26 aprile 2017

MILANO SOGGETTO POLITICO O AUTONOMISTA?

Una scelta difficile ma urgente


Il governatore Roberto Maroni ha annunciato la data in cui si svolgerà il referendum consultivo per l’autonomia della Lombardia, sostenuto da centrodestra e Movimento 5 Stelle: sarà domenica 22 ottobre. Il sindaco Sala, pur ritenendolo una cosa inutile, ha detto che chiederà di votare sì. Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, pur d’accordo sul bisogno di rafforzare l’autonomia locale, cosa sulla quale secondo lui il Governo è aperto, dice che questo referendum: ”È come chiedere un mandato per suonare il citofono quando la porta è già aperta”.

01editoriale15FBTre affermazioni che meritano ciascuna un commento per arrivare, poi, a parlare del ruolo delle città.

Maroni, nel presentare la sua iniziativa si domanda: “Quale lombardo voterebbe no a un referendum che chiede di trattenere in Lombardia le tasse che i lombardi versano allo Stato?”. Se il contenuto del referendum*, ancorché consultivo, ha come obbiettivo la modifica o l’abrogazione di una legge in materia fiscale, cozza contro il disposto dell’articolo 75 della Costituzione che lo vieta comunque per la parte relativa alla legislazione in materia di fisco. Spendere 46 milioni di costo solo per contarsi.

Dare poi per scontato che tutti i lombardi manifestino lo stesso sentimento di “egoismo fiscale” forse è azzardato, così com’è azzardato dare per scontato che i lombardi siano per una maggiore generica autonomia della Regione, ora a trazione leghista, visto il livello di corruzione che ci raccontano le cronache giudiziarie. Pur essendo anch’io, in linea di principio, d’accordo sulla maggior autonomia, mi vien da pensare che il progetto renziano di riportare tutto al centro, mai dichiarato ma nei fatti, non sia il peggiore dei mali: meno luoghi di decisione meno occasioni di corruzione, più facilmente controllabili, un po’ come le emissioni di CO2.

Il Sindaco con la sua dichiarazione si smarca decisamente dal PD e non si capisce se la sua posizione faccia pare dei “piccoli veleni” che sembrano agitare in questo periodo il PD lombardo, come ha osservato l’assessore Majorino, ma sul tema autonomia il Sala non ha colto il nuovo profondo ruolo delle città, Città Metropolitana in particolare della quale, lui malgrado, è sindaco. Le sue frequentazioni europee sembrano essenzialmente dedicate al marketing territoriale, immobiliaristico in particolare.

Quanto a Gori non sarei così sicuro che la porta del Governo sia così aperta, anzi ho la sensazione che la vocazione accentratrice, mostrata per esempio a Milano nelle due vicende parallele – scali e aree post expo- sia la declinazione del principio renziano di un uomo solo al governo e del partito maggioritario, prudentemente ora un po’ in ombra ma pur sempre nel DNA.

Il ricorso al referendum sull’autonomia regionale per riequilibrare i poteri tra Stato e collettività locali è una strada a fondo cieco, un maldestro tentativo di indicare nella mancata autonomia la causa dalla mancata soluzione dei principali problemi del Paese sia da parte dello Stato sia delle sue articolazioni amministrative: sto parlando della disoccupazione, della sotto occupazione, del disagio sociale, della distanza tra poveri e ricchi, del dissesto del territorio, dell’inquinamento, tanto per citare alcuni aspetti del quotidiano e, per finire, della scarsa produttività.

Se proprio di autonomia vogliamo parlare dobbiamo guardare alle città piuttosto che alla Regione.

L’integrazione europea e la globalizzazione hanno avuto la conseguenza di assegnare alle città nuovi ruoli come luogo fisico, come luogo identitario ma soprattutto come soggetto politico, travalicando ampiamente il ruolo di semplice entità amministrativa con i tipici problemi territoriali e di interfaccia diretta tra amministrazione e cittadini. Le città sono il terreno privilegiato di verifica delle politiche nazionali, un luogo “sensibile”. Si stanno diffondendo in Europa reti di città non solo con l’obiettivo di mettere in comune buone pratiche ma anche di rivendicare un nuovo ruolo politico come autorevole interfaccia dei rispettivi governi nazionali: sono le nuove indispensabili reti di coesione europea.

Il ruolo politico è qualcosa di diverso e di più alto della semplice richiesta di autonomia (sostanzialmente solo impositiva), la precede e la supera: è espressione più diretta di una nuova presa di coscienza di sé come interlocutore fondamentale per la risoluzione dei problemi generali del Paese di là dai problemi propri e immediati.

Milano per il momento è ancora e soltanto “oggetto” politico, oggetto delle politiche del Governo, oggetto di politiche subite e interlocutore inesistente sulle politiche nazionali.

Per passare da “oggetto”politico a “soggetto politico” sono necessarie riforme istituzionali? La legge Delrio ha dato alla Città Metropolitana il ruolo di “soggetto politico” che sarebbe la sua funzione principale? Nemmeno per idea.

Il ruolo di soggetto politico si conquista con l’autorevolezza della propria classe dirigente, fatta di competenza, di capacità di elaborazione di un pensiero politico, di capacità di tradurre il pensiero politico in atti amministrativi, di capacità di analisi dei bisogni e delle attese, di capacità di coinvolgimento, di capacità di comunicazione, di capacità di distinguere l’utopia dalla realtà senza abbandonare la prima.

Politica vera dunque, non quella che oggi vede sulla scena troppi “ballerini”** come direbbe Milan Kundera.

Luca Beltrami Gadola

*)  “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”

**) “Al giorno d’oggi, ……. , gli uomini politici sono tutti un po’ ballerini, e tutti i ballerini si occupano di politica, il che non deve però indurci a confondere gli uni con gli altri. Il ballerino si distingue dall’uomo politico comune per il fatto che non desidera il potere ma la gloria, e che non desidera imporre al mondo questa o quella organizzazione sociale (diciamo pure che non gliene importa un fico secco), ma occupare la scena perché il suo io possa rifulgere.”. (Milan Kundera, La lentezza, Adelphi, 1995, pp 26-26)



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