3 aprile 2018

sipario – L’AFRICA PULSA A RITMO DI ARIELLA VIDACH


A Palazzo Litta di Milano, nell’ambito della mostra sul design africano contemporaneo dal titoloAfrica Africa: Exploring the Now of African Design and Photography (alternato nel comunicato stampa con Choreography, sic!), si è svolta la performance della compagnia Ariella Vidach AiEP che prevedeva sette interventi di circa venti minuti nel pomeriggio di sabato 24 marzo scorso.

La compagnia di Ariella Vidach presenta un mix di danzatori contemporanei parte italiani, parte africani che, attraversando le stanze della mostra, “invadono” lo spazio dell’esposizione tra giochi di luci e proiezioni con l’obiettivo di coinvolgere gli spettatori in un ballo di gruppo itinerante. Più “design” e meno “choreography”. La coreografia Secret Rooms: Africa, l’ultima produzione di Ariella Vidach, prende in nome negli spazi delle stanze di un Palazzo che non facilmente è aperto al pubblico, è stata sacrificata dagli spazi che tra le opere in esposizione e gli spettatori diventavano troppo angusti per i performer.

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Secret Rooms: Africa mostra un grande potenziale, soprattutto per lo spazio dedicato all’improvvisazione e la volontà di abbattimento della cosiddetta “quarta parete” coinvolgendo il pubblico. Le percussioni simil africane della base – sempre le stesse per ogni intervento – hanno conferito una certa fissità e monotonia alla performance. I costumi semplici (camicia bianca con pantalone o gonna e scarpe neri) non si sono sposati perfettamente con il progetto: non erano, infatti, abbastanza neutri per lasciare spazio all’immaginazione dello spettatore, né erano vistosi da lasciare impressa un’immagine di un colore o un movimento.

L’Africa è tutto, fuorché monotona e neutra. Quale Africa, poi? È un nome collettivo che non rende giustizia alla cultura, ma solo alla storia geopolitica degli ultimi due secoli. Questo nome è forse ancora l’ultimo retaggio del colonialismo europeo nel continente. Gli stessi Romani con il nome “Africa” intendevano una piccola provincia che corrispondeva grosso modo all’attuale Tunisia.

È stato invece molto bello il richiamo alla cosiddetta “Africa tribale”. Attraverso una scenografia di luci e proiezioni, a turno i danzatori si collocavano in modo che punti o strisce di luce bianca ricoprissero il viso o parti del corpo e li dipingessero secondo alcuni stili di pittura corporea, in uso presso molte tribù dell’Africa subsahariana, in particolare nell’Africa occidentale e centrale.

Parziale lo sviluppo di Secret Rooms: Africa, è rimasto troppo “secret”: non so quanto allo spettatore di un singolo ciclo potesse essere rimasto impresso un ricordo o un’emozione. Io stesso sono rimasto a vedere tutti i cicli per arrivare a questa spiegazione, dopo che la prima proiezione (all’ingresso) disegnava sul volto del danzatore alcuni punti bianchi che verticalmente tagliavano la metà del volto.

Questa è una decorazione tipica del Mali e delle terre wassoulou e anche dei Dogon: il bianco, nel contrasto con la pelle scura, è antropologicamente associato con il lutto (al contrario, nelle terre con la maggioranza di popolazione di pelle chiara il lutto è nero) oppure alla purificazione e al metafisico. I Dogon con i punti bianchi sul corpo rappresentano le stelle del firmamento nella loro complessissima configurazione cosmogonica: l’uomo è nel cosmo e il cosmo è nell’uomo.

Ecco, perché nelle spiegazioni degli oggetti in esposizione, tutti perfettamente in linea tematica con il Paese e la cultura di provenienza, anche la coreografia avrebbe dovuto approfondire l’elemento descrittivo o evocativo di quale Africa e di che cosa dell’Africa si volesse raccontare. L’Africa pulsa nelle sue bellezze di emozioni, contraddizioni e costrasti di rara autenticità.

Secret Rooms: Africa ha suscitato nel pubblico un indubbio interesse. Il pubblico indirizzato si è fatto guidare dalla performance, una performance interessante e ricca di spunti e potenziale, che si è risolta come un esercizio intellettualistico. Tuttavia, l’esecuzione della performance ha mostrato momenti di piacevole assorbimento: i danzatori di Ariella Vidach mostrano una capacità di unisono notevole, hanno un bel movimento nelle “fratture” del contemporaneo. Sentono molto bene il ritmo del battere e la percussione che, dalla musica al battere del piede e all’andamento verso il basso, legano la danza e la coreografia alla terra.

 

Domenico Giuseppe Muscianisi

Foto dal repertorio della comapgnia Ariella Vidach AiEP: Antonella Fittipaldi

 

 

questa rubrica è a cura di Domenico Giuseppe Muscianisi
rubriche@arcipelagomilano.org



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