1 luglio 2019
“CAPITANA, MIA CAPITANA”
Finalmente un “vero uomo” combatte Salvini
Da ragazzi, Il capitano coraggioso dominava le nostre letture d’avventura: saldo al timone, comandava flutti ed equipaggio verso la meta lontana. Archetipo virile, ormai scomparso a sinistra dove l’indebolimento dei valori appanna i caratteri ed intiepidisce le passioni: restano leader pallidi, magari anche saggi, magari anche manovrieri negli stagni di casa, ma quanto al mare aperto, non diciamo l’Oceano, lasciamo stare.
E’ che per inoltrarsi in acque difficili serve altro: non è che a molti manchino le buone intenzioni, ma la tempra necessaria per navigare in acque difficili è merce rara, quella speciale combinazione di valori, coraggio e totale immedesimazione nell’ideale, che fa di un combattente un eroe, un eroe eponimo, facilmente compreso per la chiarezza delle sue intenzioni, le sue (poche) parole, i suoi (molti) fatti, dalla generalità delle persone, insomma dal popolo.
Quanto lo desideravamo questo Capitano, il Master & Commander, l’eroe capace di mettersi alle spalle i calcoli della sua stessa sopravvivenza per affermare un alto ideale comune. Finalmente è arrivato, ma con la sorpresa: non è un eroe, non è maschio, non ha neppure le spalle di Russel Crowe, è invece un’eroina, una femmina, piccola e con lunghi capelli rasta, una tostissima tedesca: la Capitana Carola. In barba agli stereotipi tanto diffusi in parte avversa, ma subdolamente presenti anche tra i democratici, la giovane tedesca ha mostrato i veri muscoli di un capitano, morale, determinazione, abnegazione, violando un blocco illegale ed immorale per salvare le sue persone.
Blocco immorale ed illegale che per questo, e solo per questo, è stato forzato, non osservando è vero leggi di uno stato che però a sua volta e prima aveva violato principi e leggi internazionali e di diritto del mare: il porto sicuro doveva essere concesso a norma ed è stato negato da quel Salvini che ha usurpato il titolo di capitano. La Capitana ha agito nello stato di necessità creato ad hoc dal Governo Italiano, sprezzante di principi e regole.
Carola Rackete ha contrapposto il profilo etico di un vero capitano a quello falso, campione di il-legalità, autentico bidone etico.
C’era bisogno di lei, quasi a ricordare che “quando il gioco si fa duro, allora entrano in campo le donne”, per ridare sangue ad una sinistra esanime, ancora tanto intontita dal consenso di massa raccolto dal falso capitano da divenire succube dei suoi comandi. C’era bisogno di Carola per ricordarci i valori essenziali della persona, qualunque e dovunque essa sia, tanto più se alla deriva in mezzo al mare: identità non negoziabile, non si dice dalla sinistra, ma dall’umanità. Ed ha un bel dire Del Rio che il PD non cerca eroi, servono, eccome se servono.
C’è bisogno di un eroe eponimo per contrastare simbolicamente e smascherare il falso capitano e per restituirci le forze necessarie per uscire dalle comode ridotte delle zone centrali e semicentrali delle città, dalle sedi del PD e dalle sue autoreferenziali feste estive, per tornare tra la gente, nei mercati, nelle periferie, e riaffermare con rinnovata convinzione la differenza che deve esistere tra una immigrazione regolata ed il desiderio omicida di abbandonare in mezzo al mare i fuggiaschi, o addirittura di affondare Sea Watch a cannonate, povero delirio di una povera leader semifascista, anzi forse tutta intera, a cui si è aggiunta l’orrenda sequenza di insulti volgari e sessisti rivolti alla Capitana sul molo di Lampedusa, e poi sui social, da un mondo incredulo del coraggio, del valore e dell’autonomia di una giovane europea.
Carola ha battuto il suo giovane pugno sul tavolo, senza troppi calcoli politici e personali, incurante delle conseguenze che le possono derivare di persona, e l’ha battuto perché la posta era troppo alta per farsi incartare da giochi e giochini. Forse qualcuno avrebbe cinicamente preferito che se ne fosse rimasta al largo, obbediente son malgrè ai diktat del Ministro degli Interni, macerando sé e i suoi sventurati passeggeri in un’attesa senza fine, assistendo passiva al degrado delle condizioni di vita a bordo, fino al momento in cui la situazione fosse divenuta così drammatica e pericolosa da costringere la comunità internazionale ad un gesto di resipiscenza morale. Un gioco al massacro, da condurre lasciando che il cerino passi di mano in mano, nella speranza che rimanga alla fine in quella di Salvini.
Ipotesi possibile forse politicamente, ma non moralmente. Non per un capitano, tanto meno per una capitana, su cui incombe il dovere morale delle genti di mare, e quello giuridico, di fare tutto serve per salvare le persone sotto la sua guida. Come avrebbe potuto guardarle ancora per altri giorni, mentre le condizioni igienico sanitarie degradavano oltre il sostenibile, come avrebbe potuto sostenere il loro sguardo se per sventura uno di questi avesse perso la vita mentre girava e girava al largo, en attendant Godot o un lascia passare sempre troppo tardivo? E come noi, con lei?
Non era cosa da capitana, non da Carola, non da gente di mare, neppure da persone perbene, non importa dove e come politicamente orientate, ma semplicemente “umane”. Giustamente, ha diretto Sea Watch verso il porto di Lampedusa, e giustamente con grande determinazione. Nella concitazione, nel buio e nella stanchezza, ha messo a rischio una lancia della Guardia di Finanza che forse era stata messa lì in mezzo per cercare l’incidente: se n’è scusata, e tanto bastava, senza che la Pinotti ci si mettesse di mezzo, quasi che il PD c’entrasse qualcosa in qualche modo: excusatio non petita, accusatio manifesta?
Il suo gesto, il suo coraggio, la sua persona, sono oggi un patrimonio per la sinistra ed il campo democratico più ampio, dove il mondo della Chiesa e delle associazioni religiose sono il principale punto di riferimento nella riaffermazione della necessità di un nuovo e giusto ordine internazionale per circoscrivere e regolare con umanità il flusso delle correnti migratorie.
“L’aiutiamoli a casa loro” in questi ultimi anni è divenuto il mantra ipocrita dietro cui nascondere la caduta verticale delle politiche di cooperazione allo sviluppo, il persistere di ragioni di scambio ineguali, e con esse le politiche di potenza che innescano conflitti regionali, a loro volta generatori di ulteriore violenza, miseria, sangue, scenari da cui ognuno di noi vorrebbe evadere a tutti i costi. La sinistra deve riprendere in mano il suo profilo internazionale, la bandiera della giustizia nei rapporti tra i popoli, ciascuno facendo il proprio e concorrendo alla costruzione di iniziative di pace e sviluppo. Tocca all’Italia, colpevolmente assente nella crisi libica, tocca soprattutto alla UE, a cui il nazionalismo di destra con una mano chiede aiuto, mentre con l’altra la ferisce.
Il gesto di Carola è stato grande, ma sarà invano se ad esso non seguirà una iniziativa politica adeguata.
Ne siamo tutti coscienti, ma intanto lasciateci dire con Walt Whitman “Capitana, mia Capitana”.
Giuseppe Ucciero
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