24 aprile 2019
IL LAVORO NELLA DOTTRINA DELLA CHIESA
Il messaggio di Papa Francesco
Il I Maggio ha anche una tinta bianca. Papa Francesco, il Bianco Padre che vien da Roma, ha messo costantemente il tema del lavoro, specie di quello che manca o è precario, al centro della sua riflessione e dei suoi discorsi. Valga quale sintesi del suo magistero di questi anni quanto scritto al numero 192 della Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”: “Non parliamo solamente di assicurare a tutti il cibo, o un decoroso sostentamento, ma che possano avere prosperità nei suoi molteplici aspetti. Questo implica educazione, accesso all’assistenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime ed accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune”.
In questo momento politico, lo sappiamo, è più facile parlare di sussidi che aiutino un decoroso sostentamento piuttosto che di lavoro libero, creativo, partecipativo, solidale. La motivazione di questo spostamento di attenzione può ritrovarsi nelle oggettive difficoltà a rispondere a due trasformazioni epocali: quella della globalizzazione e della quarta rivoluzione industriale.
La prima offre alle imprese opportunità di delocalizzare da Paesi ad alto reddito per andare a cercare qualifiche e competenze in Paesi poveri o emergenti dove i costi del lavoro sono decisamente inferiori. In questo modo si rischia di innescare una corsa competitiva al ribasso di cui a fare le spese è proprio la dignità del lavoro. La seconda, ancor più rilevante, e’ la grande trasformazione in corso del modo di far impresa, a causa delle innovazioni tecnologiche, che rende obsoleti alcuni tipi di mansioni con la conseguente riduzione di posti.
Il lavoro del futuro dovra’ saper vincere queste due sfide, che come accaduto anche per le precedenti rivoluzioni economiche e industriali, chiudono delle vie del passato ma aprono nel contempo nuovi sentieri. Ma le potrà’ vincere, a mio avviso, solo se saprà’ prima di tutto riattivare specie nei giovani il giusto rapporto con la realtà, quella che potremmo chiamare – per rimanere in ambito religioso giudaico cristiano – “la teologia della Genesi”. Genesi e’ il primo libro della Bibbia. Genesi e’ una parola greca che vuol dire principio, inizio. E all’inizio c’è il rispetto, la conservazione, l’incremento e l’alleggerimento della terra mediante il lavoro. Il lavoro, attraverso la fatica e il sudore della fronte – dimensioni ineliminabili – , rende l’uomo protagonista, un con-creatore dell’universo che mette a frutto i talenti ricevuti.
Vale la pena accennare a due grandi figure spirituali che hanno seguito tale impostazione e che con il loro insegnamento hanno segnato in profondità la nostra storia.
Paolo di Tarso ha sempre lavorato, anche se era dedito all’apostolato e aveva diritto al sostentamento da parte delle chiese. Egli portava evidenti i segni del suo lavoro. Costruiva canestri, intrecciando canne taglienti che avevano inciso le sue mani. E’ lui che ha scritto, proprio con la mano divenuta dura per il ruvido maneggio delle canne, la frase lapidaria che e’ divenuta un motto dell’Occidente: “Chi non lavora , neppure mangi”.
Benedetto da Norcia, nel V secolo d.C, dopo la caduta della Roma imperiale nelle mani dei Barbari, ha cercato nella notte la strada della ricostruzione. Quando si è sentito pronto a dettare la regola di vita ai suoi monaci, l’ha impostata sul motto creativo ora et lavora, prega e lavora. Perché non solo la preghiera ma anche il lavoro è fondamentale al fine di noli contristari, di esser sereni (terzo punto della regola, normalmente dimenticato). Da tale impianto sono discese, in tutta Europa, le tante opere che hanno modellato il paesaggio e l’economia – la bonifica dei terreni, la diffusione della vite e dell’ulivo, la cura delle foreste, la disciplina della pastorizia – insieme alle migliaia di biblioteche e alle centinaia di cattedrali che hanno plasmato la cultura e la spiritualità. Ancora oggi, dopo quindici secoli, dove c’è’ un monastero, alle otto del mattino, c’è chi zappa, chi restaura manoscritti, chi sorveglia il vino delle botti, chi studia liturgia, chi segue gli alveari, chi riceve gli ospiti.
Il 1° maggio viene ogni anno per ricordare ciò che sta in principio: il lavoro come espressione indispensabile di un’esistenza sana, pulita, utile. Questa e’ una bella notizia che merita sempre una grande festa.
Giovanni Colombo
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