5 luglio 2017

musica – SCALA VINTAGE: L’IMMORTALE RATTO DAL SERRAGLIO DI STREHLER E DAMIANI


Chissà che piccoli o catastrofici difetti avrebbe saputo trovare il curatore di questa rubrica, il “critico impertinente” – al secolo Paolo Viola – perfino in questa magica e quasi perfetta riedizione dell’Entführung aus dem Serail [Ratto dal serraglio] che la Scala ha rimesso in scena per la terza volta, celebrando il ventennale della scomparsa di Giorgio Strehler e il decennale della scomparsa di Luciano Damiani!

The Israel Philharmonic Orchestra Direttore: Zubin MehtaPerché davvero in questa rappresentazione non c’era che da abbandonarsi al frutto di una sapienza musicale e registica oggi desueti, ancorché siano ancora miracolosamente presenti alcuni dei suoi protagonisti, come il Maestro Mehta, che, giovanissimo, diresse l’originaria versione salisburghese del 1965 e che, commossi, abbiamo ritrovato sul podio 52 anni dopo!

Chi avesse voluto ritrovare – non avendola vissuta – il gusto della grande stagione del teatro milanese di cui Strehler fu sommo protagonista – e dell’aura culturale nella quale si sviluppò, avrebbe dovuto correre per assistere a questa sua celebrazione, che mette in scena lo scontro fra due visioni di mondi allora e ancora oggi dolorosamente contrapposti: l’assolutismo misogino e la violenza intollerante, rappresentata nell’opera dal sanguigno Osmino, servitore del Sultano, e l’eleganza aristocratica del “buon vivere” occidentale (Kostanze e Blonde, rapite ma inviolate e fedeli ai rispettivi amanti).

Atto II, scena prima *

Osmino: Dolcezza, lusinga? Qui siamo in Turchia e la musica cambia, Io tuo padrone, tu mia mia schiava; io ordino, tu devi ubbidire!

Blonde: Tua schiava? Le ragazze non sono merce da regalare! Io sono un’inglese, nata per la libertà […]. Un cuore che è nato in libertà non si fa mai trattare da schiavo, anche se ha perso la libertà, resta fiero di sé.

Uno scontro che, grazie al tocco magico della mozartiana Leichtigkeit [leggerezza], si risolve nell’inaspettata vittoria della magnanimità del Potere, il “sultano illuminato” Selim che rispetta prima e infine perdona e libera, contro ogni prospettiva storica, gli amanti innocenti.

Atto III, Finale

Selim: È un supremo piacere ricambiare con il bene un’ingiustizia subìta, piuttosto che rendere odio per odio.

Tutti: Nulla è più odioso della vendetta, invece essere umani e buoni e perdonare senza egoismo è dote solo di grandi anime.

Straordinarie sono le intuizioni e soluzioni registiche che il duo Strehler-Damiani seppe trovare per “rivelare” tutti i contenuti e i significati di questa che, sino a pochi anni fa, era considerata poco più che una “operetta” giovanile di Mozart, nonostante il suo denso tessuto musicale (“Troppe note, caro Mozart”, sembra abbia commentato l’Imperatore Joseph II) e la maestria con cui si accostano, secondo la tipica struttura del Singspiel, grandi momenti di canto e orchestra e recitativi teatralmente gustosi di stampo goldoniano.

Non vogliamo qui ripetere commenti critici che chissà quante volte l’edizione strehleriana ha suscitato, ma solo testimoniare come, a distanza di tanti anni, ancora stupiscano e incantino grandi e sublimi momenti di Teatro. A cominciare dalla strutturazione del palcoscenico, diviso con la luce in due zone: il boccascena, dove i personaggi divengono delle silhouettes, e dove, come ombre prive di ogni carnalità, danno vita ai grandi momenti di canto, (il “buio come forma di luce” di cui parlava Damiani); e la zona della “commedia”, dove si svolge la vicenda recitata.

Godendo di questi momenti, mi è venuto di pensare, con tristezza, a più recenti tentativi di reintrodurre il teatro delle marionette nella dimensione lirica (l’intervento delle Marionette di Colla nella Gazza ladra, data alla Scala alcuni mesi fa …). La ripartizione si rompe una sola volta, quando Kostanze avanza sul proscenio per cantare la grande aria Martern aller Arten [supplizi d’ogni sorta]e le luci in sala si accendono per interrompere l’azione scenica e amplificare l’effetto musicale, come si fosse in un recital.

In questo Ratto innumeri sono i momenti di “gioco di teatro nel teatro” come li definisce Strehler: quando, nella terza aria dell’Atto primo, Osmino si rivolge al Direttore d’orchestra invitandolo a suonare (“Prego, Maestro…”); o quando, nella scena della fuga, compare il servo muto, una specie di piccolo Pulcinella che sembra lì trasportato dal Piccolo e che, quando mostra a Osmino la scala da cui sono fuggiti i prigionieri, gli fa dire, rivolto agli spettatori, “Ah, la Scala” alludendo al luogo dove si trova … .

Non si può finire questo commento senza prima mandare un lungo, affettuoso abbraccio all’ultraottantenne Zubin Mehta, che è tornato ancora una volta a dirigere l’orchestra (ineccepibili sonorità) con gesti minimi, saggi, assorti e come divertito dalla compagnia di giovani cantanti (ottimo il basso buffo Tobias Kehrer), pienamente in possesso del physique du rôle.

A chi non avesse visto lo spettacolo né a teatro né nella ripresa televisiva, consiglio di andare almeno su YouTube, dove da pochi giorni è disponibile la registrazione completa. Ne vale comunque la pena!

Andrea Silipo

* Il libretto originale del 1782, in tedesco è di Gottlieb Stephanie, ‘der Jüngere’ che attinge al Belmonte und Constanze di Christoph Friedrich Bretzner. La traduzione è quella del libretto distribuito in sala.

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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