17 novembre 2018

UN MONDO DI MARZIANI?

Le provocazioni della musica contemporanea


Confesso – come amante della musica ed impenitente ascoltatore – di essere in una profonda crisi di fiducia, anche in me stesso; mi sembra di essere un marziano o di vivere fra marziani, in ogni caso non capisco più cosa stia accadendo.

171118_ViolaFino a non molto tempo fa la musica contemporanea era destinata ad un pubblico di adepti, che si riunivano in luoghi appartati per non dare troppo nell’occhio, e non osavano tanto confessarlo agli amici; i compositori si lamentavano di avere a che fare con un pubblico ineducato al linguaggio musicale evoluto, e continuavano imperterriti a scrivere musiche inascoltabili quando non provocatorie (ricordate il profetico pezzo di silenzio assoluto, della durata esatta di 4 minuti e 33 secondi, di John Cage?). La maggioranza silenziosa degli amanti della musica classica ogni tanto andavano a curiosare, scuotevano il capo, e tornavano a nuotare nelle loro acque tranquille.

Poi, passato il terribile (in senso musicale, s’intende) mezzo secolo del dopoguerra, era finalmente arrivato il momento della riscossa e tutti abbiamo tirato un respiro di sollievo; complici probabilmente le contaminazioni con altri mondi musicali (non mi azzardo a parlare di generi che non conosco) si è ricominciato a credere che fosse possibile mettere insieme qualche nota in modo che il risultato assomigliasse più a un canto umano che a un grugnito animale. E così abbiamo ripreso un po’ di fiducia e persino la voglia di ascoltare i musicisti … come dire …“viventi”!

Credevamo di aver vinto la guerra e invece avevamo vinto solo una battaglia marginale, poiché nel giro di pochi anni le armate del contemporaneo spinto e sperimentale (ma gli esperimenti non finiscono mai? quanto si deve aspettare ancora per conoscere i risultati e le conclusioni della sperimentazione?) sono risorte, hanno ripreso lena ed ecco che “Milano Musica, percorsi di musica d’oggi” riesce ad invadere la città e persino le sue roccaforti più salde (non solo l’Auditorium, il Conservatorio, il Dal Verme, ma anche la Scala) ed a propinarci il Festival Sciarrino del 2017 e il Festival Kurtág di questi giorni.

Gli adepti di quel particolare contemporaneo di cui sto parlando (che spesso contemporaneo non è già più, essendo gli autori coetanei ormai dei nostri genitori e persino dei nostri nonni!) son diventati tanto protervi da propinarci le opere più inascoltabili di autori che pure ci hanno lasciato opere grandissime. È il caso, per fare un esempio, di György Ligeti (1923-2006) di cui abbiamo ascoltato un orrendo Quartetto due settimane fa e un ancor più infelice Concerto per pianoforte e orchestra (si fa per dire, una dozzina di strumenti) alla Scala l’altra sera. Eppure di lui esistono musiche deliziose e di grande godibilità. Siamo veramente al limite del sadismo.

171118_Viola-03A proposito della serata del Festival Milano.Musica di lunedì scorso alla Scala, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI diretta da Heinz Holliger con Pierre-Laurent Aimard al pianoforte, fra l’insignificante concerto di Ligeti (virtuosismo puro) e quello – meraviglioso e celeberrimo – di Béla Bartók, il programma prevedeva sette pezzi per pianoforte solo e la “Stele op.33 per grande orchestra” di Kurtág. Un percorso veramente ostico poiché i pezzi per pianoforte erano pura musica da camera, tanto intimi e sussurrati da doverli considerare neppure da salotto ma direi da da suonare in pigiama in camera da letto, mentre Stele (sic!) con la sua grande orchestra era un Adagio “lamentoso-disperato” (così è indicato dal compositore) nel senso che ha fatto disperare il pubblico con i latrati di cani, con il fastidioso ronzio delle zanzare, con l’esasperata frammentazione dei suoni in minuscole molecole e particelle che non arrivano mai a costituirsi in tema musicale con un capo e una coda. Ma la musica non era l’anima dell’universo di Hegel? che fine hanno fatto l’armonia e il contrappunto? abbiamo sepolto tutto?

Insomma, ancora una provocazione. Ma quello che sconcerta è vedere la Scala piena e plaudente (non troppo, a dir la verità) come se tutto ciò fosse normale. Ecco dunque a confessarvi che mi sono ripetutamente chiesto se ero un marziano io o se ero capitato a un raduno di marziani.

Paolo Viola

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  1. walter monicigrazie del commento e della divertente recensione. Purtroppo il conformismo e il politically correctismo arriva al punto da indurre le persone a negare le proprie sensazioni pur di apparire informati e smart. La musica contemporanea è la corazzata potiomkin.
    21 novembre 2018 • 09:50Rispondi
  2. Dino Betti van der NootC'è anche della musica accademica contemporanea perfettamente godibile, per fortuna. Ma non tanta. Molto spesso i compositori scrivono musica destinata all'apprezzamento di altri compositori e musicologi; il che è perfettamente lecito. Ma non si può pensare che un pubblico, anche acculturato, sia in grado di analizzare la bravura tecnica e i percorsi nascosti in un brano musicale. La musica dovrebbe essere emozione di chi ascolta prima di tutto, lasciando ai professionisti il compito dell'analisi critica. E per essere contemporanei non è necessario essere estranianti.
    21 novembre 2018 • 11:46Rispondi
  3. Mario Mainino - ConcertodautunnoIn questo articolo mi riconosco al 100%, allora vuol dire che sono un marziano anch’io, anche se per “dovere” in un, lontano nel tempo, corso che tenetti sulla musica “contemporanea” feci ascoltare il famosi 4’33” che disperatamente cercai su youtube nella versione dell’autore – non volevo farne ascoltare una interpretazione falsata. Nota: il brano “contemporaneo” è del 1952, ovvero 66 anni fa! Sarebbe stata la stessa cosa ascoltare Falstaff (1893) di Verdi come musica “contemporanea” nel 1959 (66 anni dopo)! Personalmente mi pare di notare un rilevanza di idee nelle “donne compositrici” di oggi, che propongono di solito brani ascoltabili, ad esempio mi sono molto piaciuti i “Five telegrams” di Ann Meredith alla inaugurazione dei Proms 2018.
    26 novembre 2018 • 12:19Rispondi
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