3 maggio 2019

ZUBIN MEHTA E DOMENICO NORDIO

Le inesorabili leggi del mercato


Mi rendo perfettamente conto di essere tanto ingenuo da passare per il “Candido” voltairiano, ma quando capita di ascoltare, nel volger di poche ore, due concerti tanto diversi uno dall’altro e scoprire che nell’interessamento del pubblico il sistema dei valori è letteralmente rovesciato, non si può non fare qualche riflessione. Sabato sera il Teatro alla Scala era pieno come un uovo (2.000 posti!) per ascoltare la ottava Sinfonia di Bruckner eseguita dalla Filarmonica diretta da Zubin Mehta, mentre domenica mattina c’erano meno di 50 persone, al M.A.C. di piazza Tito Lucrezio Caro, per ascoltare l’Ottetto di Schubert eseguito da Domenico Nordio con “I Solisti della Verdi”. Ottanta minuti di musica durava il concerto alla Scala, ottanta minuti (bis compreso) è durato il concerto al M.A.C. Tralascio di considerare la differenza di prezzo fra i biglietti dell’uno e dell’altro, ma non posso non sottolineare l’enorme divario di attrazione sul pubblico che mi ero atteso da parte dei due eventi.

Viola-Domenico-Nordio

Dico subito che l’Ottetto di Schubert, un capolavoro che si può ascoltare dal vivo abbastanza raramente a causa del suo inusuale organico, era stato preparato con scrupolosa cura ed è stato eseguito in modo esemplare dalle ottime prime parti dell’orchestra Verdi trascinate dalla passione e dall’entusiasmo di un Nordio in grandissima forma; sicché piangeva il cuore vederli suonare davanti a una sala mezza vuota. Ma grande pena è stato l’ineluttabile confronto con la serata precedente alla Scala che – fra l’insostenibile pesantezza della sinfonia bruckneriana (non per nulla soprannominata “la tragica”) e il malinconico ritorno di Zubin Mehta appena risalito sul podio dopo molte assenze dovute a problemi di salute – è stata dominata da una insopportabile noia.

E’ doloroso criticare un direttore che ha dato tanto alla musica, che le ha sacrificato l’intera vita, che si perita ancora, a ottantatre anni, di dirigere a memoria un’opera monumentale come questa di Bruckner che dura un’ora e venti minuti filati ed impegna un’orchestra più ampia del normale. E’ doloroso ed ingrato insieme. Ma è doloroso anche vederlo raggiungere il podio appoggiato ad un bastone e dirigere seduto su uno sgabello pudicamente nascosto da un pannello dietro il quale poteva apparire in piedi. E onestà intellettuale ci impone ahimè di rilevare come il gesto direttoriale fosse stanco e spento, come le indicazioni da lui espresse riguardassero esclusivamente l’ineluttabile tempo del metronomo, come l’orchestra fosse palesemente senza guida (e dunque senz’anima), come infine quegli ottanta minuti siano parsi un’eternità.

Viola-Zubin-Mehta

Bisogna però dire che anche l’autore della Sinfonia ci ha messo del suo. Se pensiamo che negli anni in cui Bruckner scriveva l’Ottava (fra il 1884 e il 1890, l’anno dell’ultima revisione, quella ascoltata alla Scala) Wagner era appena scomparso e Brahms, che di Bruckner era di nove anni più giovane, aveva già pubblicato non solo le quattro Sinfonie ma anche i due concerti per pianoforte e orchestra e quello per violino e orchestra, capiamo come quest’opera, ingessata ed ampollosa, nasca vecchia. Ricordo che la contrapposizione fra Bruckner e Brahms è stata suscitata e pervicacemente perseguita da Eduard Hanslick – il critico e musicologo austriaco, autore del famoso Vom Musikalisch-Schönen (Del bello musicale) del 1854 – il quale, grande sostenitore di Brahms ed ancor più grande avversario di Wagner, attaccò duramente Bruckner che di Wagner era sincero ammiratore sentendosene allievo; una polemica destinata a dividere drasticamente il mondo musicale tedesco e a condizionare lo stesso Bruckner che, non va dimenticato, era un organista e un insegnante molto provinciale, schivo e poco integrato nel mondo viennese, piuttosto legato ai luoghi in cui aveva trascorso la giovinezza e dove si era musicalmente formato, fra il piccolo paese di Ansfelden e la vicina, meravigliosa abbazia agostiniana di Sankt Florian.

Anche Brahms era notoriamente di carattere schivo e riservato, ma la profonda amicizia che lo ha legato giovanissimo a Schumann e poi lungo l’intera vita (durata ben sessantaquattro anni, molti se paragonati ai quarantasei di Robert) alla di lui moglie Clara, lo ha proiettato nel mondo musicale internazionale da cui è stato fortemente vezzeggiato ed al quale ha risposto con una creatività lussureggiante e piena di smalto.

Tornando ai due concerti, dopo avere faticosamente trascorso la serata offerta dal binomio Bruckner-Mehta ed essere l’indomani approdato alla lucentezza ed alla vivacità dell’accoppiata Schubert-Nordio, mi sono chiesto come sia stato possibile che duemila persone abbiano fatto la coda e pagato le poltrone e i palchi della Scala mentre la mattina dopo meno di cinquanta abbiano pensato di raggiungere il M.A.C. e si siano lasciati attrarre dall’idea di ascoltare il meraviglioso Ottetto, magari rassicurati anche dal modesto prezzo dell’ingresso. E’ così che ho capito di essere irrimediabilmente ingenuo, di non conoscere abbastanza l’animo umano e di ignorare colpevolmente le leggi del mercato.

Paolo Viola



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  1. Carlo Alessandro LandiniOttima ancorché amara riflessione, assolutamente condivisibile. Il quesito che ne consegue (per me e per i miei colleghi) è come potersi rapportare, in veste di creatori, di autori, di individui (più o meno) adulti e responsabili, a fronte di un mercato (della cultura, dell’offerta musicale) così ondivago, così ballerino, così imprevedibile, così in preda alle pastoie della moda, così in balia delle sirene dell’alta finanza (la Scala è o non è sinonimo di alta finanza?), così profondamente stravolto nelle sue leggi e travisato nella sua struttura e alterato nei suoi fini primari. La Sua elegante ironia è per una volta fuori luogo, caro Viola, in quanto Lei non è affatto un ingenuo (e sa bene di non esserlo), e sa anche di avere affondato (con la grazia e precisione e delicatezza di chirurgo) il Suo bisturi acuminato in una piaga infetta, da tempo ingangrenita e purulenta. Ma il discorso sarebbe, è chiaro, lungo. Interminabile, forse. La ringrazio per il Suo intervento, che già domani farò leggere ai miei studenti (è giusto che essi sappiano e scelgano se voler fare la fine della balena spiaggiata Bruckner, cotta al vapore nel clima austero e soffocante del tempio scaligero, o invece quella della troterella schubertiana, rosolata in padella à la belle meunière e servita in salsa di burro fuso e mandorle tostate). Ma alla fine confessi, se non sono indiscreto: a Suo parere, il bistrattato e incartapecorito Bruckner, il modesto organista di provincia, si sentirebbe a proprio agio nello sfarzo annoiato e roboante della fregata scaligera? E il timido Schubert sarebbe lieto e appagato e rincuorato dal successo riscosso davanti ad appena 50 persone, ancorché accalorate e plaudenti? Lei non crede, dottor Viola, che il problema non siano tanto gli autori (che sono vivaddio morti da tempo e non hanno più colpe di quante ne abbiamo Lei ed io, ancora annoverati tra i viventi) e il loro linguaggio, quanto invece il pubblico, questo tipo di pubblico e, insieme con esso, l'osceno analfabetismo culturale - non solo musicale in senso stretto - che endemicamente lo affligge? A prescindere dunque dal fatto che siamo d’accordo su quasi tutto (non so se lo sarebbe stato il grande Adorno), quale rimedio Lei propone? Lei questo non lo dice (non si trinceri, La prego, dietro a un imbarazzato e scarsamente credibile candore, ma riveli il Suo franco e autorevole parere: piacerebbe a molti, ne sono certo, conoscerlo). Affideremo una becera trascrizione dell’Ottava di Bruckner per soli pifferi e cornamuse alla bacchetta caliente di Gustavo Dudamel e la faremo eseguire in una piazza sterrata dell’hinterland milanese? Tra gli arcadici velluti e broccati floreali della Scala relegheremo i suoni d'eco dell'apollineo Ottetto schubertiano? Forse sarebbe meglio così, non crede? Gli autori tromboni e logorroici condannati, per dantesco contrappasso ("la venganza de la historia"), a venire sbertucciati dagli assidui della bocciofila di Lonate Pozzolo, quelli umillimi destinati a una gloria postuma e a un riscatto insperati. Qual è dunque il Suo pensiero? Con simpatia e viva cordialità, Carlo Alessandro Landini
    8 maggio 2019 • 01:59Rispondi
    • paolo violaCaro Maestro Landini, le assicuro che non mi nascondo dietro il mio "imbarazzato candore". La verità è che non so proprio quale possa essere il rimedio. Certo, è vero che ci troviamo spesso di fronte a uno "osceno analfabetismo culturale", ma non credo sia colpa della moda e dell'alta finanza e non sono pessimista come lei. Credo piuttosto che bisognerebbe insegnare molta musica nelle scuole, fin dalla primissima età (conosce la bellissima iniziativa "Diamo il la"?), e che ogni popolo ha la cultura che la storia gli ha assegnato. Contro l'analfabetismo serve oggi un'azione vasta e capillare che comincia dalle Istituzioni ma si dirama fino a ciascuno di noi. E noi, con ArcipelagoMilano, ci sforziamo di dare il nostro piccolo contributo. P.V.
      9 maggio 2019 • 15:48
  2. roberta crivelliLe saremmo veramente grati se ci potesse aiutare nella scelta dei concerti con anticipo. È sempre interessante leggerla e dispiace rammaricarsi di aver perso occasioni imperdibili!
    9 maggio 2019 • 10:06Rispondi
  3. Davide TramontanoEro al concerto di Zubin Mehta e posso testimoniare che è stato una sorta di testamento musicale: il Maestro è vecchio e stanco, ha superato varie operazioni e altrettanti cicli di chemioterapia e il suo gesto è scarno, ma essenziale. Nella sua essenzialità infatti riesce perfettamente a dominare un'intera orchestra, che non toglie gli occhi da lui(!), quasi come se i professori sapessero la sinfonia a memoria. Questo gesto è come quello dell'ultimo Karajan, di Abbado a Lucerna quando dirigeva Schönberg e Beethoven, del Knappertbusch che faceva Wagner alle Wiener Festwochen degli anni 60. Continuando: Mehta qualche mese fa diresse la stessa sinfonia al Maggio Musicale Fiorentino e fu un meritatissimo trionfo. Mi chiedo però perché in Italia ogni qualvolta vi è in cartellone un compositore sulla scia wagneriana, penso a Bruckner, R. Strauss e lo stesso Wagner, solo per citarne alcuni, le recensioni siano testimonianze di un'apocalisse musicale. Un caso lampante è stata la "Ariadne auf Naxos" di Strauss, dove il sovrintendente Alexander Pereira ricopriva il ruolo recitato de 《der Haushofmeister》, mentre in buca dirigeva Franz Welser-Möst, nobile austriaco conte del Liechtenstein, nonché protetto dei Wiener Philharmoniker e ormai padrone musicale del Festival di Salisburgo. Direttore di straordinario talento, che in questi a Vienna dirigerà l'ottava sinfonia di Mahler con la filarmonica. Tutti i giornali tradizionalmente di sinistra, ad accezione del Corriere della sera, hanno decretato un epocale insuccesso per la produzione, mentre tutti gli altri hanno decretato un grande successo musicale, ma hanno evidenziato (con tutte le sacrosante ragioni di questo mondo) una regia che faceva acqua da tutte le parti. Stessa cosa accadde per Elektra lo scorso novembre con Waltraud Meier e tutto il resto del cast passato per la grüne Hügel di Bayreuth. Un altro trionfale successo, dichiarato decaduta artistica del Piermarini. Non è forse anche il nostro caso? Non è che la stampa italiana sta prendendo di mira il Teatro alla Scala perché offre spettacoli unici con artisti di grandissimo calibro (Chovanščina con Gergiev, Strauss con Möst, Wagner con Gatti, solo per citarne alcuni), che vanno aldilà dei soliti Verdi, Puccini e Donizetti? Cosa ne pensa lei? Cordialmente, Davide Tramontano
    9 maggio 2019 • 13:31Rispondi
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