15 novembre 2017

sipario – QUOTIDIANA.COM: TEATRO DEGLI OPPOSTI CHE ABBATTE I TABÙ


Questa settimana “Sipario-dietro le quinte” ha incontrato Quotidiana.com, associazione culturale fondata a Rimini nel 2003 da Roberto Scappin e Paola Vannoni. Un progetto comune nato per dare forma a due diverse visioni della realtà,contrapposte eppure complementari, che riflettono la natura contraddittoria, irrisolvibile della realtà e del teatro che la rappresenta, indagandola in modo problematico per “andare oltre”, alla ricerca di un nuovo senso della vita (e della morte).

sipario38FBPartiamo dal vostro nome: “Quotidiana” suona come un latinismo e sembra alludere al radicamento del vostro teatro nella routine di tutti i giorni. Il “.com” serve a recuperare una dimensione di modernità e a proiettarla in una realtà digitale, astratta e sfuggente?

Oggi non solo il teatro attinge dalla realtà di ogni giorno, ma è diventato parte integrante della nostra routine quotidiana. Ha smesso di rappresentare un’“eccezione” per diventare abitudine, e anzi si può dire che elementi di “performance” e “recitazione” si possono ritrovare anche in contesti che di per sé non avrebbero nulla di teatrale o artistico. I nuovi mezzi di comunicazione (con la loro pervasività che sconfina nell’invadenza) hanno contribuito a tale processo, ed è per questo che abbiamo voluto aggiungere al nostro nome il suffisso tipico dei domini internet. Ma più banalmente “com”, è anche la dichiarazione di ciò che siamo: una compagnia che ha fatto del teatro una pratica quotidiana, un’ossessione, una ricerca assillante.

Il vostro non è un teatro “d’evasione” intesa come “divertimento” o “estraniazione”; mette in scena i contrasti che permeano il mondo (successo/fallimento, dominio/sottomissione, religione/scienza) e i tabù condizionano il comportamento umano (isolamento, fede, eutanasia), offrendone un’interpretazione critica e in qualche modo “anarchica”. Chi è il vostro pubblico di riferimento?

Il conflitto è parte della modernità e dell’inquietudine contemporanea. Il nostro teatro lo indaga e lo riflette. Più che d’“evasione”, è un teatro d’“eversione”, che cerca delle vie di fuga dalle coercizioni e dall’opinione corrente, che usa parole disturbanti e rinuncia agli atteggiamenti più conformistici (cinismo, razionalità, indifferenza, utopia), per assumere punti di vista scomodi da cui descrivere il mondo e cercare di rovesciarlo.

Dal punto di vista prettamente artistico, ciò si riflette nel superamento dei condizionamenti del canone e nella ricerca di un linguaggio autonomo, capace di interloquire indistintamente con chiunque avverta la necessità di lasciarsi sorprendere dall’imprevedibile, di liberarsi di tabù, mistificazioni e ipocriti pudori, e al tempo stesso di attrezzarsi con “armi di difesa”, come ad esempio l’umorismo.

Il nostro pubblico non ha un’età o uno status sociale precisi, ma è attento a cogliere ogni guizzo di pensiero errante, capace di apprezzare il paradosso, e proprio per questo pronto a cogliere ogni occasione che dal nostro teatro gli viene offerta per fuggire alla “normalità” in cui siamo tutti rinchiusi o sorvegliati.

Considerate il teatro una “paralisi del reale, in cui il reale viene amplificato”, ma ammettete che anche la follia e l’anarchia sono un’esasperazione della realtà; dunque il teatro (e in generale l’arte) è una forma di follia legittimata? un modo di cercare un “altrove” rispetto al quotidiano o un nuovo modo di guardare e attribuire senso al reale qui e ora?

In teatro è una dimensione in cui si cristallizzano, si reiterano e perfezionano atti che rappresentano una minuscola parte di mondo. Il linguaggio che viene utilizzato amplifica il dettaglio, amplia i significati, ne mette in mette in luce le sdruciture, i rammendi dietro i quali si intravede il vuoto. Qui si codificano discorsi mai pronunciati, prendono forma provocazioni e derisioni, avvengono incontri e relazioni con tra sconosciuti, si risolvono o si esibiscono equivoci. La follia stessa in teatro è equivocata: il folle in teatro non è un malato che soffre; piuttosto è un individuo che “si offre”, un giullare che deride se stesso, riducendo la sua sofferenza a maschera grottesca, logorroica ma incapace di uscire dal soliloquio.

L’arte è folle nel senso che, per rigenerarsi e mantenersi efficace, deve contraddire se stessa. E noi artisti facciamo della “distruzione”, della rinuncia all’esistente, al quotidiano, il presupposto per elaborare un nuovo sguardo e creare qualcosa di nuovo. L’“altrove” del teatro siamo noi esseri umani.

Il vostro linguaggio teatrale parte dalla ricerca estetica dell’essenziale (della parola, del gesto, delle situazioni). Che cosa significa in termini di scrittura, gestualità performativa e di allestimento scenico? Quali sono gli aspetti tecnici caratteristici dei vostri spettacoli?

Puntare all’essenziale significa rinunciare a tutto il “contorno” che può fungere da rete di sicurezza, scegliere di rischiare (di essere violenti, di apparire volgari o stupidi), non avere paura di farsi male (in senso metaforico). Significa rimproverare al mondo il suo materialismo e rinnegare i tipici parametri di riferimento.

Nei nostri spettacoli rinunciamo al movimento per far sì che siano le parole a coreografare i corpi, e spesso rinunciamo anche alle parole per lasciare spazio al silenzio e agli oggetti più quotidiani, correlativi oggettivi di significati che sfuggono.

Voi siete anche interpreti dei vostri spettacoli: date corpo e voce a due personaggi che sulla scena non riescono mai ad essere “coppia” ma restano chiusi nella loro incomunicabile individualità e nel soliloquio. Un teatro che nega l’efficacia della parola è provocatorio, nega se stesso. Ma perchè funziona?

Più che negare l’efficacia della parola, utilizziamo atti linguistici provocatori che sollecitino nuove forme di relazione. Rinunciamo a replicare le norme del passato, impediamo che lo spettacolo diventi un’apologia trionfale dell’io, per renderlo più dialogico e democratico. Così il teatro diventa comunicazione e mantiene la sua efficacia nei confronti del pubblico e del mondo.

La vostra produzione dà spazio sia agli elementi del teatro più tradizionale (recupero del coro) sia agli aspetti più moderni dell’arte performativa (abbattimento della quarta parete e rottura metateatrale della finzione scenica). Quali saranno le caratteristiche del teatro futuro?

Gli elementi tradizionali che compiono nel nostro teatro risultano trasfigurati, quasi irriconoscibili: il nostro Coro si fa “corpo”, personaggio multiplo, privo di maschere e spogliato dell’austerità classica. Proprio la rinuncia alla troppa gravosità è la funzione degli aspetti metateatrali delle nostre produzioni, che mirano a un teatro capace di fasi critico verso gli argomenti più seri della contemporaneità, senza rinunciare al piacere della performance, dell’intrattenimento.

 

Chiara Di Paola

questa rubrica è a cura di Domenico G. Muscianisi e Chiara Di Paola
rubriche@arcipelagomilano.org



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