3 aprile 2018

I TRASPORTI PUBBLICI NEL DOCUMENTO UNICO DI PROGRAMMAZIONE

Una gerarchia dei temi fuorviante


Il Documento è di trecentonove pagine. Se le pagine fossero state dieci volte meno, cioè trenta, lo stesso documento sarebbe stato più utile e più comprensibile, meno superfluo e meno pletorico. Per dare un giudizio complessivo sull’intero Documento non è necessario leggerlo tutto nei minimi dettagli, ma è sufficiente analizzarne attentamente anche uno solo dei suoi diciannove capitoli e da quello dedurre i pochi pregi ed i molti difetti che essi contengono.

05gardella13FBSi prenda uno dei capitoli più importanti, il capitolo numero 10: “Trasporti e diritto alla mobilità”. Perché diritto? La mobilità per il Comune non è un diritto, ma un tassativo dovere, un servizio di importanza primaria da gestire ed offrire ai cittadini nel migliore dei modi. Il Capitolo è suddiviso a sua volta in sette sottocapitoli. Ci si aspetterebbe una suddivisione più semplice composta soltanto da tre grandi sottocapitoli ognuno dedicato ai tre principali tipi di trasporto urbano: trasporto motorizzato in superficie, che può essere sia pubblico (tram e autobus) sia privato (auto personali e taxi); trasporto motorizzato in sottosuolo; che è solo pubblico (metropolitana); trasporto in superficie non motorizzato che può essere privato (biciclette) o pubblico (biciclette in uso comune o “bike sharing”).

Il Documento invece di iniziare con un argomento di primaria importanza quale la rete dei trasporti e la loro estensione apre le sue considerazioni con un aspetto del tutto secondario, quello della sosta e dei parcheggi; un aspetto che andrebbe affrontato per ultimo e non per primo. Lascia perplessi che il capitolo “Trasporti” non affronti una scelta ormai diventata urgente e di importanza primaria, e cioè l’adozione del trasporto pubblico. Il Documento ne parla, è vero, ma senza mai citare i molti e pesanti impegni che il trasporto pubblico comporta, i notevoli stanziamenti che esso richiede, le ardue difficoltà tecnico-strutturali che esso presenta.

Anzitutto va calcolato l’impegno economico. Di tutte le spese da sostenere quella maggiore sarà richiesta dallo sviluppo della rete sotterranea giacché le attuali linee metropolitane sono del tutto insufficienti a coprire l’intero territorio della città. Una spesa non meno gravosa dovrà essere stanziata per il miglioramento della rete in superficie: oggi tram e autobus hanno una frequenza troppo bassa per essere all’altezza di una importante metropoli europea; inoltre essi non sono estesi a tutte le zone del territorio urbano. Occorre raddoppiare se non triplicare il numero delle corse ed evitare ai viaggiatori le attese di parecchi minuti nonché a volte, come è già successo, di interi quarti d’ora; occorre aumentare il numero delle carrozze, raddoppiare il personale di servizio (conduttori, operai addetti alla manutenzione ed al controllo); ampliare le superfici di rimessaggio.

Il Documento, pur auspicando l’incremento del trasporto pubblico, non si prende cura di esporre i necessari calcoli economici e le indispensabili verifiche senza le quali non si possono ottenere i finanziamenti necessari. Sarebbe stato doveroso dare informazioni ai cittadini su alcuni pochi ma essenziali dati di bilancio:

– Quale è l’introito medio annuale di cui il Comune può disporre;

– Quale è la spesa fissa che il Comune deve sostenere annualmente (stipendi, affitti, altre voci non deducibili);

– Quale è la cifra rimanente e disponibile per condurre a termine le opere programmate.

Conosciuta quest’ultima cifra, che è di importanza vitale perché condiziona tutto il futuro sviluppo della città, si deve fare una attenta valutazione delle opere di maggiore o di minore necessità e distribuire il danaro disponibile fra le opere già in precedenza programmate.

Purtroppo proprio su queste informazioni il Documento è colpevolmente assente.

APPENDICE

Sul trasporto pubblico si possono fare alcune riflessioni giacché esso non è tassativamente indispensabile in molte delle grandi città che si trovano distribuite nei vari continenti. In America, per esempio, dove le città hanno una vita recente; dove non esistono centri storici; dove le vie sono larghe e spaziose; dove le aree di posteggio sono frequenti ed estese; dove la circolazione delle auto private è rapida ed agevole; in queste città i trasporti pubblici sono meno indispensabili e vengono ampiamente sostituiti dal mezzo privato. A Los Angeles, come a Brasilia, come a New York e come in altre grandi metropoli americane sia le auto private che i servizi di taxi funzionano perfettamente e rispondono in modo soddisfacente alle esigenze degli abitanti.

Al contrario nelle città europee nate secoli fa il centro storico è denso di costruzioni, solcato da strade strette, punteggiato da piazze poco ampie. Le auto vi circolano a stento ed il traffico privato si ingolfa di continuo e spesso si arresta. A Milano si è creduto di alleggerire il traffico cittadino instaurando all’interno del centro storico l’area C e limitando l’ingresso delle auto provenienti da fuori città: una ingenua illusione, un inutile palliativo, con il quale non si è affatto riusciti a migliorare né a rendere più scorrevole la mobilità urbana.

La soluzione giusta è ben diversa e assai più radicale: per evitare l’ingresso delle auto private nel centro città occorre creare numerosi parcheggi periferici e collocarli nei punti di interscambio tra traffico veicolare e rete metropolitana, precisamente là dove avviene il trasferimento dal mezzo privato di provenienza extraurbana al mezzo pubblico di servizio urbano.

Tutto ciò rende necessario un progetto a scala territoriale che assicuri la convergenza delle strade extraurbane verso i capolinea delle metropolitane urbane; che preveda la costruzione di altre linee urbane in sottosuolo molto più numerose di quelle oggi esistenti; che affianchi alle stazioni terminali ampi e capaci parcheggi.

Di questo progetto il Documento non fa menzione, sebbene esso sia argomento specifico del Capitolo 10: “Trasporto e diritto alla mobilità”.

Circola la errata convinzione che gli italiani non sappiano staccarsi dal sedile e non vogliano rinunciare all’uso dell’auto di loro proprietà. Una sciocchezza: nessun italiano è così stupido da perdere tempo e da sprecare energie preziose per il fatto di essere obbligato a sostare in lunghe code davanti ai semafori oppure a cercare faticosamente un posteggio dove lasciare l’auto. Sarebbe ben più felice se potesse viaggiare comodamente seduto in una comoda vettura offerta dal servizio pubblico. Vi è tuttavia un inconveniente grave e pesante: esso consiste nel fatto che a tutt’oggi in molte zone della città il mezzo pubblico non arriva se non con scarsa frequenza e spesso passa lontano dal luogo dove ci si deve recare. Tutto ciò obbliga forzatamente, soprattutto chi si muove per lavoro, ad usare suo malgrado il mezzo privato.

Esiste una falsa opinione la quale è convinta che il trasporto pubblico di Milano sia eccellente e indiscutibilmente migliore se confrontato con quello di Roma, di Napoli, di Palermo. Chi è così cieco da prendere simili abbagli dovrebbe fare il confronto con l’Europa del Nord e non con l’Italia del Sud; dovrebbe constatare di persona come funzionano i trasporti pubblici di Londra, di Parigi, di Vienna. In queste città l’attesa fra una corsa e l’altra è di pochi minuti e le reti di trasporto sia urbano che metropolitano non lasciano scoperta o malservita nessuna zona dell’abitato.

Dalle osservazioni fatte appare chiaro che i nostri Amministratori e Politici hanno un’idea alquanto confusa dello sviluppo futuro che dovrà avere la nostra città. Il Documento si sofferma su troppe analisi poco significative, ma non giunge mai ad una sintesi che sia complessiva e lungimirante.

Jacopo Gardella

 

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