20 febbraio 2018

PERIFERIA AL PALO, CENTRO ALLARGATO IN CORSA

La crescita delle disuguaglianze nella città costruita


All’inizio degli anni 90 proposi insieme ad altri (Lanzani, Boeri, gli amici del PIM, etc.) di leggere l’area metropolitana milanese come una sorta di ciambella in negativo: come cioè un territorio formato da un nucleo centrale “forte”, corrispondente alla Milano inclusa nelle mura spagnole; una fascia esterna coincidente con i comuni della prima cintura milanese in posizione, diciamo, intermedia; e uno spazio più debole collocato fra questi e il nucleo centrale – cioè la ciambella vera e propria- corrispondente alle zone e ai quartieri di Milano più esterni, ma ancora inclusi nei limiti amministrativi del capoluogo.

03marini07FBL’immagine della ciambella traduceva nella materialità dello spazio urbano fenomeni messi in evidenza da diverse ricerche. Ad esempio la de-urbanizzazione, in quegli anni all’apice, cioè lo spostamento di famiglie e imprese da Milano verso i comuni di prima e seconda cintura. O la scoperta, per certi versi sorprendente, che la dotazione dei servizi (allora si chiamavano standard) era decisamente più consistente nei comuni della prima cintura rispetto a Milano e alla sua periferia. O ancora, la maggiore efficacia dimostrata dalle amministrazioni dei comuni esterni nell’interpretare domande e bisogni dei propri cittadini, oltre ad innumerevoli altri fenomeni che sarebbe lungo richiamare in questa sede. L’immagine della “ciambella” era poi debitrice di una intuizione semplice, e cioè che la periferia non fosse un dato della geometria, l’area cioè più distante dal centro, come presupposto dai classici, ma fosse una condizione da cercare, da mettere in luce. Fedele a quella intuizione ho l’impressione che dopo 25 anni la ciambella sia una immagine da abbandonare.

L’idea di fondo è che Milano-città sia cambiata, e sia cambiata di molto. Il centro è diventato più prezioso, più ricco e più curato e, soprattutto, è diventato decisamente più esteso valicando la linea dei Bastioni e la stessa circonvallazione cosiddetta esterna. Il centro ha cioè invaso almeno parte della ciambella. È EXPO ad aver reso evidente questo mutamento, che è però l’esito di processi di più lunga durata che solo parzialmente hanno a che fare con esso. Come molti ricordano (ad esempio Alessandro Balducci) la crescita del centro è ben testimoniata dalle attività che hanno trovato dimora all’interno della ciambella: prime fra tutti la citatissima Fondazione Prada o il MUDEC, per citare un altro caso conosciutissimo.

Profondamente mutata è anche la geografia delle sedi direzionali delle grandi imprese, compreso quelle finanziarie, che negli anni ’60 erano tutte rigorosamente concentrate lungo l’asse piazza Scala, piazza Cordusio, piazza degli Affari. Lo stesso dicasi per il mondo della moda, che ha invaso la zona est e sud di Milano, per il variegato universo dei cosiddetti creativi, delle start up, della ricerca, delle agenzie pubblicitarie, dell’editoria o delle Università che da tempo si sono localizzate in “periferia” (Bicocca, Bovisa. IULM, Naba, etc.). Alcuni lettori, in fondo a ragione, penseranno che è banale costatare che in un mondo decisamente più interconnesso, e alla fine più largo, il “centro” sia diverso e più ampio rispetto a quello di 25 anni addietro.

In ogni caso questo mutamento è avvenuto secondo modalità abbastanza tipiche. La trasformazione di un edificio o di un pezzo di isolato, l’arrivo di una attività rara o i lavori di abbellimento dello spazio pubblico (ciò che negli anni ’80 si chiamava “arredo urbano”) hanno costituito l’innesto per cambiamenti infinitesimali e, almeno inizialmente, poco visibili, la cui sommatoria ad un certo punto configura un paesaggio nuovo. Le facciate vengono ridipinte, cambia il profilo sociale e demografico degli abitanti, variano i modi d’uso della città, mutano i negozi, si moltiplicano bar e ristoranti fintanto che non diventa evidente che tutto il quartiere è cambiato. Il risultato è che strade come viale Abruzzi, viale Piceno o viale Marche, viale Brianza, viale Jenner sono molto diverse da quelle un po’ grigie degli anni ‘80.

Due incisi. Il primo riguarda i bar, i ristoranti e i locali pubblici: sono le attività che più di altre testimoniano il mutamento della città. Sono una sorta di “cartina di tornasole” della città che cambia. E anche in questo caso assistiamo ad una decisa diffusione, giacché un tempo i distretti del tempo libero erano unicamente Brera, il Ticinese e poco più. Il secondo inciso è che ho il sospetto che il successo del fiume verde proposto da Boeri e ripreso nel progetto degli scali ferroviari sia legato al fatto che interpreta e rende evidente questa dilatazione del nucleo centrale milanese, anche se presumibilmente avrà uno sviluppo più centripeto che centrifugo.

Ma cosa è successo nel frattempo all’interno della ciambella o nei comuni di prima cintura? Difficile rispondere. Alcune porzioni di territorio sono state sicuramente interessate da fenomeni di degrado (ciò che alcune teorie urbane chiamano “filtering down”). Si pensi ad alcune marche di confine fra la città e la grande viabilità, ad alcune zone a ridosso dei confini amministrativi, dove a nessuno interessa intervenire. E altresì probabile che il peggioramento abbia interessato qualche quartiere di edilizia popolare, che nell’area milanese da sempre coincidono con la “periferia”, e fintanto alcuni (pochi) complessi residenziali privati ove il sommarsi della povertà e dell’esclusione rende praticamente impossibile intervenire (cfr. Adriana Poli in Arcipelago del 21 giugno 2017). Ma anche laddove il degrado è stato contenuto o del tutto assente, mi sembra difficile negare che è aumentata la distanza fra la qualità dell’esteso nuovo centro di Milano, da una parte, e le zone esterne milanese e i comuni di prima cintura dall’altra.

Non tanto o non solo perché questi ultimi sono peggiorati, anche se probabilmente a macchia di leopardo, ma perché è migliorata molto la qualità del nuovo centro. Tanto per fare un esempio, il grado di definizione, la pulizia e la manutenzione di marciapiedi, strade o giardini del nucleo centrale, che siano questi a San Babila o nella sconosciuta e milanesissima via Mameli, è incomparabilmente differente da quello delle strade di Corsico, di Sesto San Giovanni, di Pieve Emanuele o di Peschiera Borromeo o del quartiere Rogoredo a Milano. Esempio sciocco? sì anche, ancorché facilmente percepibile da chiunque. Ma se questa interpretazione è vera allora vuol dire che in 25 anni la periferia è tornata ad essere un attributo della geometria: ciò che è lontano dal centro. E, soprattutto, la periferia è diventata il prodotto delle differenze: giacché qualcosa è migliorato sensibilmente mentre qualcosa è rimasto uguale a sé stesso.

Ho provato ad elaborare un solo dato. Se prendiamo i valori immobiliari pubblicati dal Borsino Immobiliari e li aggreghiamo per fasce concentriche emerge che i prezzi delle case fra il 2011 e il 2016 (2° semestre) nel centro definito dalla circonvallazione dei Bastioni sono mediamente cresciuti dell’11,3%, quelli dei quartieri compresi fra questa e la cosiddetta circonvallazione esterna sono cresciuti di un valore praticamente equivalente (+11,7%), quelli della zona esterna milanese hanno registrato un decremento del 3,2%, mentre quelli dei primi comuni di cintura sono praticamente crollati (-19,9%). Dato grossolano, giacché è probabile che la ripresa del mercato immobiliari si manifesterà a breve anche fuori Milano, ma direi significativo.

Post scriptum. E quindi, alla fine, la morale quale è? Mi limito a tre considerazioni. La prima è per così dire personale. Forse è opportuno tornare ad osservare il territorio, come è stato fatto negli anni ’80 e ‘90, per capire cosa è effettivamente cambiato. La seconda considerazione è scontata, ma necessaria. Mettere in evidenza che esistono itinerari di trasformazione differenti non significa voler rallentare il nucleo centrale: per così dire disinvestire nella vetrina della città metropolitana. Ci mancherebbe altro. Significa semplicemente che occorre prendersi cura anche dei territori più esterni è deboli. E qua veniamo alla terza considerazione. Gli sforzi e l’attenzione della presente e delle passate amministrazioni comunali di Milano al problema alle sue periferie sono pienamente condivisibili e obbligati. Solo che la differenza fra centro e periferia, fra città bella e città degradata non coincide più con i confini amministrativi dei comuni. Come per altre politiche (ad esempio quelle dei trasporti) la dimensione corretta è quella metropolitana. So bene che puntare sulla Città Metropolitana è nelle attuali condizioni perlomeno ardito (folle?) ma, ahimè, ho l’impressione che quella sia la scala obbligata.

Edoardo Marini



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