21 giugno 2017

sipario – TRA METAFORA E METATEATRO: LA CITTÀ-BALENA DI TEATRO I


Dal 14 al 28 luglio torna La CittàBalena, il format che dal 2014 Teatro i ha scelto per presentare la sua stagione teatrale, con un progetto “cannibale” e onnivoro, ispirato dalla ricerca di un punto di vista particolare attraverso il quale rappresentare la realtà. Pochi giorni e molti spettacoli, drammaturgie non convenzionali, adatte a essere rappresentate fuori dagli spazi tradizionalmente deputati al teatro. Per Sipario dietro le quinte ho incontrato Francesca Garolla, direttrice artistica di Teatro i, che mi ha spiegato il progetto e la riflessione alla base delle scelte etiche e drammaturgiche confluite in CittàBalena.

sipario23FBIl titolo fa riferimento a una poesia di Federica Fracassi e Renzo Martinelli, e all’idea di una città-grembo, che nutre e protegge ma può anche ingabbiare, seppellire, nascondere, coerentemente con la simbologia del cetaceo inteso come emblema di annullamento e rinascita, rigenerazione individuale e cosmica.

Come sempre, anche quest’anno Teatro i intende proporre al pubblico drammaturgie non solo “contemporanee”, ma attente alla varietà dei linguaggi (video, musica, immagine) e capacità di intercettare ed esprimere nuovi fermenti sociali e culturali, nuovi fenomeni che emergono nel contesto al quale il teatro si rivolge, influenzandolo e venendone condizionato.

Proprio per questo la città diviene interlocutore privilegiato di performance che scendono dal palcoscenico e incontrano il pubblico in luoghi “extrateatrali”, disseminati in quella dimensione particolare e spesso perduta che è il quartiere (quello della Zona 1 di Milano in cui Teatro i si trova). Luogo designato ad accogliere “Il teatro che si mangia la città”. Significativamente, non viceversa.

I 14 giorni di programmazione portano sulla scena spettacoli accomunati dall’attenzione alla soggettività, che è al tempo stesso comprensione e interpretazione, ragione e fantasia, che crea e reinventa, fino a tradire e distorcere significati, fino a non vedere (o a non sentire) più la realtà delle cose, sintonizzandosi solo su una percezione interiore.

In Souvenir di Milano, che trae origine dalle testimonianze raccolte nel quartiere, la memoria emotiva trasforma e reinventa lo spazio e il ricordo delle esperienze vissute e del microcosmo (geografico-emotivo) che le ospita, arricchendo il passato individuale, ma al tempo stesso sottraendo concreta oggettività alla storia collettiva.

Tropicana dimostra come il racconto di un’apocalisse possa trasformarsi in un inno alla leggerezza estiva se accompagnato da una melodia orecchiabile e ritmata. Lo spettacolo denuncia il fallimento comunicativo a cui vanno incontro i molti messaggi della realtà moderna, che s’infrangono contro un immaginario collettivo distorto dal consumismo, dal bisogno di evasione, di ostentato benessere, di un’allegria sopra le righe che mascheri timori profondi e inconfessabili.

In Sandokan l’immaginazione trasforma uno spazio quotidiano per eccellenza, la cucina, nella foresta malese scenario delle magnifiche avventure del pirata protagonista della storia di Salgari: cucchiai di legno diventano spade, grattugie cannoni, catini oceani, ortaggi bombe. Un’ode alla fantasia, alla capacità di vedere “oltre” la superficie degli oggetti e della loro funzione primaria, e al tempo stesso una satira dei costumi contemporanei, una dimensione sempre più frenetica e frammentaria, in cui la creatività rischia di naufragare in un sogno infantile buffo, rivelando la piccolezza dell’uomo e del singolo attimo.

Hamlet Private propone invece una riflessione sulla ricezione artistica attraverso uno “spettacolo per uno spettatore solo”: il dramma di Amleto abbandona il contesto teatrale tradizionale per svolgersi in una dimensione intima e colloquiale (al tavolino di un caffè, in un giardino o nel foyer di un teatro) attraverso il filtro simbolico della lettura dei tarocchi e l’interpretazione dello spettatore risente della confidenza instaurata con l’attore e al tempo stesso della trascendenza metaforica suggerita dalla figura di Amleto e dalle immagini delle carte. Il risultato è un gioco di capovolgimenti e rispecchiamenti, identificazione e spaesamento in un abisso di interrogativi e ricerca di significati che, attraverso la mediazione di un “moderno” Amleto, continua ad appartenere a chiunque.

Con Città Balena, Teatro i amplia la riflessione sul legame di reciproca influenza tra arte e città, arricchendola di molte sfumature: il rapporto tra la realtà e la sua rappresentazione (non finzione), tra oggetto e metafora, tra attore e spettatore, personaggio e uomo. Al centro vi è sempre l’attività interpretativa dell’io, l’individuo hegeliano che attraverso il sogno e l’immaginazione “ricrea” il mondo. Un mondo sempre più sfuggente, “famelico” e difficile da decifrare, in cui il teatro sembra però aver trovato una nuova funzione: non quella di fornire risposte bensì quella di spingere a porsi domande.

Chiara Di Paola

questa rubrica è a cura di Domenico G. Muscianisi e di Chiara Di Paola

rubriche@arcipelagomilano.org



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