21 gennaio 2019

COME GUARDO MILANO CHE CAMBIA?

Lo sguardo di una trentenne


Siamo in un periodo storico che vede nuove numerose riqualificazioni, ma siamo sicuri che si stiano attuando quelle giuste per la città? E chi decide quali sono le riqualificazioni giuste da attuare rispetto ad altre? A decidere è la classe dirigente, non la cittadinanza, una classe dirigente che sogna di amministrare un paese con procedure uniformate, timorosa nei confronti del cambiamento rivoluzionario, attuando opere architettoniche in base al nome dello studio e non in base all’idea progettuale più adeguata, con procedure inidonee ai tempi che ci contraddistinguono. Tutto ciò, tutta questa bulimia di strutture edili moderne ed omogenee, viene venduta ai cittadini come progresso, ma siamo sicuri che sia progresso? E progresso per chi soprattutto? Vengono costruite case in un magma, però, di strutture di lusso, uffici privati, giardini vuoti senza vitalità di relazione e senza rispondere alle criticità sociali continuamente sollevate, con fervore, dalla cittadinanza.

190121_Liynange-03I progettisti operano troppo frequentemente senza relazionarsi con coloro i quali utilizzeranno i manufatti, uniformando le richieste e la creatività dei cittadini, anche quando si attuano processi decisionali partecipati. Non dovrebbero essere un’entità unitaria auto referenziata, dei creatori d’immagini, ma dovrebbero essere soggetti che applicano la propria creatività alla soluzione di problemi sociali e tra essi anche quello di produrre soluzioni gradevoli. Non si dà fiducia alla cittadinanza, ma la ricchezza delle loro idee è stupefacente ed è significativo che tra la gente ci sia così tanta abbondanza di talento, soprattutto dei giovani, spinti amaramente ad andare all’estero ad aprire le proprie attività.

Se la loro creatività è applicata alla costruzione degli spazi che abiteranno, si identificheranno in quei luoghi, in quanto esito del loro lavoro e della loro creatività, impostando una imprescindibile dimensione fatta di relazioni e lavoro comune. Invece siamo in mano all’amministrazione, sono loro che decidono per noi e decidono in base a criteri di casta individuali, scegliendo il lusso all’inclusione, forse adatto alle loro tasche, ma non alle nostre, portandoci a vivere in una città nella quale ci sentiamo sempre più esclusi. È questo che vogliamo? Fare di Milano una città esclusiva? O inclusiva? E inclusiva solo di aziende straniere o inclusiva anche di aziende autoctone e caratteristiche che possano offrire servizi di richiamo alla città?

Il problema principale è quello di valutare la correttezza delle soluzioni adottate, per molti si scelgono soluzioni che rispondono ad epigoni della moda, così si attuano i processi di riqualificazione sbagliati.

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Qual è il senso, per una città, costruire grattaceli di uffici privati nel suo centro? Tranne quello di operare per una committenza privata che ha come principale obiettivo la visibilità e la dimostranza di grande potenza? È necessario invertire questa tendenza, creando più residenze a canone concordato in città e più uffici privati e moderni nella parte metropolitana, dove ce né più bisogno, rispondendo al tema delle “periferie” come espressione urbana del malessere. Costruire questi edifici all’avanguardia nelle periferie porta maggiore traffico di persone, di conseguenza anche maggiore sicurezza.

Quali sono le comunità di successo? Vi sono comunità in cui le capacità sono offuscate in ragione della prevaricante uniformazione ad un modello unico, Milano sta diventando proprio una di queste. Diverse città, invece, mantengono una precisa identità creando valore aggiunto nel mondo. Alcuni esempi: Londra, Amsterdam, Berlino…Milano sembra voglia copiare il modello urbano di una nuova Dubai, modello inadeguato per le caratteristiche identitarie della città. Elementi uniformati che sono alla base dell’architettura moderna, un costruito uniformato che nella quasi totalità del pianeta costruisce alla stessa maniera, cambiando qualche accento, ma con le medesime modalità di relazionarsi ai luoghi, questo porta all’esito fatale di una omogeneizzazione culturale. Una colata di costruzioni che crea uniformità alienante. Sarebbe opportuno che le soluzioni rispondessero ad altre logiche, ad altri obbiettivi più appropriati. Per le grandi aziende di distribuzione mondiale siamo solo uno spazio vuoto da sfruttare dove insediare le proprie strutture per aumentare il proprio capitale, serve qualcuno che tuteli i nostri interessi e che ponderi questo mercato invece di favorirlo.

190121_Liynange-05Si attuano percorsi partecipati con contributi fondamentali, esposti in modo chiaro da parte delle persone coinvolte, ma alla fine dei percorsi, quello che rimane, sono solo parole buttate al vento, inascoltate da “a chi” poi viene affidato il compito di elaborare i progetti, perché disattenti nei confronti dei bisogni, ma più attenti a mettere in mostra la propria opera nella vetrina del mondo, dove in una gara di architetti uguali, vince quello più conosciuto nell’ambiente. A Milano, inoltre, si ha a che fare con le “call”, eventi organizzati dalle amministrazioni per ricevere idee senza dare nessun riconoscimento, da far poi realizzare, male, a terzi preposti privatamente. Vengono usati i professionisti per poi fare i propri tornaconto. In città come Londra si organizzano le medesime “call”, aperte a tutti, su siti online appositi, dove non solo è innovativo il modo in cui vengono presentate le “sfide”, atte a coinvolgere i giovani a parteciparvi, ma anche i premi offerti sono anni luce avanti, come ad esempio “carriere lavorative” all’interno del contesto.

Perché solo determinati studi/persone hanno l’opportunità di proporre soluzioni e altri tipi di progetti creativi non vengono presi in considerazione? Pare che a Milano si venga stimati soltanto se si hanno già legami nell’ambiente, oppure se sei ricco; a poco serve avere talento, ma chi è ricco non fa mai il bene di una città, portando nel lungo periodo a risultati disastrosi, sia in fatti economici e sia sociali.

Un luogo riqualificato dove la gente non và e che non smuove grandi masse di gente, porta spreco di opportunità e di guadagno, aridità economica.

Mario Savio ci ha insegnato che il miglior modo per amare il proprio tempo è contraddirlo, serve quel tipo di rabbia costruttiva e collettiva che esprimeva in maniera chiara e ferma il proprio dissenso verso una classe dirigente che non ascolta, come primo inevitabile passo per arrivare al cambiamento.

Si pensa ai giovani creando piste per skate, come se i giovani fossero solo questo, mentre siamo molto di più, siamo futuro, curiosità, voglia di storia interattiva, bisogno di cultura e di spazi da vivere attuali, bisogno di luoghi d’incontro, creatività, carattere e personalità straordinarie, stili difformi, desiderosi di esperienze, siamo “social” e abbiamo punti di riferimento che la classe dirigente di oggi neanche conosce, ma che comunque decreta e fissa, in base a propri criteri inadeguati, progetti che ci spingono a cercare nuove città con condizioni di vita più favorevoli dove vivere. Non siamo solo scuola.

190121_Liynange-04Ognuno, chiunque, deve avere il diritto di poter essere e diventare chi vuole, e una città, perché sia definita tale, deve mettere a disposizione tutti gli strumenti necessari perché ciò sia possibile! “Ma se nasci povero”, a Milano, “muori povero” e in una città dove, anche se lavori, non ti puoi permettere una vita autosufficiente e soddisfacente, giova a poco creare edifici di lusso, siamo tra i primi paesi con la quota percentuale più alta di lavoratori-poveri (prima di noi solo Grecia, Spagna e Romania).

Servono uomini come Sandro Pertini, uomini politici che combattevano al fianco dei giovani e non contro, questa classe politica è ben diversa da quella realtà, per questo motivo serve alzarsi in piedi per le nostre libertà, altrimenti finiremo per essere spacciati in modo definitivo, messi in un angolo, oppressi e costretti ad assistere in silenzio al cambiamento in nome del “progresso e dei giovani”, ma che di progressista e giovane in realtà non ha proprio nulla.

Dov’è finita la creatività tanto osannata di questa città che vuole rivaleggiare con Londra o Amsterdam? Milano è sempre più sparita, in mano a radical chic che distruggono l’identità di una città che, una volta, aveva carattere da vendere e non solo a livello architettonico, ma soprattutto sociale e di luoghi da vivere.

Laura Liyanage
(Prima parte)

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  1. Gianfranco Pertot"Quali sono le comunità di successo? Vi sono comunità in cui le capacità sono offuscate in ragione della prevaricante uniformazione ad un modello unico, Milano sta diventando proprio una di queste. Diverse città, invece, mantengono una precisa identità creando valore aggiunto nel mondo". Gentile Laura, this... E' uno degli effetti (di quelli sociali meglio tacere) di una visione interessata e distorta della modernità (incline al modus, moda, e non al modo, ora), figlia di una certa incultura e di un'amministrazione non sempre oculata della cosa pubblica per il bene comune (a ben vedere si sconta anche una visione interessata e distorta del "bene comune", che per molti - ahimé - sembra non andare al di là dell'efficacia della propria connessione internet). Attenzione però, la questione non è semplice ma rischia di apparire tale; attenzione ai "luoghi comuni" (anche la città ne è piena, letteralmente, in tutti i sensi, non sempre positivi - su questo tema c'è - anche semanticamente - da lavorare).
    23 gennaio 2019 • 09:12Rispondi
    • Laura LiyanageLa ringrazio Gianfranco, spero di non essere stata fraintesa, il mio è solo un voler mettere l’accento sul fatto che non vi è ragione di credere che le attuali strutture autoritarie e di dominio siano incise nella pietra e che, il presupposto implicito, è che le classi specializzate siano al servizio dell’interesse pubblico, dove non rientra nel loro ruolo elaborare analisi e soluzioni, ma soltanto, quando richiesto, mettere la loro forza a disposizione per attuare opere che rispondano essenzialmente a necessità reali e non meramente a canoni della moda, perché le idee a Milano ci sono, giovani e non, talentuosi e meritevoli di opportunità, il problema è che non vengono ascoltati per fare propri interessi immobiliari. In più parte della comunità si limita ad allinearsi o meno alle posizioni di chi agisce d’autorità, mentre bisogna ragionare, inventare, persuadere e negoziare, in favore dell’identità della città che conosciamo tutti. Le soluzioni che propongo sono da intendersi tutte con caratteristiche che si adattino al contesto, nonostante riprendano esempi esteri.
      25 gennaio 2019 • 21:12
  2. walter moniciArticolo bellissimo. Unica cosa con cui non concordo: anche Londra è preda di questi architetti di regime e della massificazione modernista. Io avrei citato Parigi, Francoforte, Praga.
    23 gennaio 2019 • 10:50Rispondi
    • Laura LiyanageBuonasera Walter, ha ragione, dal punto di vista dell’architettura le città che ha nominato sono straordinarie, Praga soprattutto, nell'articolo cito maggiormente Londra e Berlino perché sono città che ho visto in prima persona e avevo piacere a fare un confronto come modello urbano/sociale. Nonostante Londra è preda di architetti di regime, riesce comunque ad avere ancora ampio raggio di servizi, di vitalità di relazione, di luoghi da vivere e di attrattività mondiale, difatti le mete scelte principalmente dai giovani che emigrano dall'Italia verso l’estero, sono proprio Gran Bretagna e Germania. Dal punto di vista architettonico non posso che darle ragione sulle città citate. Milano dovrebbe ambire a rappresentare la sua storia, in quanto straordinaria e meritevole di essere ricordata attraverso le strutture e non cancellata con architetture anonime. La ringrazio.
      25 gennaio 2019 • 21:22
  3. Gianluca GennaiGentile Signora Laura, il suo articolo non solo lo condivido, lo elevo alla somma visione d'insieme che fotografa una Milano schizzofrenica, ora in preda alla nostalgia dei laconici olii su tela raffiguranti i barconi trainati da cavalli sui navigli che dovrebbero attrarre orde di turisti, poi inchinata ai totem dei grandi nomi impegnati alla celebrazione di se in nome dell'architettura moderna e dei capitali esteri pronti a veicolare modelli di sviluppo urbano spregiudicato e compiacente allo status quo. Una res nullius che tuttavia piace perché espressione del potere falsamente percepito al servizio di tutti. Le torri in Garibaldi e le tonnellate di cemento armato che gravano sul sistema idrico naturale della zona, infondo hanno riqualificato il quartiere Isola e seppellito le varesine, è vero, ma questo obbiettivo poteva essere raggiunto anche con progetti di profonda riqualificazione nel rispetto del quartiere e della sua configurazione storica, soprattutto si poteva avere un grande parco al servizio dei cittadini di tutti gli strati sociali, se ben gestito e sorvegliato. Nulla è più vero della lobotomia sociale eseguita attraverso immagini di successo che sappiano colmare le mediocrità. Gianluca Gennai.
    26 gennaio 2019 • 11:31Rispondi
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