8 luglio 2019
VINCOLOPOLI MILANESE
Qt8, Piazza d'Armi,Palazzina ex Chimici: tre indizi
Dopi il QT8, la Piazza D’Armi. Ma non ci si ferma qui. È in arrivo, udite udite, un bel vincolo ad hoc per “l’Ex Chimici” di Rogoredo, l’ultimo rimasuglio urbano delle Acciaierie Redaelli. Diceva Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova».
Il primo indizio? Il vincolo “culturale” al QT8, come ho già raccontato, avrà l’effetto di rallentare se non bloccare la maggior parte delle opere edilizie (si salvano solo le opere interne agli edifici correnti), comprese le manutenzioni straordinarie del verde. Non si potrà cambiare il colore di casa propria o sostituire una pianta senza il parere decisivo e vincolante (ma mi domando io, quanto autorevole e consapevole?) della nostra Soprintendenza. Sempre che poi la decisione non venga avocata a Roma (ormai non mi stupisco più di nulla) e che delle mie persiane o del mio ciliegio decida un funzionario del MIBAC documentandosi su Google Maps … .
Siamo nel paese degli eccessi e delle misure sproporzionate. Vi pongo la questione: non sarebbe stato più sensato, ragionevole ed equilibrato porre un vincolo paesaggistico limitato al Monte Stella che era il vero oggetto degno di tutela? Dico “oggetto” col massimo rispetto, perché trattasi di elemento artificiale progettato in modo attento e sensibile da un grande architetto. Invece si è deciso in stanze remote e poco sapienti che il vincolo andava esteso a tutto il quartiere. Eppure tutti sappiamo che la pietra dello scandalo è il progetto delle pietre. Quello della “riqualificazione” del Giardino dei Giusti, pesante e antipoetica. Quello che ha generato l’intervento esogeno, l’ingerenza politica, l’entrata a gamba tesa (siamo vicini a San Siro, passatemi la metafora calcistica). E la beffa è che il progetto, pur mitigato e ridotto, ha già inflitto il suo vulnus alla “Montagnetta”.
E quindi il vincolo arriva a chiudere la stalla (o la scuderia, visto che siamo anche in zona Ippodromo) quando i buoi (o i cavalli) sono già scappati. Però, come si diceva, un indizio è solo un indizio…
Veniamo al secondo indizio. La Piazza D’Armi.
Vi racconterei un po’ di storia urbanistica di questo luogo, ma finirei fuori tema. Purtroppo per voi non resisto e quindi qualcosa ve la dico comunque. Brevemente, solo due fattarelli. In principio c’era la Piazza D’Armi, subito alle spalle del Castello Sforzesco. Un dì venne dismessa e grazie alla società civile di allora non finì nelle grinfie di Società Immobiliari Cattivissime e Perniciose (anche se il “caro” ing. Beruto all’inizio nel suo PRG ci aveva provato), ma divenne il romantico Parco Sempione che tutti conosciamo e amiamo (qui potete leggere una versione più completa della storia).
Venne realizzata allora una seconda piazza d’armi, di pari dimensioni in zona solo un po’ più periferica. Ma anche quella venne dismessa per diventare prima Fiera Campionaria e poi City Life con torri griffate, parco curato e pure che piace a tanta gente. E quindi per la terza volta la piazza d’armi si dovette reinventare e atterrò a Baggio. Dico atterrò, perché ancor prima di essere utilizzata da carri armati e cingolati per esercitazioni e scuola guida, fu per un po’ usata da Forlanini come aerodromo e fabbrica di dirigibili.
Poi arrivano i carri armati e infine tutto viene lasciato all’incuria e all’abbandono. Ad oggi in quella landa desolata e mal utilizzata (la zona degli orti nella porzione nord, quella degli hangar di Forlanini per intenderci, è sede di discariche abusive, riciclaggio ed altre amenità) è sorta spontaneamente una riserva di biodiversità degna di essere preservata. Come ben ribadito da associazioni e comitati locali.
Non da oggi ci si è posto il problema del recupero di questa area. Nel 1995 Pierluigi Nicolin in Nove parchi per Milano ipotizza un grande parco centrale e volumi costruiti sul bordo. Il PGT Moratti/Masseroli, quello ucciso nella culla da Pisapia, prevede un indice che viene quasi dimezzato nel primo vero PGT, quello appunto a firma Pisapia/De Cesaris ovvero 0.7 mq/mq.
Il futuro PGT 2030 ora in fase di osservazioni prevede un indice ancora dimezzato: 0.35 mq/mq. Sono sempre tanti volumi, circa 437 mila metri cubi, che però generano, mal contati, 30 milioni di euro di Oneri di Urbanizzazione. Una bella cifra a cui va aggiunto il Costo di Costruzione. Insomma tanti bei soldini con cui il Comune potrebbe, guarda caso, costruire il parco che tutti vogliono.
Manca ancora qualche informazione. L’area della Piazza D’Armi è di proprietà di INVIMIT (Investimenti Immobiliari Italiani Sgr S.p.A), una società dello Stato, nello specifico del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha pagato al Ministero della Difesa ben 60 milioni di euro per averla. Con lo scopo di farla fruttare. Ovvero di venderla ai privati. Che notoriamente agiscono a scopo di lucro e non per beneficenza. Va anche detto che le prime gare non sono andate bene. Non ho poi affrontato la questione delle bonifiche. Necessarie sia a causa delle esercitazioni militari sia per le discariche abusive.
Il tema è complesso, ma Comune e Associazioni lavorano da anni per cercare di trovare una soluzione che metta d’accordo tutte le parti senza sacrificare la sostenibilità economica dell’intervento. Perché diciamolo in modo chiaro, senza i quattrini non si fa nulla. E i quattrini li mettono i privati.
In questo quadro si inserisce in modo scomposto e discutibile (e infatti ne discutiamo e ne parliamo) indovinate chi? Esatto! Il MIBAC con una proposta di vincolo, che riguarda tutta l’area, compresi i Magazzini di Baggio, cioè una serie di casermoni con un valore architettonico pari allo zero. E se il vincolo dovesse divenire effettivo? La conseguenza primaria sarebbe il blocco della strada intrapresa e il cristallizzarsi dell’attuale situazione di degrado. Il paradosso? Il Ministero della Difesa vende al Ministero dell’Economia un’area per farla fruttare e poi arriva quatto quatto il Ministero dei Beni Culturali e si mette di traverso. Schizofrenia di Stato? Tafazzismo governativo? Giudicate voi… Visto come sono andate le gare precedenti è assai probabile che, una volta apposto il vincolo, ci sarà la fila per l’acquisizione di questo bene ingessato…
Intanto siamo a due indizi, sicuramente una coincidenza.
Andiamo avanti.
Avete presente Rogoredo? Sì, quel quartiere lungo l’asse della via Emilia, tristemente noto alle cronache degli ultimi tempi per il Bosco della Droga. Solo un folle, un visionario o un visionario folle oserebbe investire in un progetto ad alto contenuto culturale in quella famigerata zona. Come dite? Il Conservatorio di Milano? No, dai, mi sembra improbabile! E invece…
Il Conservatorio di Milano ha pensato bene di utilizzare la cosiddetta Palazzina EX Chimici, ovviamente con un progetto di recupero e riqualificazione, come sede distaccata dotata di 200 posti letto e un auditorium. Progetto lodevole e interessante che rischia di saltare per aria se il MIBAC regalerà, come sembra probabile, l’ennesimo vincolo proprio alla Palazzina in questione. Una palazzina ricca di amianto. Ovviamente da vincolare anch’esso. Curioso che la notizia del vincolo salti fuori pochi giorni dopo l’annuncio del Conservatorio. A pensar male si fa peccato, ma a volte ci si azzecca, diceva un tale.
E con questo siamo a tre indizi. Ovvero una prova. Una prova di cosa? Lascio a voi trarre le inevitabili conclusioni.
Io aggiungo solo qualche ulteriore spunto di riflessione.
Milano in questi ultimi decenni si sta trasformando ad una velocità impensabile, soprattutto se confrontata con le ataviche lentezze italiche e con i normali tempi dell’urbanistica. Merito delle giunte che da Albertini in poi si sono succedute dimostrando l’acume di lavorare in continuità anche se partendo da colori diversi. Con pragmatismo, tipicamente milanese, le nuove giunte hanno saputo leggere e interpretare le azioni fatte da chi li precedeva e, lavorando per adattarle in maniera costruttiva al proprio diverso sentire, hanno evitato azioni ideologiche aprioristicamente distruttive. In questo contesto sono intervenuti attori privati che hanno apprezzato la possibilità di lavorare con regole e tempi certi ed hanno investito sulla città.
Possiamo dividerci sulla valutazione finale degli interventi, ma non sul fatto che si sia fatto.
Quando c’è certezza del diritto, c’è capacità attrattiva. Ma se ai decisori locali si sovrappone un altro ente che da lontano (perché la Soprintendenza locale ha in linea di massima sempre lavorato in modo fattivo e collaborativo con l’Amministrazione) in modo poco consapevole, per distanza (geografica e culturale), prevenzione ideologica (non provo neanche a spiegare) e interessi politici di parte (convincetemi che non è così!) sembra quasi che si diverta in maniera sistematica a mettere i bastoni tra le ruote del cambiamento, allora il meccanismo si inceppa.
Come ho già scritto, io credo che ci sia una questione metodologica e culturale alla base di tutto. La mentalità e la formazione di chi è deputato ai temi della conservazione è spesso troppo parziale e rigidamente impostata. Forse per lavorare in Soprintendenza e al MIBAC in ruoli decisionali bisognerebbe aver fatto almeno dieci anni di libera professione a progettare e a restaurare sul campo. Questo favorirebbe una visione più realistica e meno basata sui paraocchi della teoria da parte di funzionari che sono troppo impostati sul concetto di “no”, in nome di una tutela fittizia di un patrimonio che in realtà viene dal vincolo condannato al degrado perenne. Un po’ come le assicurazioni che in prima battuta di fronte alla richiesta di risarcimento, lo negano.
Va detto che in questo campo funzionano meglio le Commissioni Paesaggio, perché formate da professionisti che “prestano” il loro tempo, la loro cultura architettonica e la loro esperienza alla valutazione delle proposte progettuali. Dico prestano perché questa attività è scandalosamente non retribuita per legge.
Eppure dovremmo avere sotto gli occhi tutti l’emblematico caso dell’Istituto Marchiondi, capolavoro brutalista di Vittoriano Viganò. Oggetto di un vincolo monumentale, da decenni in stato di degrado a causa dell’impossibilità di operare un recupero della struttura a causa di difficoltà oggettive, ma soprattutto per il vincolo imposto. Parole non mie, ma dell’ultimo degli attori che ha provato lodevolmente ad intervenire: il Politecnico di Milano, che ha ahimè gettato la spugna.
Spero che su questo tema si apra un dibattito e soprattutto che vi sia un’inversione di rotta da parte di un attore istituzionale, importante, ma troppo legato ad interessi politici di parte. Prima che sia troppo tardi e che Milano affondi in un mare di vincoli.
Pietro Cafiero
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