26 luglio 2017

DOPO L’ACCORDO DI PROGRAMMA SUGLI SCALI

Riflessioni tra giustizia e democrazia


Il modo ‘apocalittico’ con cui si è conclusa la così detta prima Repubblica, non poteva che influenzare equilibri e confini della declinazione dei principi della ‘Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino’ che dal lontano 1789 rappresentano la premessa di ogni sistema democratico. Nell’evoluzione della giustizia nelle moderne democrazie, ci si è via via evoluti dalla concezione hobbesiana per inoltrarsi nella dinamiche di una giustizia di tipo ‘giuspositivista’, ovvero dell’idea della legge, quale comando del sovrano, che viene resa efficace dalla minaccia di sanzioni.

09merlo28FBDa questi principi è nata la teoria dell’efficacia dell’ordinamento giuridico secondo la quale il diritto deve essere positivamente considerato come una specifica tecnica sociale per cui il legislatore raggiungerà o tenterà di raggiungere, lo stato sociale che desidera, collegando al comportamento umano ritenuto, dal legislatore stesso, socialmente nocivo, un determinato atto coattivo dello Stato. Posizionare il ruolo della giustizia al centro di ogni scenario, non la poteva sottrarre dal rischio di essere immune da influenze, e da questa preoccupazione è scaturito un fecondo dibattito giuridico, filosofico e culturale sul rischio delle influenze in una giustizia giusta, così come potevano non emergere più che fondate riflessioni sul rischio di legami con la natura da cui le leggi promanassero: ideologia e morale, sino al punto che illustri filosofi del diritto sostenessero che la validità legale di una norma non possa mai dipendere dalla sua validità etica.

La possibilità che ogni livello di giudizio si consideri una sorta di ‘turris eburnea’ è nei fatti, il non considerarlo e il sottovalutarlo è una minaccia per la democrazia e finisce per inficiare il principio della separazione dei poteri. Che la caduta del muro abbia tranciato di netto molte ideologie novecentesche è un dato di fatto; che dopo il 1992 la politica italiana non abbia saputo trovare coordinate e valori sostitutivi per ripiegarsi dietro a leadership politiciste prive di visioni che andassero oltre al ‘provincialismo nazionale’ minandone la credibilità, è un altro dato di fatto.

Le recenti vicende milanesi: la trasformazione degli ex Scali Ferroviari, e la rilocalizzazionee delle facoltà scientifiche dell’Università Statale sono l’evidenzia di questo fenomeno complesso, nel quale ‘il fine privato’, lecito fin che si voglia, vuole mettere a rischio il mezzo con cui, in democrazia, si esercita, ovvero l’autorità di decidere.

Due istituzioni, a larghissima maggioranza, il Consiglio Comunale, il Consiglio di Amministrazione con il Senato Accademico dell’Università hanno esercitato democraticamente la loro autorità di scegliere e decidere. Decisioni che non sono certamente avvenute secondo metodi carbonari, né tanto meno, quelli indicati con un ‘lapsus’ nel penultimo articolo di fondo di Luca Beltrami Gadola, ma secondo i riti della democrazia. A Milano nel terzo millennio, la diffusione delle informazioni e delle opinioni è amplissima, l’istituzionalizzazione di modalità per creare un’ampia condivisione forse no, ma neppure si è sin qui visto i così detti ‘maitre à penser’ che ne abbiano indicato il modo per la realizzazione, forse per una intrinseco timore di una minaccia all’illuminismo delle loro considerazioni ma nonostante tutto nei Municipi e non solo lì la gente ha potuto prendere visione delle proposte e non si sono registrate contrapposizioni.

Si poteva fare di meglio, certo che si poteva, c’è sempre un meglio che cerca di scacciare un meglio peggiore, ma la storia ci insegna che la ricerca del meglio in contrapposizione al bene conduce al binario morto del soggiacere in attesa del meglio: così sarebbe stato per Expo, così come per tante altre cose, come evidenzia il ‘presunto abuso’ consumato nel Palazzo di Giustizia per gli approvvigionamenti tecnologi per Expo, e che giustamente Luca Beltrami Gadola richiama al suo ultimo articolo come complessità impedente.

Più che delegittimare la politica e le istituzioni, ricercando rivincite confidando nei complessi labirinti della giustizia, che in materia dovrebbe intervenire solo nel caso di accertato danno pubblico o arricchimento illecito piuttosto che sugli arzigogoli normo/burocratici, è questo un percorso che non giova né alla democrazia né alla comunità, forse sarebbe meglio dedicarsi alla proposizione di una metodologia da consolidare nel tempo per rendere la democrazia del terzo millennio sempre più condivisibile e sempre meno condizionata dall’ingerenza dall’alterazione del principio di separazione dei poteri.

 

Beppe Merlo

 



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