19 settembre 2017

musica – SPIRA MIRABILIS ALLA SCALA


Non avevo ancora visto all’opera quella intrigante orchestra senza direttore dal suggestivo nome di “Spira Mirabilis” (la “spirale meravigliosa” di Bernoulli, ricordate?) di cui, riprendendo una notizia di stampa, avevo scritto lungamente nella rubrica del maggio 2015; in questi giorni i quotidiani e magazine hanno fatto a gara per raccontarne la storia (ormai decennale) e la filosofia (che privilegia la ricerca e le prove rispetto all’esecuzione e all’esibizione) per cui evito inutili ripetizioni segnalando che, per saperne di più, basti visitare il sito.

musica30FBDomenica scorsa Spira Mirabilis, che nel dicembre scorso aveva già raccolto un buon successo eseguendo l’Ottetto di Schubert al Conservatorio per la Società del Quartetto, è felicemente approdata alla Scala ospite della Filarmonica (che in queste settimane sta trionfando in giro per l’Europa) con una interessante esecuzione dell’Eroica di Beethoven, cioè di quella Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55 che avevamo ascoltato (e qui recensito) nel marzo scorso in un’esecuzione di raro splendore dell’orchestra Filarmonica della Scala diretta da Myung-Whun Chung.

Il paragone ravvicinato fra le due esecuzioni – da una parte la grande orchestra diretta da un grande direttore e dall’altra questa compagine di 41 elementi che la Sinfonia se la sono letta, studiata, provata e riprovata da soli, avendo rinunciato per principio ad avere un direttore – è stato, come si può immaginare, molto significativo.

L’Eroica è il momento della svolta, nella storia della musica, fra le due epoche più amate dai musicofili di sempre, vale a dire il passaggio fra il mondo classico di Haydn e di Mozart – o più semplicemente del Settecento e delle sue certezze – a quello romantico che grossomodo inizia con Beethoven e Schubert e arriva fino a Wagner dominando l’Ottocento gravido di tutti i suoi rovelli.

Per una volta la cronologia sembra scandire le epoche con precisione, perché l’Eroica vede la luce fra il 1802 e il 1804, dunque non solo sul sorgere del nuovo secolo ma anche nel momento in cui Napoleone scompagina le carte degli imperi centrali e scuote l’Europa con i nuovi ideali di democrazia liberale. Interpretare l’Eroica significa dunque dare un senso a questo stravolgimento, spiegarselo e rappresentarlo (insieme all’illusione e alla delusione di Beethoven nei confronti, come si sa, dell’imperatore francese).

Il concerto è durato solo 45 minuti, il tempo della Sinfonia, ma è stato arricchito da due aggiunte: dapprima il bis (la ripetizione dello Scherzo) offerto dai musicisti scesi dal palco e sparsi in platea fra le poltrone, sì da far sentire gli ascoltatori visceralmente coinvolti nella esecuzione; e poi un tempo – forse troppo lungo – di domande e risposte con il pubblico curioso di capire come “funziona la democrazia” nell’orchestra che, come ci ha insegnato Fellini, sembrerebbe un luogo a essa assai poco avvezzo.

I dubbi credo siano restati anche perché è vero che ci è stata proposta una Eroica gradevolissima, intima, riflessiva, diversa dalle usuali interpretazioni più assertive e celebrative, ma è altrettanto vero che è venuta a mancare un’idea chiara e forte dell’opera; come spesso capita in democrazia, e nonostante durante il dibattito sia stato ripetutamente ribadito il contrario, l’esecuzione ha risentito di un certo compromesso al ribasso.

Due anni fa Sandro Cappelletto sulla Stampa, dopo aver ascoltato da questo gruppo (che per l’occasione a Lucca si presentava con ben 123 musicisti) niente di meno che la Nona Sinfonia di Beethoven, scriveva: “L’esecuzione è stata travolgente; il continuo guardarsi, scambiarsi cenni d’intesa, nella totale concentrazione di ciascuno e di tutti perché senza direttore ogni singolo musicista, per non sbagliare, deve conoscere non solo la propria parte, ma anche quella dei colleghi […] infinite traiettorie di sguardi complici, consapevoli, felici, mentre scorreva la musica e il pubblico si lasciava trasportare da un’onda di energia e di emozione”.

Se non mi sento di sottoscrivere parola per parola i giudizi da lui espressi, sicuramente trovo molto ammirevole il lavoro di questi musicisti che non formano un’orchestra stabile, non hanno manager che li organizzino né direzione artistica che li orienti musicalmente, non prendono stipendi, si trovano regolarmente per brevi periodi a provare e riprovare lo stesso pezzo fino a quando non si convincono di averlo sviscerato fino in fondo; e li trovo ammirevoli proprio perché attraverso un processo così fortemente maieutico riescono a capire e a dare profondità a ciò che suonano.

Siamo abituati a considerare gli orchestrali (che già è una parola inelegante) come mansueti e duttili esecutori della volontà di un direttore che deve lui solo interpretare l’opera e trasferire le proprie intenzioni a decine e decine di persone, dedicandovi solo poche ore di prove. Il progetto di Spira Mirabilis indica una possibile via di uscita, forse utopica, nella direzione di andare più lentamente, di valorizzare ogni individuo e ogni talento, di scavare in profondità invece di allargarsi con programmi che talvolta sembrano predisposti dall’ufficio marketing delle istituzioni musicali.

Paolo Viola

questa rubrica è a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.it



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