12 maggio 2019

2019, PROVINCE, ANCORA. SLOGAN ELETORALI

Destino incerto, chi vuole un passo avanti e chi indietro


Le province tornano alla ribalta. Dopo il drammatico crollo di alcuni ponti, la chiusura per inagibilità di tratte di strade provinciali e le pessime condizioni di molte scuole superiori per mancanza di risorse economiche e tecniche, l’opinione pubblica (?) o meglio la stampa si è accorta, dopo le crociate abolizioniste, che, forse, le Province servono. (1)

La proposta di riforma costituzionale di Renzi aboliva le Province. In attesa, la legge Delrio (2014) aboliva l’elezione diretta degli amministratori, trasformava cioè le Province in enti di secondo grado ovvero enti strumentali e non rappresentativi e ne affidava la gestione ad amministratori comunali, a titolo gratuito. Identico trattamento per le Città metropolitane. I trasferimenti venivano ridotti di oltre 5 miliardi ma le competenze principali restavano le stesse di prima.

Negli ultimi anni il Parlamento si è accorto dell’incongruenza tra risorse finanziarie e competenze: il governo Gentiloni e poi il governo Conte hanno dovuto rifinanziare il fondo perequativo per consentire a quegli enti, che continuavano comunque ad erogare servizi, di chiudere i bilanci 2018.

Le Città metropolitane invece di essere enti politicamente forti per governare agglomerati urbani complessi, sono più deboli delle vecchie province in quanto enti di secondo grado; oltretutto gestiti da amministratori comunali che se ne occupano nel tempo libero. La questione comunque è stata riportata alla Conferenza Stato – Enti locali e il 29 aprile il sottosegretario Candiani ha presentato una proposta di riforma che sarà discussa il 16 maggio prossimo (il testo della proposta non è ancora disponibile).

La proposta cade però in piena campagna elettorale e la sorte di Province e Città metropolitane è merce di propaganda. Salvini vuole ripristinare l’elezione diretta del Presidente, come prima delle legge 56 /2104 (Delrio). Di Maio non vuole le Province (non si sa cosa voglia) e insiste a chiamarle “carrozzoni” e “poltronifici”. Delrio non vuole prendere atto del fallimento della sua legge e sostiene che è solo una questione di risorse e che la riduzione dei trasferimenti era cominciata con il Governo Monti.

Ora mi trovo, mio malgrado, ad essere d’accordo con Salvini. Meglio un passo indietro che l’attuale situazione. Oppure si potrebbe fare un passo avanti e ripensare seriamente ad una riforma degli enti locali e alla funzione centrale e indispensabile dell’ente intermedio tra regioni e comuni che, non ostante la legge Delrio ne incentivasse l’accorpamento, sono ancora quasi 8.000.

Targetti-02

Le ipotesi possono essere diverse: un modello unico per tutto il Paese o modelli diversi per le diverse regioni. Oppure un modello forte: le Regioni programmano e legiferano, le Province e le Città Metropolitane gestiscono tutte le funzioni sovracomunali. Oppure un modello agile: poche funzioni strategiche alle Province (pianificazione del territorio, trasporti e viabilità, ambiente) e una riorganizzazione effettiva delle funzioni attribuite ai comuni in relazione alle loro dimensioni. Mentre le Città Metropolitane, quelle vere, dovrebbero avere una più accentuata autonomia anche fiscale.

Comunque l’elezione diretta degli amministratori delle Province e delle Città Metropolitane (e un compenso adeguato al tempo necessario a ben governare) resta a mio avviso garanzia di efficace rappresentanza e di autorevolezza degli enti. Come del resto ha recentemente riaffermato anche l’Istituto Nazionale di Urbanistica, un’istituzione storicamente progressista, nel documento conclusivo del suo XXX Congresso dell’aprile scorso.

Per ora il Partito Democratico non si è pronunciato pubblicamente sulla proposta Candiani, non so se il gruppo parlamentare stia elaborando una nuova idea o se è deciso a sostenere l’originaria posizione di Delrio. Suggerirei di uscire dalle logiche di gruppo e aprirsi al confronto. Dopo le elezioni europee il PD dia il via agli Stati generali degli enti locali, un confronto, organizzato in ciascuna regione, aperto alle rappresentanze sociali, agli esperti, agli amministratori, agli studiosi (le élites); si confronti con gli amministratori di altri paesi europei e su queste basi formuli una proposta di riforma non demagogico – populista.

Ricordo che mentre nei decenni scorsi le “Province carrozzoni” bene o male governavano e gestivano servizi essenziali come la pianificazione del territorio, le strade e le scuole, il solo Comune di Roma ha accumulato un debito di 12 miliardi che costano allo Stato e ai contribuenti romani 500 milioni all’anno. E ancora i numerosissimi enti paralleli (consorzi, agenzie, aziende, Ato, ecc.) le cui funzioni avrebbero potuto essere assorbite dalle Province, hanno continuato la loro attività e ad erogare emolumenti ai loro amministratori.

Ugo Targetti



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