24 giugno 2019

MILANO FA MEGLIO DI TUTTI MA FORSE NON BASTA

La rinascita della rendita immobiliare


Che Milano funzioni meglio delle altre città italiane, di tutte le altre, non è in discussione. Caso mai si tratta di stabilire quali siano le caratteristiche e i contorni del cosiddetto modello Milano. Se per modello si intende una generica attitudine – fatta di politica, cultura e managerialità – a fare meglio le stesse cose che fanno gli altri, il discorso è chiuso in partenza. Nemmeno si va troppo oltre se si focalizza l’attenzione su una più lucida capacità di orientare o gestire i processi finanziari globalizzati, soprattutto quelli che si intrecciano col settore immobiliare.

Degaspari

L’argomento si fa interessante se si ragiona in termini più estesi, cercando di capire se, o nel caso fare in modo che Milano possa davvero suggerire qualcosa di innovativo, ad un Paese pigramente e litigiosamente adagiato sul piano inclinato della sua decadenza. Cioè se Milano possa svolgere nei fatti un ruolo di guida più che proporsi come città benchmark all’interno di uno schema, ormai omologato senza essere validato, di soluzioni dello sviluppo urbano del tutto indipendenti, per non dire in contrasto con lo sviluppo complessivo del Paese.

Il suo modello Milano dovrebbe formalizzarlo con una certa urgenza, se intende rivestire il suo ufficio di capitale morale, cioè de facto. Il compito è tutt’altro che semplice, perché si tratta di andare oltre una moltitudine di stereotipate mitologie e luoghi comuni incardinati nella coscienza collettiva quasi avessero il prestigio della scienza esatta. Del genere “l’edilizia è il volano di tutta l’economia”, oppure “se piovono investimenti ne guadagnano tutti”, o prese di coscienza meno diffuse ma altrettanto insidiose come “nei comuni ormai si fa tutto a scomputo”.

È complicato, ancora di più di quanto lo fu quasi un secolo e mezzo fa, quando i destini del capoluogo lombardo e delle altre due capitali del regno, Roma e Napoli, si divaricarono su traiettorie che solo nella lunga stagione di tangentopoli sarebbero tornate a correre parallelamente. Mentre Roma e Napoli, rispettivamente solleticate dalla legge sulla capitale e da una nuova epidemia di colera, si buttarono a capofitto nella speculazione sui terreni, convogliando in operazioni sciagurate i capitali delle banche torinesi e genovesi, Milano si inventò, con la banca mista, il sistema per rimettersi in pari con i paesi che l’accumulazione di capitali l’avevano già compita con altri mezzi.

Mentre altrove le banche fallivano, insieme a un popolo di palazzinari improvvisati da loro stesse foraggiato, a Milano se ne fondavano di nuove, su basi del tutto differenti, adatte a promuovere l’elettrificazione e le grandi infrastrutture transnazionali. Insomma, mentre nel Paese si progettava una immensa bad bank dove ibernare crediti, fallimenti e operazioni decotte, a Milano si apriva la grande stagione della modernizzazione e dei consumi collettivi.

Ecco, oggi non basta, forse non serve, che Milano faccia meglio le stesse cose che fanno anche gli altri. Occorre che Milano faccia qualcosa di diverso e che al contempo ne mostri i vantaggi. Non penso a qualcosa che riguardi, ad esempio, la gestione di grandi eventi, come le Olimpiadi, dove non c’è da dubitare che la città saprà dare il meglio di sé. Mi sembra più interessante capire se Milano saprà uscire dalla insopportabile discussione in corso, dove tutto sembra comunicare che l’alternativa sia tra l’escogitare qualche marchingegno per uscire dall’austerità, tipo l’abbattimento del Turchino per scacciare la nebbia dalla Val Padana, o accettare in maniera rassegnata le regole di una terribile astinenza.

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Prendiamo ad esempio la realizzazione della grande isola pedonale del centro. L’idea è di quelle forti, in grado forse di caratterizzare un intero mandato. Ma non è quello che fu il Ring per la Vienna fin de siécle, e non solo perché Vienna era la capitale di un impero. Non basta che Milano realizzi un grande progetto urbanistico. È necessario che a questo progetto, e a tutti i progetti che la città sta per mettere in campo, corrisponda un’idea di democrazia. Un’idea capace di creare un diverso senso comune nel Paese, di indicare un modo diverso di utilizzare e reperire le risorse, un modo diverso di rapportarsi ai grandi player mondiali che si stanno prendendo le città, anche a costo di rinunciare a qualcosa, secondo i dettami della morale economica corrente. Occorre in sostanza che Milano faccia capire la convenienza, per il Paese intero, di giocarsi nel modo giusto, come ebbe a dire Walter Tocci, la carta della Città.

Qualche giorno fa un operatore molto attivo nel centro di Milano ha detto che occorre tornare a costruire per l’affitto. Non è una svolta da poco, dopo l’interminabile stagione del rito della plusvalenza. Sta forse accadendo po’ quello che succede quando, nei periodi di bassa, i grandi fondi speculativi spostano gli investimenti dal mercato azionario ai titoli di Stato. Si tratta né più né meno del ritorno alla rendita ottocentesca e la mossa coglie perfettamente la natura finanziaria dei beni immobiliari. Se si pensa poi che le banche stanno mettendo sul mercato una montagna di sofferenze, si capisce come lo spazio d’azione per la città sia davvero invitante. Dietro queste sofferenze ci sono mutui, terreni, diritti edificatori che qualcuno, spesso lo stesso operatore che ha piantato il chiodo, si sta ricomprano a un valore frazionale del valore a bilancio.

Non è accettabile assistere indifferenti alla rimessa in moto dello stesso meccanismo che ci ha portato vicini alla bancarotta. Mi era piaciuto l’assessore Maran quando, rivolto a Parnasi che stava aprendo il portafoglio, disse: “A Milano non si fa così”. Allora come si fa?

Mario De Gaspari



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  1. renato garoffoloRicordo la disperazione di tanti piccoli risparmiatori delle "cartelle del credito fondiario" Faccio presente che le entrate fiscali del comune di Milano erano 700 miloni di € nel2012 e nel 2020 saranno UN MILARDO E OTTOCENTO MILIONI. Faccio presente che chi possiede un sottoscala per custodire le bici della famiglia, dopo avere subito decine di furti delle stesse, e non potendolo agganciare come pertinenza, perché affittuario, arriva a pagare di IMU 650 € / anno. Per rendere la vita apparentemente brillante a Milano e per attirare i cosi detti "capitali" (Milano capitale dei capitali è la nuova furbata della Milano da bere), Milano sembra un paradiso fiscale dove gli oneri di urbanizzazione, sono talmente interessanti, rispetto alle altre capitali Europee,da attrarre. . ."di tutto" ; e cosa succederà? le banche presteranno i soldini dei risparmiatori per fare il cemento. E poi? Se il cemento viene venduto a caro prezzo i soldi spariranno, se invece il cemento non viene venduto, "salta il banco". L'Ho messa lì un po' semplice, ma chi deve capire, sarebbe meglio che la smettesse di fare il furbo.
    27 giugno 2019 • 22:11Rispondi
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