12 settembre 2017

musica – RIPRENDE LA STAGIONE MUSICALE


Ed eccoci qui a riaprire la nostra rubrica dopo la pausa estiva e dopo quella nota di commiato di fine luglio in cui mestamente denunciavamo il sentore di una leggera decadenza nell’offerta milanese di musica classica. E le prime mosse della ripresa, per il momento, non ci hanno confortato. Da una parte il bislacco programma di MI.TO. inopinatamente imperniato intorno alla “Natura”, dall’altra quella curiosa programmazione estiva della Verdi, che si sta protraendo nella nuova stagione, ossequiosa alla perversa moda delle contaminazioni di generi.

musica29FBNon sono segnali positivi e incoraggianti. Sembra che non si voglia accettare il fatto che i grandi capolavori del passato siano un genere incontaminabile, da trattare con un rispetto speciale: il rispetto degli autori grandissimi che ce li hanno lasciati e quello degli ascoltatori di oggi che su di essi impegnano una passione senza uguali.

La musica contemporanea (che dunque viene trattata con il benestare degli autori) o appartenente ad altri “generi” musicali (il cui lungo elenco non ripeteremo per l’ennesima volta) andrebbe offerto ad altro pubblico, in altri modi e con altri interpreti. Ma con la musica “classica” a mio avviso non si può scherzare e non si ha il diritto al gioco delle contaminazioni.

Né si vuole comprendere – ed è questa volta il caso di MI.TO. – che mettere insieme programmi di concerti incentrati su temi come la “Natura” (l’anno prossimo saranno le Montagne? l’Acqua? il Fuoco? e avanti così …), totalmente estranei al contenuto specifico della musica, è un tradimento della stessa musica che, come ben si sa e al pari di ogni altra espressione d’arte, può ispirarsi a qualsiasi cosa ma vive di vita propria e della sua logica interna.

Non possiamo dimenticare la grande lezione di Hanslick nel suo saggio Il bello musicale (Vom Musikalisch-Schönen del 1854) quando dice ”Si suoni il tema di una sinfonia di Haydn o di Mozart, di un adagio di Beethoven, di uno scherzo di Mendelssohn, di un pezzo per pianoforte di Schubert o di Chopin, tutto ciò che costituisce l’esempio più tipico della nostra musica contenutistica […] chi potrà giurare di conoscere quale determinato sentimento formi il contenuto di questi temi? Uno dirà “amore”. Può darsi. Un altro dirà “brama”. Forse. Il terzo ci sentirà la “contemplazione religiosa”. Nessuno potrà contraddirlo. E così via. Si chiama questo rappresentare un sentimento determinato, quando nessuno sa che cosa propriamente sia rappresentato?” E se questo vale per i sentimenti, aggiungiamo noi, figuriamoci quando si tratta di fatti reali come la Natura, le Montagne, eccetera.

E a proposito della leggera decadenza di cui ci lamentavamo, memori di fasti antichi e attratti dal nome del direttore che non ascoltavamo da molto tempo e da quello della fascinosissima giovane pianista, l’altra sera siamo stati a una delle serate conclusive del Festival di Stresa. Il programma prevedeva la Sinfonia n° 4 in fa minore, op. 36 di Čaikowskij preceduta dal Concerto n° 2 in do minore per pianoforte e orchestra, op. 18 di Rachmaninov; ma il programma diffuso da tempo e in mano a tutti è stato cambiato all’ultimo momento senza annunciarlo altro che con un volantino, sicché non tutti hanno capito che il Concerto era quello di Rachmaninov e non quello previsto di Prokof’ev!

Dirigeva il poco più che cinquantenne milanese Gianandrea Noseda, pianista era la trentenne georgiana Khatia Buniatishvili; la sala purtroppo era quella non molto attraente del Centro Congressi, gremita fino all’inverosimile da un pubblico di affezionati residenti e villeggianti del lago.

Sul Corriere della Sera della stessa mattina era comparsa una intervista di Enrico Parola a Noseda nella quale il direttore dichiarava di aver “cercato di togliere un po’ di polvere alla Quarta Sinfonia di Čaikowskij”. In realtà l’altra sera l’abbiamo trovata noi un po’ “polverosa” nel senso che, nonostante la leggendaria bravura della London Symphony Orchestra che l’eseguiva, mancava quella finezza tanto difficile da rappresentare ma che ora, dopo anni di esecuzioni “bandistiche” delle sue opere, è diventata la cifra più significativa ed emozionante del compositore russo.

A dispetto di ciò che potrebbe trapelare dalla sua biografia, Čaikowskij ha affrontato le sue tragedie con il passo leggero e l’animo fondamentalmente sereno di cui non abbiamo trovato traccia nella lettura di questa sinfonia. E anche la palpabile fatica fisica manifestata dal direttore durante l’esecuzione testimoniava essa stessa l’assenza di leggerezza, di ironia, di amabilità che la sinfonia profonde nonostante la tragicità del sotteso racconto autobiografico.

A proposito del quale ricordo che in una lettera all’amica e mecenate Nadiežda von Meck, appena entrata nella sua vita, Čaikowskij scrive che nel primo tempo “la musica reca solo delle visioni che alla fine scompaiono e l’anima viene nuovamente sommersa dal mare”, nel secondo esprime “la sensazione malinconica che ci afferra la sera”, il terzo movimento è “un arabesco capriccioso, un’apparizione fugace simile a quelle che colgono la nostra fantasia quando si beve un bicchiere di vino e ci si sente lievissimamente brilli” e il quarto, infine, sarebbe “il quadro di una festa popolare”. Ma, attenzione, scriveva questi pensieri ex-post e in un rapporto confidenziale, non lo dichiarava programmaticamente!

Quanto alla lettura che la Buniatishvili ci ha offerto del popolarissimo Secondo concerto di Rachmaninov – di cui Giacomo Manzoni scrive che è “traboccante di un pathos tipicamente post romantico” – non possiamo dire che sia andata molto meglio; non vi era feeling fra direttore e pianista, stentavano a trovare un’intesa sui tempi e sul fraseggio, lei suonava con una enorme disinvoltura e superava con inverosimile facilità le arcinote difficoltà tecniche di quest’opera, sembrava che stesse pensando ad altro mentre lui spesso la sovrastava. Della morbidezza e della potente nostalgia, tipici del temperamento russo e di Rachmaninov in particolare, non abbiamo avuto sentore.

Contrariamente a quanto può sembrare da questo resoconto, l’orchestra inglese si è invece rivelata una magnifica compagine, capace di esprimere alcuni momenti di pura magia come nella sconsolata melodia del secondo movimento o nel sorprendente pizzicato d’archi che introduce lo Scherzo della Sinfonia di Čaikowskij. Per dimostrare ancora una volta che la musica vince sempre e che alla fine val sempre la pena di andare ad ascoltarla.

Paolo Viola

questa rubrica è a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.org



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