8 giugno 2019

NON CHIAMATECI DAME

Le volontarie vincenziane dal 1857 animano la parte più nobile della città. In tutti i sensi


Il 19 novembre del 1857 è un venerdì. Due signore che oggi classificheremmo sbrigativamente come appartenenti alla “Milano bene” danno vita a una particolarissima start-up dell’anima, un vecchio progetto di cui hanno a lungo parlato in famiglia, con le amiche e gli amici, nei salotti, nelle occasioni mondane che non si interrompono neppure sotto la dominazione austriaca: un’organizzazione di volontarie pronte a spendersi in prima persona per assistere i bisognosi.
La data è importante perché probabilmente quel giorno di 162 anni fa, che immaginiamo un po’ uggioso, tipicamente milanese, si consolida il mito della “Milano col coeur in man”, la città che sa guardare agli strati più bassi della popolazione per mettere a buon fine umanistico almeno un po’ del benessere di cui gode.

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Un benessere che il dominio austriaco ha scalfito solo in parte con tasse e imposte e che resta sostanzialmente legato ai patrimoni delle grandi famiglie e alle rispettive capacità di commerciare e intraprendere. In realtà quelle associazioni di volontariato non sono una novità per Milano, perché riprendono la tradizione dei cosiddetti “pii luoghi elemosinieri” risalenti a prima del Trecento, strutture religiose ma non solo: un modo di porsi nei confronti dei meno abbienti che dura ancora oggi e come dicevamo è entrato di diritto a far parte del lessico cittadino.

Quel 19 novembre dunque è la data che Elisa Melzi d’Eril Sardi ed Elisa Lurani Cernuschi del Carretto hanno scelto per invitare a Milano il primo gruppo di “Figlie della Carità di San Vincenzo”, congregazione fondata nel 1633 da Vincenzo de’ Paoli e Luisa de Marillac, per dar vita alla sezione milanese della Compagnia delle Dame di Carità di San Vincenzo. Giusto per inquadrare il momento dal punto di vista storico, vediamo velocemente quali sono stati i fatti principali di quei mesi.

In gennaio è tornata in città Cristina Trivulzio di Belgiojoso dopo il dissequestro dei suoi beni confiscati per attività antiaustriache, che ovviamente Francesco Giuseppe e il suo esercito di occupanti non gradivano; in febbraio l’imperatore d’Austria mette a riposo il feldmaresciallo Radetzky, a lungo governatore del Lombardo-Veneto. Nello stesso anno ricordiamo le nascite di Filippo Turati (in provincia di Como) e di Achille Ratti (a Desio), futuro papa Pio XI. Infine, la firma dell’ordinanza che sostituisce la numerazione progressiva (una specie di unicum urbano come se esistesse una sola lunghissima via) con la numerazione strada per strada detta anche dei “numeri rossi”: nel suo piccolo, una rivoluzione.

Ma torniamo alle nostre signore e all’attività di volontariato che cominciano a germogliare: nascono le Case della Misericordia, luoghi che fungono da riferimento per intere comunità e per garantire assistenza. La prima viene inaugurata nella parrocchia di San Simpliciano: è da lì, in quella basilica che si trova oggi quasi inglobata in corso Garibaldi, che partono le prime visite nelle case dei poveri, degli ammalati, della gente che ha bisogno di tutto, dal cibo ai vestiti, dai medicinali al semplice conforto umano.

Savoia-02“Oggi nei Paesi anglosassoni le chiamano home visiting – sorride Maresin Cavagna, vicepresidente della onlus milanese Gruppi di Volontariato Vincenziano -, e sembra che abbiano scoperto l’acqua calda nel settore dell’assistenza. In realtà è da 400 anni che noi vincenziani pratichiamo le visite domiciliari. Oggi le nostre attività sono state completate dai centri di ascolto, cioè i luoghi del primo incontro con i volontari, dai centri educativi di aggregazione giovanile, che garantiscono sostegno scolastico, e le case di accoglienza, cioè strutture messe a disposizione di chi deve risiedere a Milano per periodi medio-lunghi per garantire assistenza a familiari che devono sottoporsi a cure ospedaliere complesse”.

Per capire lo spirito che anima il gruppo (per favore, non chiamatele dame), ancora oggi in gran parte imperniato su personaggi dai nomi “storici”, appartenenti cioè a famiglie che hanno fatto la storia di Milano nei secoli scorsi, basta fare un salto nei locali della “Misericordia” di via Ariberto, la sede centrale, in cui due volte l’anno si svolge il mercatino, appuntamento irrinunciabile per chi è a caccia di oggetti nuovi o autenticamente vintage, abbigliamenti per adulti e bambini, capi di moda, biancheria per la casa, stoviglie uscite da vecchi bauli, libri e mobili la cui vendita serve a finanziare le iniziative del gruppo: tutto esposto nei locali al primo piano, dove è possibile trovare vere “perle”, basta avere un occhio allenato e muoversi in anticipo su giorni e orari, come in tutti i mercatini che si rispettino.

Una forma di autofinanziamento ormai consolidato nel tempo, reso possibile dalla mobilitazione di decine di volontarie e volontari: persone che mettono il loro tempo al servizio della causa, chi occupandosi del reparto bambini, chi della biancheria per la casa, chi degli abiti usati (può capitare di imbattersi in capi altrove introvabili, valga per tutti la giacca da ufficiale di cavalleria che se ne stava appesa sullo stender tra un gilet di velluto e un vecchio completo da uomo nell’ultima edizione di poche settimane fa).

Alle pareti il lungo elenco dei nomi di chi in questi 162 anni ha investito tempo e denaro, smosso coscienze, risvegliato torpori sociali anche nei momenti più bui della città. Forse soprattutto nei momenti più bui.

Ugo Savoia



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