimabili (ma c’è sempre l’incognita del fattore rischio, su cui la mia opinione è probabilmente diversa da quella, per esempio, di Roberto Camagni citato appunto nell’articolo in oggetto).

Poi ci sono i costi e benefici, quelli generati dalla “civitas” quale costruttore di futuro, a cui va riconosciuto un valore. Inoltre ci sono i costi per la collettività, che nel caso di aree pubbliche sono in sostanza la perdita della possibilità (teorica?) che possano diventare verde o servizi pubblici dei quali comunque è da valutare la reale necessità. Ma vanno considerati anche i benefici che gli sviluppi privati portano alla città, nel suo complesso e nelle sue parti, che ritornano alla “civitas”.

Non possiamo nascondere che non tutti i progetti generano benefici: ce ne sono di fatti male, dannosi, è vero, ma vorrei considerarli come degenerazioni patologiche di una sottoclasse imprenditoriale o bassamente speculativa o professionalmente incompetente (di cui tanto invenduto è esempio). Ci sono poi progetti “poveri” di benefici, come ad esempio un’offerta abitativa per una domanda che altrimenti sarebbe inevasa (che comunque alimentano una catena di sostituzione con diversi vantaggi) e comunque la realizzazione di nuovi edifici normalmente porta ad una riqualificazione del loro intorno, che costituisce un beneficio per chi nell’intorno abita o opera.

Poi ci sono interventi “ricchi” di benefici: come il Social Housing, ormai riconosciuto come asset class, e progetti che ingenerano un livello superiore di benefici “ricchi”, la cui ricaduta in termini di offerta di spazi innovativi, di servizi avanzati e di immagine va a vantaggio della città nel suo complesso, andando a costituire un arricchimento di quella “civitas” che ha dato la linfa all’origine dei progetti. Si tratta quindi di un processo circolare di mutua spinta tra la città fisica (e chi costruisce la città fisica) e la città degli abitanti e dei fruitori. Se i milanesi (e non solo) generano opportunità (economiche, sociali, culturali etc) ciò avviene anche perché esiste una città fisica che glielo consente, mettendo a disposizione spazi, servizi, immagine e collegamenti materiali e immateriali; tutte realtà che permettono non solo di viverci gradevolmente, ma anche di attrarre competenze, risorse, investimenti da tutto il mondo.

Senza entrare nel merito di specifici progetti (nessun progetto è esente da difetti) ma cercando di leggere una ricaduta complessiva delle iniziative, tale effetto di crescita della “civitas” lo si può leggere nella trasformazione di Porta Nuova e del suo intorno, che la città con soddisfazione oggi spende come biglietto da visita.

Non so se un nuovo stadio sia un progetto “ricco” e generoso per la “civitas”, in grado di donare o restituire nuova immagine, nuovi servizi e nuove opportunità che alimentino la sua crescita ma, nel riflettere su una più equa distribuzione dei margini tra sviluppatori e “civitas”, vorrei che, oltre a riconoscere a quest’ultima il controvalore del suo laborioso operare, si riconosca anche agli imprenditori il controvalore dei benefici che un (bel) progetto consente.

Tutto ciò con la consapevolezza di quanto sia difficile “pesare” i benefici che la “civitas” genera e quelli che riceve.

Giuseppe Bonomi



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  1. Andrea PassarellaArticolo di cui condivido ogni parola.
    26 settembre 2019 • 20:33Rispondi
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