4 ottobre 2017

ANTONIO CALABRÒ: “IL NORD MILANO È UN CENTRO ATTIVO”

Intervista sulla Milano policentrica: la Bicocca e il suo il Distretto


All’avvio della nuova stagione politica si discute dei ritardi operativi nei diversi progetti del Piano Periferie di Milano, della fatica nel coordinamento di un gran numero di enti, apparati tecnici e gruppi organizzati coinvolti e dell’intreccio per ora solo enunciato con gli altri grandi piani di trasformazione urbana, in primo luogo gli Scali Ferroviari.

04ponzini32FBLe insufficienze di operatività e coordinamento denunciate dal Sindaco stesso sono anche conseguenza della mancata elaborazione di una strategia unificante, un “modello Milano per le periferie” che riunisca e coordini progetti e interventi, dia indicazioni chiare e immediate alla politica e alla tecnica, definisca i contorni della tanto invocata regia pubblica di tutte le grandi trasformazioni urbane.

Per ragionare su questo modello può essere utile riprendere la storia anche recente del pensiero e delle pratiche di trasformazione del nostro territorio, importare contenuti dalle prove di altre grandi città europee, chiamare alla riflessione quei milanesi attivi che per esperienza e formazione abbiano operato su queste aree complesse.

Ecco quindi una breve sequenza di conversazioni, la prima con Antonio Calabrò, direttore della Fondazione Pirelli e Vicepresidente di Assolombarda, narratore di una milanesità attiva che dalla riflessione sulla concezione ed edificazione di Bicocca sa estrarre le tracce per una costruzione metropolitana contemporanea.

Nel testo di presentazione del progetto Bicocca in Triennale nel ’95 Vittorio Gregotti scriveva di voler dare vita a “un centro storico della periferia diffusa”. Ritiene che quell’obiettivo sia stato raggiunto?

Leopoldo Pirelli e il gruppo dirigente dell’impresa negli anni Ottanta avevano individuato nelle aree degli stabilimenti industriali in Bicocca, in via di dismissione, il cuore di un progetto urbanistico e sociale per fare vivere una “nuova centralità” a quegli spazi nel passaggio dalle fabbriche ai luoghi delle funzioni terziarie, della formazione universitaria e della ricerca. La fabbrica era stata luogo di innovazione, trasformazioni economiche e sociali, luogo di cultura del conflitto come della partecipazione e dell’inclusione.

Ora nuove funzioni intellettuali e sociali davano corpo ai cambiamenti, dall’industria di massa al cosiddetto “post industriale”. E Vittorio Gregotti ha portato avanti con lucidità culturale e progettuale una visione della città policentrica, continuando a fare vivere il cosiddetto “Nord Milano” che già storicamente aveva centri molto vivi, da Monza a Sesto San Giovanni, da Cinisello a Greco, quartiere con una parrocchia molto attiva e un centro sociale dinamico come il Leoncavallo.

In questa nuova centralità Bicocca è l’unica delle aree industriali dismesse in cui i progetti sono stati realizzati, e ciò per diversi motivi. Era chiara la committenza, era chiaro il progetto, c’è poi stata una forte identità imprenditoriale, industriale e anche culturale. Pirelli ha sempre dialogato alla pari con gli intellettuali, nel progetto Bicocca come poi per Fondazione Pirelli e per HangarBicocca. Voglio infine sottolineare che, in piena Tangentopoli, quell’operazione è stata completamente pulita, senza una sola ombra giudiziaria. Si è affermata un’etica imprenditoriale, indispensabile nelle relazioni tra privato e pubblico.

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Se Bicocca sia o meno periferia è un dibattito ancora oggi aperto. Però, tra Bicocca e il resto del “Nord Milano” sono cresciute così tante realtà da formare un distretto culturale, che forse non percepisce compiutamente di esserlo e che ancora non è riconosciuto formalmente come tale. Il Museo Interattivo del Cinema, l’HangarBicocca, la Fondazione Pirelli, il Teatro degli Arcimboldi, i centri di ricerca, l’Università, la Collezione d’Arte contemporanea della Deutsche Bank, i laboratori di ricerca della Siemens, il Museo della Fotografia a Cinisello, la Fondazione Isec a Sesto, le attività culturali e musicali del Carroponte.

Sono presenze numerose e importanti che dovrebbero solo mettersi in rete e che potrebbero essere un punto di riferimento per la città, nella sua dimensione di metropoli di riferimento nazionale e respiro europeo. Servirebbe però una regia pubblica. Agli attori pubblici, a cominciare dal Comune di Milano, non vengono chiesti finanziamenti e contributi, ma visione e coordinamento. Bisognerebbe sempre tenere insieme pubblico e privato. Un buon progetto di riqualificazione ha la regia del pubblico e il dinamismo del privato.

A distanza di trent’anni dall’avvio del percorso Bicocca, nell’attualità di grandi trasformazioni come quella del Piano Periferie e degli Scali Ferroviari, quali indicazioni possiamo trarre da successi e limiti di quel progetto?

Ogni area ha ovviamente le proprie caratteristiche, ma è importante che una funzione culturale vi sia sempre, non calata dall’alto ma connessa al territorio, al quartiere. E soprattutto che sia facilmente raggiungibile ma anche ben comunicata. Tanti piccoli teatri in zone non centrali hanno programmazioni poco note, o comunque diffuse da media di nicchia, di quartiere, diversi da quelli istituzionali.

Se vi fosse invece un unico contenitore di comunicazione meno rigido e formale di quello attuale, vi potrebbero trovare posto adeguato sia i piccoli teatri più lontani, come il No’hma, il Teatro di Ringhiera, l’Out Off, che quelli più conosciuti, dentro un circuito virtuoso di comunicazione e interazione. Anche in questo caso servirebbe una regia pubblica che pensasse a una Milano grande, che comunicasse la cultura dando l’importanza meritata a realtà maggiori e con sedi più centrali come alle altre. La stessa Bicocca potrebbe essere più attrattiva se il Teatro degli Arcimboldi avesse programmazione e comunicazione migliori.

Credo inoltre che per fare vivere un’area urbana siano fondamentali le interconnessioni tra funzioni diverse: residenza con terziario, servizi, librerie, teatri, spazi dello scambio e del tempo lungo, delle relazioni. Bovisa, per esempio, pur essendo facilmente raggiungibile, è un meccanismo che non ha funzionato, non sono state pensate e attuate queste interconnessioni tra università, abitazioni e altri spazi culturali. Un’istituzione pubblica come la Triennale vi è stata calata dall’alto.

I risultati sono quartieri dormitorio o spazi di studio e lavoro che vivono solo di giorno. O paradossalmente luoghi diventati solo vetrine dello shopping, come le vie del “quadrilatero della moda”, affollate di giorno e deserte di sera. La vitalità urbana sta invece nella molteplicità di usi e funzioni, nel periodo lungo di animazione degli spazi. È una sfida culturale e civile, oltre che progettuale. Una dimensione di città animata che va tenuta presente pensando per l’immeditato futuro a Human Technopole o anche a Città Studi, se si svuotasse delle funzioni dell’università.

Quando queste interconnessioni ci sono, le città possono essere “sporcate” dai suoi abitanti, realmente vissute, magari vissute anche in modo diverso da come erano state pensate dagli urbanisti e dagli architetti.

Anche in un’intervista al Giornale delle Fondazioni Lei descrive il “Nord Milano” come area densa di istituzioni culturali. Può essere quella la rete intorno alla quale organizzare un territorio così complesso?

Le istituzioni di cultura possono superare confini amministrativi, dare vita a nuove centralità, solo se si mette in atto un’operazione forte, come è stata quella di HangarBicocca, che è innovazione ed eccellenza nell’arte contemporanea ma al contempo contenitore di cultura popolare, intendendo per “popolare” la possibilità di essere accessibile al maggior numero possibile di persone. Per farmi capire, quando uso il termine “popolare” penso a intellettuali come Munari o Rodari o alla Rai della stagione di Ettore Bernabei: qualità dei prodotti e consumi di massa. Cultura popolare, non volgare.

Nella primavera del 2012, quando abbiamo rilanciato HangarBicocca, si è voluto un centro d’arte che non si rivolgesse a pochi, ma che fosse destinato a un largo pubblico. Anche quando Hangar ha proposto mostre impegnative lo ha fatto con linguaggi fruibili per tutti. Fin dall’inizio, nell’accogliere i visitatori sono stati impegnati ragazze e ragazzi laureati in storia dell’arte, in grado di offrire una spiegazione, una guida, elementi chiari di lettura e interpretazione delle opere in mostra.

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Ai bordi di Bicocca sorge il Parco Nord, un esempio di accordo metropolitano che travalica confini amministrativi e burocratici. I prototipi urbani di Bicocca e Parco Nord fanno pensare che solo gli interventi che rispondono a una visione, a una strategia compatta e autorevole riescano a incidere sullo sviluppo urbano. Quanto pesa la parcellizzazione amministrativa e dei piani urbanistici sulla crescita, l’espansione della vocazione originaria di Bicocca?

Il Distretto Bicocca, nato lo scorso anno su iniziativa dell’Università, vuole proprio arrivare a questo risultato, fare rete e condividere strategie di valorizzazione del territorio, superando i confini dei singoli Comuni. Con la volontà di unire e ricongiungere spazi per creare opportunità, è stata informalmente avanzata al Comune la proposta di realizzare un ponte che scavalchi Fulvio Testi e che possa quindi collegare Bicocca al Parco Nord. Il verde è visto come spazio per il pensiero, per le relazioni, gli scambi. Le rigidità degli orari lavorativi per esempio sono diminuite e avere quindi nelle vicinanze la possibilità di fruizione di spazi verdi è un’opportunità di grande valore per chi lavora in queste aree.

Bicocca è servita anche dalla stazione FS di Greco, lo scalo che nel piano di riqualificazione è considerato tra i minori sia dalla proprietà che dal Comune di Milano. Non crede che questa valutazione vada rivista, che Greco possa essere un polo di riorganizzazione del trasporto pubblico anche sugli assi est-ovest, oggi trascurati ma decisivi per lo sviluppo del Nord Milano? Quali altre funzioni trainanti secondo lei si possono ipotizzare per quest’area?

Il Nord Milano ha un grosso problema di accessibilità. Vi si arriva facilmente solo con la linea lilla della metropolitana e con il Passante Ferroviario. In auto, invece, ci sono grosse strozzature negli accessi dal Ponte di Greco, in viale Fulvio Testi e da Sesto San Giovanni verso il centro di Milano.

Quello scalo consentirebbe di articolare diversamente gli ingressi. E metropolitana e Passante potrebbero collegare meglio Milano con Sesto, Cinisello, Monza, etc.. Ampliandone la stazione, Greco potrebbe fungere da grande centro di interscambio e di interconnessione. Un centro strategico in cui posteggiare per poi proseguire con i mezzi pubblici, lasciando peraltro l’auto non in anonimi parcheggi ma in un’area che potrebbe essere un luogo vitale, in cui ascoltare un concerto, ritrovarsi per un aperitivo, andare al cinema, mangiare in un ristorante, vedere una mostra, partecipare a un dibattito.

Quello scalo va pensato come un’importante interconnessione di funzioni pubbliche, di verde, di accessibilità, nell’idea di una Milano molto grande, un’enorme area metropolitana che comincia a Torino e finisce a Verona, segue le interconnessioni dell’alta velocità ed è tra le più ricche e dinamiche di Europa. Una Milano europea.

Chiara Ponzini



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