26 aprile 2017

SCALI FERROVIARI E LEGISLAZIONE. UNO DEI NODI DIRIMENTI SUL TAPPETO*

Un dibattito a tre molto tecnico ma di grande rilievo


(A) Vorrei segnalare che la citazione fatta da Roberto Camagni e Alberto Roccella del testo unico edilizia (50% del valore generato da varianti urbanistiche da versare al Comune) è incompleta. Il comma 4bis del medesimo art. 16 (non 18) infatti recita: “4-bis. Con riferimento a quanto previsto dal secondo periodo della lettera d-ter) del comma 4, sono fatte salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali.”.

02praderio-amagni15FBIn altre parole, visto che l’art. 44.1 della LR 12/05 prevede di calcolare gli oneri in altro modo, ed è fatto salvo dalla legge, l’interpretazione più diffusa è che – piaccia o non piaccia – quella disposizione in Lombardia non si applica. E in ogni caso si richiederebbe una deliberazione del Consiglio Comunale in merito, che a Milano non mi risulta sia stata fatta. Sarà forse un formalismo, ma di fatto è così.

Comunque, l’incremento di valore generato da una variante urbanistica non è dato dalla sola differenza fra i valori di vendita e i costi di costruzione (comprensivi di oneri vari). Come noto infatti questa differenza va suddivisa fra la proprietà dell’area e lo sviluppatore (che non interviene – e non rischia – senza profitto). In altre parole questa delta va più o meno dimezzato. Mi stupisce un po’ questa disattenzione da parte degli autori dell’intervento, che sono persone competenti e quindi immagino conoscano bene i metodi di calcolo del cosiddetto “valore di trasformazione”.

Credo quindi che abbiano fatto bene alcuni parlamentari a chiedere di rendere noto l’attuale valore di bilancio delle aree FS (sul quale si calcoleranno le plusvalenze e quindi la quota da destinare a interventi di interesse pubblico). Anzi, mi chiedo perché questa richiesta non sia stata fatta prima (e soprattutto mi chiedo se l’abbia fatta il soggetto che dovrebbe essere maggiormente interessato, ovvero il Comune di Milano).

Gregorio Praderio

(B) Appare utile rispondere alle valutazioni critiche dell’architetto Gregorio Praderio sull’articolo “Accordo Scali: il Comune non può rinunciare a 500 milioni” di Camagni-Roccella pubblicato sull’ultimo numero di ArcipelagoMilano, perché, pur essendo a mio parere prive di fondamento, evidenziano dubbi che possono essere condivisi da diversi lettori. I punti toccati sono tre.

Il primo concerne il fatto che “la disposizione [sul contributo straordinario introdotto fra gli oneri urbanistici] in Lombardia non si applica” perché nella Regione vige una legge precedente che calcola gli oneri in modo diverso e la legge nazionale indica che “sono fatte salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali”. Tuttavia la dottrina giuridica insegna che una legge regionale antecedente non può prevalere su una legge statale successiva che innova sulla materia; inoltre, pur in un ambito in cui Stato e Regioni possiedono una potestà legislativa concorrente, allo Stato compete legiferare sui principi, e di un principio si tratta.

Quindi finché la Regione Lombardia non avrà risposto con una sua apposita legge vale il testo della legge nazionale. Inoltre le Regioni potranno discordare eventualmente solo sul fatto se l’indicazione del 50% sia di principio o di dettaglio: la mia opinione, che naturalmente può non contare nulla, è che l’indicazione di fare a metà fra pubblico e privato possa essere considerata norma di principio generale mentre sono aperte possibili indicazioni sull’aumento possibile della quota pubblica, come è nel caso di Roma.

Il secondo punto riguarda il fatto che i plusvalori di cui si parla nell’articolo non sono da imputare solo a Ferrovie ma devono essere “suddivisi fra la proprietà dell’area e lo sviluppatore”. Sono d’accordo, ma proprio per questo non ho parlato, come fa il nostro critico, di un “valore di trasformazione” (che riguarda il puro valore dell’area a seguito del cambio della destinazione d’uso, cioè la pura rendita del proprietario), bensì di “valore delle plusvalenze complessive realizzabili dal programma” di trasformazione degli scali, e cioè del valore economico del programma stesso. Si tratta dunque di un insieme di rendite e profitti (al netto di interessi, profitti e costi del costruttore, costi imprevedibili e di progettazione, bonifiche e oneri urbanistici tabellari tradizionali) generati dalla variante di piano la cui suddivisione è difficile da prevedere e comunque configura un gioco a somma zero fra proprietario ed eventuale developper sulla base delle forze contrattuali rispettive.

L’ultimo punto riguarda l’importanza del valore attribuito alle aree nel bilancio di FS. Qui invito il commentatore a leggere meglio l’articolo in questione perché proprio di questo si tratta lungamente: il valore a bilancio è ininfluente sulla determinazione delle plusvalenze nei progetti di trasformazione urbana ai fini della tassazione locale. E non è un caso che FS non abbia mai indicato pubblicamente il valore in questione: avrebbe qualche difficoltà a mostrare di avere già rivalutato le aree – per esigenze di bilancio o per precipitazione – prima della firma di un accordo che solo giustificherebbe tale rivalutazione.

Roberto Camagni

(C) Col nostro intervento abbiamo voluto proporre una questione finora non adeguatamente trattata nel dibattito sugli scali ferroviari, quella della ripartizione tra Comune e Ferrovie dello Stato dei benefici derivanti dalla variazione di destinazione urbanistica delle aree. Lo abbiamo fatto alla luce della legislazione statale del 2014 che abbiamo definito “una innovazione di grande portata istituzionale ed economica“. Si tratta infatti di una innovazione che le Regioni non avrebbero potuto introdurre attraverso la loro potestà legislativa concorrente (limitata quindi alla disciplina di dettaglio) in materia di governo del territorio. Ma non avremmo usato questa definizione se la semplice inerzia delle Regioni fosse sufficiente a escludere l’applicazione dell’innovazione.

Il contributo straordinario istituito dalla legge statale nel 2014 dà sostanza al potere comunale di governo del territorio, colpisce seriamente la rendita edilizia, ridefinisce il regime della proprietà privata, istituisce un nuovo principio fondamentale in materia di governo del territorio, riequilibra i rapporti tra interessi privati e interessi pubblici ed è quindi una riforma economico-sociale oltre che istituzionale.

Il nuovo testo dell’art. 16 (per mero errore materiale indicato nell’articolo come 18), comma 4, lettera d-ter, del testo unico in materia edilizia è composto di due periodi: il primo periodo impone di tener conto, ai fini degli oneri dovuti al Comune, del maggior valore generato da interventi in variante urbanistica ed è un nuovo principio fondamentale; il secondo periodo specifica le modalità con cui tener conto di questo maggior valore e può considerarsi disciplina di dettaglio, suppletiva e cedevole di fronte a diverse disposizioni regionali.

L’art. 16, comma 4 bis, del testo unico in materia edilizia, fa salve soltanto le future disposizioni legislative di dettaglio delle Regioni. Esso richiama infatti soltanto il secondo periodo, non anche il primo periodo, del comma 4, lettera d-ter, rendendo così palese che il prelievo sul maggior valore generato dalla variazione di pianificazione è immediatamente operativo; le Regioni possono tuttavia articolare le specifiche modalità del contributo straordinario anche in modo diverso da quanto stabilito dalla disposizione statale. In altri termini il comma 4bis dell’art. 16 del testo unico fa salve diverse disposizioni regionali, non l’assenza di disposizioni regionali sul contributo straordinario.

Resta fermo, in ogni caso che, secondo la logica del sistema, il contributo straordinario deve essere calcolato sulla differenza di valore delle aree tra nuova e vecchia destinazione urbanistica; il valore delle aree nel bilancio del proprietario rileva ai soli fini dell’Ires, l’imposta sul reddito delle società dovuta allo Stato, non ai fini degli oneri dovuti al Comune.

L’obiezione mossaci non è giuridicamente fondata e comunque non ha incidenza sostanziale sul problema di fondo che abbiamo sollevato. La Regione Lombardia, che si è proposta come soggetto contraente dell’Accordo di Programma col Comune di Milano (mentre le Ferrovie dello Stato aderiscono all’Accordo stesso) ha l’obbligo di non pregiudicare gli interessi finanziari del Comune, il quale dovrebbe pretendere dalla Regione le previe modifiche legislative, in adeguamento alla legislazione statale, eventualmente necessarie per tale tutela.

Alberto Roccella

(D) Ringrazio Camagni e Roccella delle loro valutazioni, se pur espresse in modo un po’ brusco (ma il dibattito è così …). Resto comunque della mia opinione (fermo restando che potrei sbagliarmi), per diversi motivi:
– innanzitutto, faccio notare che la legge è del 2014, siamo nel 2017. È quindi nota da tempo ed è stata ampiamente dibattuta da avvocati e amministratori. L’interpretazione più diffusa è appunto che le parole “fatta salva …” sia da interpretare in senso retroattivo (come peraltro è nella lingua italiana);
– la legge parla di “valore” delle aree, e questo non può che essere il “valore di trasformazione”. È l’Accordo di Programma scali che parla di “plusvalenze”, i due concetti non vanno confusi;
– quando si parla di “plusvalenze” i valori di bilancio hanno rilevanza eccome (e non solo a fini Ires).
Questo per una migliore puntualizzazione del tema, che ritengo anch’io di grande rilevanza.
Gregorio Praderio

*) Abbiamo scelto di pubblicare come articolo lo scambio di opinioni tra Gregorio Praderio, Roberto Camagni e Alberto Roccella perché il rilievo dei problemi emersi non può essere relegato a semplice dibattito in “posta dei lettori”.

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