19 giugno 2018

sipario – «MIGRARTI»: L’IMPEGNO DELL’ARTE CHE MIGRA ALLA VITA


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La vicenda della nave Aquarius, rifiutata dall’Italia e – dopo i soccorsi di emergenza della nostra Guarda costiera – spedita in Spagna per l’accoglienza dei migranti a bordo offre un circo, in cui gli artisti fanno capriole, rovesciate e salti mortali tra i trapezi della polemica, i tessuti aerei della riflessione, le clownerie della propaganda e la segatura dei luoghi comuni.

L’insostenibilità del numero di migranti fino a qualche mese «pericolosa» e «ingestibile» ha fatto una capovolta ed è diventata volontà indiscriminata di accoglienza che assume i connotati di ‘misticismo’ che travalica persino la valenza cristiana del concetto. Al di là di tutta la segatura sparsa qua e là di luoghi comuni e ideologie, una cosa è certa: il problema dell’Aquarius ha finalmente svelato il problema delle responsabilità di un’istituzione sovranazionale, che ha lasciato gravare la risoluzione su un solo Stato e le sue realtà locali, perché la geografia li costringe, senza alcun intervento sostanziale se non alzare le barriere.

Questa è una grande verità al di là e al di sopra di ogni ideologia, negarla significa mancanza di onestà intellettuale nonché incapacità di una lettura storica (autoptica e oggettiva, come ci insegnano i padri della disciplina e della scienza storica Erodoto e Tucidide). Un problema politico va risolto con interventi statali e istituzionali, non si può giocare adesso e strumentalizzare la compassione con un pietismo e un buonismo del tutto artefatti.

Artefatto, cioè ‘fatto ad arte’, cioè ‘ben congegnato, costruito, ordinato’ – la radice antichissima è la stessa che si trova nelle parole per ordine e rito in latino, numero (arithmós) e virtù (areté) in greco, regola e tempo stabilito (r̥tú-) in antico indiano.

Qui, infatti, si parla di arte, qualcosa che per gli antichi è prodotto di una mente ordinata e razionale che sa ricavare dalla sua osservazione dei concetti universali validi in ogni tempo, in ogni luogo e in ogni cultura. Un po’ diverso da quello che generalmente s’immagina oggi con lo stereotipo dell’artista fuori dalle righe: vero, ma solo in parte, solo per l’aspetto esteriore e più superficiale.

L’artista è colui che è nel mondo e sa esserlo, perché dal mondo trae ispirazione per leggerlo e interpretarlo e stravolgerlo e ricostruirlo nella sua visione. Spesso questo è dimenticato dagli stessi sedicenti artisti, che si limitano a sembrarlo seguendo gli stereotipi esteriori per una facile presa su un pubblico sempre meno attento ed esigente.

MigrArti vuole dare una visione d’artista nell’argomento di geopolitica più pregante della nostra società. MigrArti vuole fare delle migrazioni un’arte, cioè vuole investigarle là dove cominciano, cioè nel processo decoloniale dell’Africa. A questo partecipa per l’aspetto performativo e coreico l’associazione Ariella Vidach AiEP di Milano, che già si era occupata di Africa a Palazzo Litta, con «Secret Rooms: Africa», una performance dal grande potenziale con un eccesso di intellettualismo.

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Al Mudec di Milano, finora l’unico museo etnoantropologico della città, interverrano artisti e specialisti delle migrazioni sia per averle vissute in prima persona sia per lavoro per cercare di riflettere sul piano teorico-storico e su quello pratico-artistico sulle poetiche dell’arte contemporanea (in particolare delle arti performative) dell’Africa postcoloniale, cercando di integrare gli aspetti più tradizionali e antropologici con gli elementi artistici condivisi dall’esperienza artistica occidentale.

Integrazione è la parola chiave, parola molto sentita e (ab)usata, ma allo stesso tempo tanto difficile da capire e quindi da applicare. Deriva dall’aggettivo latino integer ‘integro, unitario’, quindi integrare vuol dire ‘rendere un tutt’uno’: è un’esperienza antropologica quella di integrare le culture, che nasce dopo una regola data dalle istituzione. È un’arte anche questa, e come tale, necessita di una teoria, di molte regole e di una tecnica, di una costruzione di una realtà nuova coerente e coesa. Non può essere un risultato di emotività e suggestione mi(s)tiche.

MigrArti deve mostrare che l’arte migra alla vita, cioè getta le basi teoriche per indicare la costruzione di una nuova vita che integri tutte le componenti. L’arte deve avere il suo impegno sociale e civile; l’intellettualismo e la lontananza dal mondo non è arte. Questo l’augurio in una Milano sempre più preda di eventi, pieni di parole, facili propagande, suggestioni new age, ma vuoti (quasi) di contenuti e significati profondi.

 

Domenico Giuseppe Muscianisi

Foto concesse da Associazione Culturale Ariella Vidach AiEP.

 

questa rubrica è a cura di Domenico Giuseppe Muscianisi
rubriche@arcipelagomilano.org



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