23 novembre 2021

STRADE, AUTOSTRADE, TARIFFE

Chi deve pagare le strade? E i costi ambientali del traffico?


ponti

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In generale, è una buona regola che chi genera costi alla collettività li paghi. Tutti e solo quelli. Di solito non solo è giusto (si pensi ai costi ambientali, e al principio “chi inquina paga”), ma è anche efficiente, perché cosi chi genera costi cercherà di minimizzarli, beneficiando sé e gli altri.

Ma per gli investimenti in infrastrutture non funziona così. Sarebbe giusto ma non è efficiente. Tecnicamente, si tratta di “monopoli naturali”, che vuol dire che i costi di investimento sono molto più alti dei costi di usarli. Si pensi a una strada: costa cara a costruirla, mentre le macchine che ci passano su provocano solo un piccolo aumento dei costi di manutenzione (logorano un po’ il manto stradale, che però si danneggia anche solo con pioggia e sole). 

Proviamo ad arrivarci per via intuitiva, anche se non è semplicissimo. Una volta costruita una infrastruttura, per la collettività è meglio che sia usata per la capacità per cui è stata costruita, non di meno. Sarebbe uno spreco di risorse. Ora, se faccio pagare agli utenti anche i costi di costruzione, la useranno al di sotto della sua capacità. Devono pagare solo i costi che generano alla collettività usandola (cioè abbastanza poco). Se poi generano congestione, o danni ambientali, devo fargli pagare quelli, non altri. Si pensi a delle macchine elettriche che viaggiano su una strada non congestionata: se gli faccio pagare i costi di investimento, quella strada diventerà sottoutilizzata. 

Tecnicamente, si chiama “tariffazione ai costi marginali” (cioè solo quelli che si generano nell’uso). Ma allora, chi deve pagare i costi di investimento delle infrastrutture? Per il loro uso efficiente, lo Stato, cioè tutti i contribuenti, anche quelli che non le useranno. Si fa così in quasi tutto il mondo. Non è giusto però. E in alcuni casi, se lo Stato ha pochi soldi, parte dei costi di investimento sono fatti pagare agli utenti con i pedaggi, o con parte delle tasse sulla benzina (si scambia efficienza con equità).

Per la congestione siamo indietro, ma a Milano e in altre città e autostrade del mondo ci sono “tariffe di congestione” e la tecnologia satellitare le rende più semplici da applicare. Per l’ambiente, ci sono le tasse sulla benzina. Per la sicurezza, le assicurazioni ne coprono buona parte.

“Getting the prices right”, una “metaricerca” del Fondo Monetario Internazionale, che confronta e riassume cioè centinaia di altre ricerche, ha determinato che in Italia (e in pochissimi altri paesi) le tasse sulla benzina e le altre tasse sui veicoli stradali sono tali da far pagare in media agli utenti addirittura di più dei costi che questi generano alla collettività, compresi quelli di congestione e quelli degli incidenti stradali. Ma quell’” in media” non significa affatto che tutto va bene: le tasse sulla benzina vanno bene per l’ambiente, ma per la congestione occorrerebbero invece tasse mirate là dove si forma e quando si forma, come per gli incidenti sarebbe meglio controllare molto più severamente le velocità e usare sistemi assicurativi “bonus-malus”, che colpiscano gli indisciplinati.

Cioè i fenomeni vanno gestiti là dove si creano, e lo Stato non può limitarsi a prelevare dove gli fa più comodo.

Il settore stradale genera alla Stato 40 miliardi all’anno con le tasse, al netto dei costi del settore (cioè costruzione e manutenzione della viabilità non a pedaggio). Ma per le autostrade gli utenti pagano con i pedaggi anche tutti i costi di costruzione e di manutenzione (con poche eccezioni di quelle gratuite al Sud). 

Ma nemmeno questo dice tutta la storia: i pedaggi autostradali sono stati resi eterni, e assurdamente remunerativi per i concessionari autostradali (per il maggior concessionario, Autostrade per l’Italia, AspI, il tasso di interesse era superiore all’11% garantito, e si è anche visto che di manutenzioni ne son state fatte poche). Ma è ancora peggio di così: la rete autostradale italiana era già in parte ammortizzata dagli utenti quando è stata data in concessione, tuttavia i pedaggi non sono mai diminuiti. Perché? Certo non si può escludere la corruzione (anzi), ma la spiegazione più semplice è che lo Stato ha fatto a metà della torta (tra tasse sui profitti e canoni di concessione), e che gli automobilisti tanto non protestano mai, sono abituati alle tasse sulla benzina tra le più alte del mondo. In Spagna una grande autostrada, la costiera sud, è stata recentemente resa gratuita perché lo Stato ha fatto i conti e ha visto che gli utenti l’avevano già ammortizzata integralmente. 

In termini di politica generale dei trasporti, occorrerebbe come minimo che tutte le infrastrutture pagassero allo stesso modo per ragioni di equità, e che i costi ambientali, di sicurezza e di congestione diventassero più “mirati” su chi li genera. Oggi è una situazione assurda, inefficiente e iniqua: per le ferrovie (nemmeno nel caso dell’Alta Velocità), gli utenti non pagano l’infrastruttura né i costi ambientali (ridotti ma non nulli). Per gli aeroporti, con poche eccezioni gli utenti pagano tutto (ma gli aerei non pagano i costi ambientali, molto rilevanti). Per i porti solo in parte. 

Riassumiamo ora la situazione del settore stradale: per la viabilità ordinaria (non a pedaggio) gli utenti delle strade extraurbane pagano tutto con le tasse sulla benzina (che fuori città superano i costi ambientali). In città e nelle maggiori aree periurbane però non pagano i costi di congestione (e si ricorda che ridurre la congestione giova molto anche all’ambiente). Per le autostrade gli utenti pagano due volte (o forse tre): oltre alle tasse sulla benzina, pagano con i pedaggi i costi di investimento e di gestione, ma i pedaggi sono così alti che forse li pagano più di una volta. 

Per questo settore occorreva cogliere l’occasione dello scandalo di AspI (che da solo serve il 75% del traffico autostradale) per abolire la concessione. Non per statalizzarla (uno Stato che non è stato nemmeno in grado di controllare un concessionario non ha certo titoli per diventare un buon gestore diretto), ma per farne poi uno “spezzatino” da mettere in gara periodica (ogni 5-7 anni) per la sola manutenzione, finanziandola con una piccola parte delle tasse sulla benzina e con tariffe di congestione dove necessario. 

Uno studio recente dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) ha infatti dimostrato che le economie di scala nella gestione esistono fino a circa 300 km di rete, e AspI ne aveva 5.000. Questo per evitare troppo potere (“clout”, in termini regolatori) sia nelle dimensioni di chi vince la gara, sia nella durata della concessione (i “matrimoni” troppo lunghi tra pubblico e privato sono fonte di corruzione). E per le nuove costruzioni (non ne sono necessarie molte) basterebbero nomali gare di appalto. Questo assetto, tendenzialmente senza pedaggi tradizionali, renderebbe tra l’altro omogenea l’intera rete stradale, consentendone una più razionale pianificazione e gestione, cosa oggi impossibile a causa dei due regimi diversi (le tariffe di congestione oggi possono essere fatte pagare con sistemi satellitari come in Germania o comunque senza caselli, con sistemi “free flow”).

Si è scelto di fare l’esatto contrario: Cassa Depositi e Prestiti (CdP) subentra a AspI (generosamente risarcita), con una concessione ancora lunga, unitaria, che gestirà sia manutenzione che investimenti, senza alcuna tutela per gli utenti che hanno già pagato. Il concessionario diventa (semi)pubblico, ma la festa non finisce affatto. 

Marco Ponti

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