3 luglio 2018

PARTITO DEMOCRATICO: MAI COME ADESSO

Uno spettacolo sconcertante per il "popolo di sinistra"


“Navigazione a vista sta portando il centro sinistra all’irrilevanza proprio quando l’Italia ne avrebbe più bisogno. Ripensare tutto: linguaggio, idee, persone, organizzazione. Allargare e coinvolgere su una nuovo manifesto. Andare oltre @pdnetwork. Subito! #fronterepubblicano”. Con questo tweet Carlo Calenda ha suscitato lo sconcerto nel PD: dopo le ultime elezioni amministrative è indicativo di una condizione che più che politica sembra ‘uno stato d’animo’, come si diceva di Lotta Continua durante la sua esplosione sotto la spinta della deriva terrorista e della irrisione delle ideologie ad opera del Movimento del ’77.

02Cortiana_25È imbarazzante sentire le dichiarazioni scandalizzate dei dirigenti del PD contro una politica dell’immigrazione attuata attraverso la chiusura dei porti e vedere, dalla Gruber, Salvini mostrare alle telecamere Minniti che a tutta pagina su Repubblica minacciava la medesima decisione. C’è una stretta relazione tra il proposito di Calenda “Allargare e coinvolgere su un nuovo manifesto”, la sua fattibilità e le ragioni dello sconcerto che ha suscitato tra coloro cui quel proposito era rivolto. La ragione sostanziale di quella reazione spiega l’impossibilità della possibilità di ‘allargare e coinvolgere’ partendo dal PD per andare oltre.

L’Ulivo nel ’96 era costituito dall’incontro tra soggetti politici democratici, storici e recenti, aperti a tante esperienze culturali e sociali garantite e rappresentate da Romano Prodi e dalla sua rete. Fino a che questo insieme aperto si è misurato sul piano del governo con un indirizzo di discontinuità rispetto alla politica consociativa la sua natura composita ha funzionato. Quando gli ‘azionisti di maggioranza’ hanno pensato di ridurre a sé quella apertura, silurando Prodi e dando vita a un partito, il PD, frutto della loro fusione la capacità attrattiva della proposta finì. Il mondo produttivo, sociale, culturale, generazionale, era cambiato e la somma di post comunisti e ex democristiani non costituiva in sé alcuna condizione maggioritaria.

La fusione dei due azionisti di maggioranza aveva confermato e promosso un corpo sociale di nominati in aziende speciali, società partecipate, enti, fondazioni. Un corpo sociale composto da persone preoccupate della conferma del proprio ruolo, della propria nomina, per cui la politica significa/va capire per tempo quale sarebbe stata la cordata vincente e come proporre i propri servigi e le risorse disponibili al capo di quella cordata. Tutto ciò in un contesto che ha visto una deriva finanziaria dell’economia e una mercificazione dei beni comuni e di quelli pubblici, con il conseguente necessario distacco dalle ragioni sociali per le quali erano state costituite le aziende pubbliche. O Calenda è in grado di allestire un treno vincente sul quale si affretteranno a salire questi corpi sociali, con la forma di corpo politico a lui più gradita perché a loro poco importa, altrimenti ‘ognuno per conto suo’ sotto la spinta della discontinuità, antropologica se non politica, della compagine di governo. ‘Io renziano? Io piddino? Quando mai?!’.

Sembra strano che Calenda non conosca/capisca la condizione/composizione degli interlocutori che sollecita. C’è quindi da chiedersi a chi e a cosa si riferisca il suo hashtag ‘#fronterepubblicano’. Soprattutto a cosa, il resto segue in stretta relazione.

La crisi più emblematica con la quale si è misurato, in un Paese che da diversi decenni non conosce un Piano Industriale, è stata quella dell’ILVA, in particolare a Taranto in Puglia. L’esito negativo lo conosciamo, non solo non è stato in grado di dare un esito costruttivo alla contrapposizione tra ambiente e salute/produzione e lavoro e ha confermato quella tra Stato Centrale e Governo/Regione, Comune e sindacati, ma non ha esercitato alcuna soggettività politica in relazione ai disastri dei Riva e agli interessi e alle intenzioni degli acquirenti. Nessuna visione, nessuna proposta di innovazione di prodotto, pur presente nel mercato degli acciai, nessuna combinazione con l’innovazione sostenibile di processo produttivo: sostenibile per lavoratori, cittadini e ambiente. Nessuna combinazione tra le ricerche e le soluzioni tecnologiche più avanzate e il piano di rilancio di una impresa e del territorio che essa ha fino ad ora compromesso.

Insomma, in luogo di un’azione di indirizzo dentro un paradigma della sostenibilità dello sviluppo, abbiamo assistito all’esercizio di una funzione di mediazione verso i potenziali acquirenti e i loro garanti finanziari, insofferente verso le altre istanze della rappresentanza democratica quanto verso i corpi intermedi della rappresentanza dei lavoratori.

Questo caso ha una correlazione immediata con quello degli ex scali FS, 4 Mln di metri quadri connessi dalla rete ferroviaria, in zone non marginali delle principali città. Si tratta, anche qui, di un caso emblematico che mette in luce la cifra della politica pubblica. Bene, i 1.200.000mq milanesi sono affidati, da un Accordo di Programma, alle scelte strategiche, per l’allocazione di funzioni, le tipologie edilizie, gli assetti urbanistici, non solo al Comune di Milano e alla Regione Lombardia, bensì a un Fondo internazionale, improprio contraente e firmatario dell’Accordo di Programma è scelto senza alcuna evidenza pubblica. Mentre la Città Metropolitana e gli altri 133 comuni che la compongono non sono per nulla coinvolti e ne subiranno solo le conseguenze nello spazio e nel tempo.

Se chi esercita la funzione di rappresentanza e di governo, dentro gli organismi e le procedure della politica pubblica, si riserva un ruolo di mitigazione funzionale verso la tecnofinanza delle Corporation ‘senza stato’, è evidente che sono proprio gli istituti di rappresentanza democratica a costituire un fastidioso impedimento allo sviluppo. La deriva personalistica e plebiscitaria è iniziata con l’elezione diretta di sindaci e governatori regionali, con il relativo svuotamento delle assemblee elettive, ancorché legislative come quelle dei consigli regionali. Si è proseguito sul piano nazionale con l’effetto di promuovere il mogul radiotelevisivo, perlopiù capace di sintonia con la pancia degli italiani: il padre sdoganato re del populismo.

Poi oltre a leggi elettorali per garantire un Parlamento di nominati, si è pensato di ridurre per via Costituzionale le istanze e i poteri democratici. Quindi le garanzie del lavoro, legittimando per via normativa la precarietà. #Fronterepubblicano… di cosa stiamo parlando? Si uscirà dalla crisi evidente delle democrazie occidentali incapaci di condividere luoghi e procedure per prendere decisioni condivise, se si smette di pensare a scorciatoie istituzionali con estrattori di conigli dai cappelli, con i loro cerchi magici.

Per una soggettività politica autonoma e quindi capace di rispondere agli interessi generali, di queste e delle future generazioni, occorre condividere la fatica dei processi di partecipazione informata alle procedure deliberative in chiave glocal, cioè dall’esercizio della Cittadinanza Attiva fino ad arrivare ad un Governo Europeo eletto dai suoi cittadini. Da noi la legge Delrio non ha permesso che lo facessero neanche quelli della Città Metropolitana…

Un confronto tra chi condivide un approccio liberal-democratico europeo deve partire da qui, se è il pretesto per una nuova OPA sulla rendita di posizione presunta del PD poco interessa ai tanti che risiedono nel 50% dei non votanti. La costruzione di un campo democratico e del suo manifesto costitutivo o è aperta o è maquillage. Interessa?

Fiorello Cortiana



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