27 aprile 2017

sipario – Stabat Mater … o Peter Pan atto II


Stabat Mater

Scritto e diretto da Livia Ferracchiati. Con Chiara Leoncini, Alice Raffaelli, Stella Piccioni e la partedipazione video di Laura Marinoni

sipario15FBA Campo Teatrale è andato in scena in anteprima e in forma di studio, prima del debutto previsto ad agosto alla Biennale di Venezia, il secondo spettacolo della trilogia sulla transessualità prodotta da The Baby Walk, e ovviamente Sipario non se lo è lasciato scappare … .

Ideale prosecuzione di Peter Pan guarda sotto le gonne, ma perfettamente funzionante come pièce autonoma, anche Stabat Mater affronta aspetti dell’esistenza che vanno oltre la questione del “genere”e porta sulla scena le difficoltà che riguardano tutti: sessualità, affetti, desiderio di affermazione professionale, scelta di avere o meno una famiglia e dei figli, capacità di cambiare e di instaurare un rapporto sano coi propri modelli. Aspetti a cui si aggiunge, nel caso del protagonista, la possibilità/necessità di cambiare corpo.

Peter Pan ha quasi trent’anni e si ritiene “grande”: ha ormai una chiara consapevolezza del proprio essere uomo, ma non ha ancora intrapreso il percorso di trasformazione fisica che lo porterà a diventarlo anche esteriormente; non rinuncia a confessare passioni travolgenti, ma teme di inseguire i propri desideri e, anziché agire, preferisce aspettare.

Vive in un limbo fatto di insicurezze, attese, reticenze, ma anche di voglia di emancipazione, autoaffermazione e appagamento; un continuo oscillare tra ricerca di limiti e istinto alla trasgressione, rinuncia ascetica e voracità indiscriminata, provocazione e bisogno di sentirsi approvato e rassicurato.

È su questo sostrato instabile che poggia il rapporto del personaggio con le donne della sua vita: donne reali o immaginarie, amate e temute, desiderate e respinte. Prima fra tutte la madre. Come suggerisce il titolo dell’opera, è lei la figura più importante e ingombrante che domina la vita del protagonista: pur senza assumere la concretezza del personaggio fisicamente presente sul palcoscenico, aleggia sull’intera performance come una temibile divinità, la cui immagine resta proiettata sul maxi schermo che fa da sfondo alla scenografia, con una muta invadenza che il protagonista non sa (e non vuole) arginare.

Si determina così, dal punto di vista tecnico, il primo dei tre livelli su cui si svolge la performance: lo sfondo emotivo inconscio del protagonista, in cui si colloca il suo rapporto rabbiosamente infantile con la madre, testimonianza di un legame indissolubile, spaventoso e rassicurante, che “legittima” il timore di crescere e l’incapacità di rivolgere il proprio affetto “adulto” ad altre donne.

Specularmente a questo livello di fondo si colloca l’espediente della psicoterapia: parentesi di lucida riflessione che prende forma in una sorta di proscenio e sottolinea il ruolo fondamentale del rapporto con la figura materna, per la costruzione della personalità e dell’emotività dell’individuo, ma anche la necessità del distacco da essa, perché quest’ultimo possa concepirsi come soggetto autonomo e accettarsi.

Nel caso del protagonista il “taglio del cordone ombelicale” non può compiersi, perché la fase che lo precede non si è conclusa: il personaggio è ancora immaturo, incompleto, intrappolato in una lunga adolescenza in cui si intrecciano complesso edipico e spinta all’emulazione (perché non va dimenticato che egli è un maschio intrappolato in un corpo femminile al quale non ha ancora saputo rinunciare).

A metà tra queste due dimensioni si svolge la realtà della vita quotidiana fatta di incontri, discussioni, sesso, scelte e ricordi. Qui il desiderio inconscio di compiacere la madre viene sublimato nella preoccupazione di appagare sessualmente la compagna e di rispondere adeguatamente alle domande della psicoterapeuta. Qui il bisogno di “normalità” e “ordine” si scontra con il senso della propria inadeguata incompletezza, e con l’inquietudine data dal desiderare ciò che non si può o si teme di avere (donne irraggiungibili, figli inconcepibili, successo professionale, un corpo maschile).

Ed è qui che si scopre infine che anche gli equilibri di coloro che sembrano appagati nel loro ruolo, felici del loro stato e sicuri del proprio essere, nascondono in realtà timori mascherati, desideri repressi, scelte non compiute e immobilità esistenziale.

A questo punto tutti i livelli dello spettacolo e della vita del personaggio “implodono” annullando la distinzione freudiana tra vita inconscia, realtà e analisi: le sue pulsioni si materializzano nella forma di muse in lingerie, che si contendono le sue attenzioni e al tempo stesso danno voce alle inconfessabili e misere rinunce su cui si basa la “normalità”. Perché rinunciare a un parquet di design, alle finestre coi doppi vetri e a un marito capace di trattare con gli idraulici? per una storia d’amore travolgente come uno tsunami … ?

Ben si comprende allora quanto sia più complicato, per il protagonista, accettare la propria natura intima se questa non corrisponde alle aspettative del mondo, e scegliere di cambiare sesso e tutto il proprio corpo per affermare la libertà della propria persona.

Chiara Di Paola

questa rubrica è a cura di Domenico G. Muscianisi e Chiara Di Paola

rubriche@arcipelagomilano.org



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