3 maggio 2017
Scrive Alessandra Nannei sull’autorevolezza della classe dirigente – “Il ruolo di soggetto politico si conquista con l’autorevolezza della propria classe dirigente, fatta di competenza, di capacità di elaborazione di un pensiero politico, di capacità di tradurre il pensiero politico in atti amministrativi, di capacità di analisi dei bisogni e delle attese, di capacità di coinvolgimento, di capacità di comunicazione, di capacità di distinguere l’utopia dalla realtà senza abbandonare la prima” (dall’editoriale di AricpelagoMilano del 26 aprile 2017).
Sono parole molto chiare su quello che dovrebbero essere le classi dirigenti. Ma “dovrebbero”. Se così fosse effettivamente, avremmo ovunque i migliori politici, amministratori, imprenditori. Non ci sarebbe quasi neanche bisogno di giungere alle elezioni: una democrazia perfetta che si autoregola e autoalimenta. Ma sappiamo che non è così. I gruppi di potere, gli interessi, le leggi e le strutture esistenti insieme costruiscono una serie di ostacoli al cambiamento, per mantenere la situazione immutata. L’Italia è il paese dell’UE che, a mio parere, è riuscita più di tutti gli altri a difendersi dalle indicazioni e dagli stimoli che giungono da una realtà esterna in veloce evoluzione. Se a questo aggiungiamo una concezione del tempo ”circolare”, dove tutto è rimandato per anni come se le stesse occasioni si riproponessero immutate, ci si rende conto che interventi netti che vanno contro la prassi possono essere di grande aiuto per sommuovere il sistema.
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