7 settembre 2019
MARENGO 1800
Una nuova ricostruzione della battaglia
Non abbiamo imparato nulla dal passato sulla conquista di nuove terre, visto che le strategie politiche attuali si limitano alla conservazione di poltrone sotto lo stesso cielo. Eppure sono passati solo duecento anni da quando Napoleone Bonaparte, il 26 maggio 1805, al Duomo di Milano, è stato incoronato Re d’Italia con la Corona Ferrea. Una giacca blu a coda di rondine con i bottoni dorati. Logora. Con i buchi fatti dalle tarme.
Cinque anni prima, a Marengo, sotto la pioggia e al freddo di un’estate che stentava ad arrivare, lo aspettavano trentamila soldati pronti a salutare il loro generale e a battersi contro gli austriaci. Quella battaglia è la prima combattuta da Napoleone come capo dello Stato francese. Benché relativamente modesta rispetto agli apocalittici scontri che segnano la fine della sua carriera, la natura della vittoria conferisce a Marengo uno status quasi leggendario. Strappato dalle fauci della sconfitta, quel successo conferma il genio militare di Napoleone e consolida il suo potere politico.
Il nuovo resoconto, descritto dall’inglese Terry Crowdy nel saggio “Marengo 1800” (Leg Editrice, pp 368, euro 26), è una cronaca della grande battaglia e delle decisioni che la causarono. Oltre allo stravolgimento dello scontro e ai giorni immediatamente precedenti e successivi, sono approfonditi anche eventi meno noti ma significativi, e particolare attenzione è rivolta ai principali protagonisti austriaci e al loro ruolo nel dramma.
Si racconta che Napoleone abbia pianificato la campagna militare nel marzo del 1800: voleva portare l’esercito austriaco a San Giuliano, nella pianura di Alessandria, vicino a un paesino chiamato Marengo. Perno di questa strategia era il disegno di superare le Alpi attraverso il valico del San Bernardo, in un periodo dell’anno in cui nessuno avrebbe fatto passare soldati e cannoni per sentieri a strapiombo ancora innevati, con il rischio di precipitare nei dirupi da un momento all’altro. Un’impresa leggendaria, certamente. Prima di allora era stata tentata da Annibale. Il passaggio delle Alpi sorprende i comandi austriaci capeggiati da Anton von Zach, che però con arguzia evita consapevolmente di affrontare le truppe francesi all’altezza dell’imbocco dei valichi alpini, aspettandoli in pianura.
A questa robustezza difensiva contribuisce molto l’efficacia di un sistema di spionaggio, ricostruito molto bene dall’autore, da cui emerge una nuova figura, quella di un giovane avvocato torinese: Carlo Gioielli. In un raffinato doppio gioco, la spia si destreggia con abilità tra vecchi e nuovi padroni, servendo contemporaneamente i servizi segreti francesi e quelli asburgici. Napoleone lo incontra a Milano, alla vigilia della battaglia, durante un colloquio raccontato nei particolari nel libro. Ma Napoleone, di lui, sembra non fidarsi.
Alle due del pomeriggio la battaglia è praticamente vinta dalle truppe asburgiche e Napoleone invia con urgenza un messaggio a un suo generale “Tornate, in nome di Dio, se potete”. Cosa che ripeterà nel 1815, durante la battaglia di Waterloo, purtroppo non con lo stesso esito. A Marengo, c’è il giovane generale Desaix che abbandona la posizione che gli era stata inizialmente affidata e torna indietro sconvolgendo un esercito nemico troppo rilassato per la vittoria ormai certa. Nonostante le incitazioni dell’impavido ufficiale austriaco Radetzsky, le sorti si capovolgono a favore dei francesi. “Sono appena le due del pomeriggio. Abbiamo perso una battaglia, c’è il tempo di vincerne un’altra.” È il 14 giugno 1800, l’alba dell’epopea napoleonica.
Cristina Bellon