29 marzo 2017

musica – TOSCANINI CENSURATO AD USUM DELPHINI


Scala in gran spolvero l’altra sera per i festeggiamenti del 150° anniversario della nascita di Toscanini: paramenti floreali tricolori, palco presidenziale “addobbato”, oltre che dai fiori, dalla presenza del Presidente Mattarella, del ministro Franceschini e del presidente Maroni, pubblico compreso della “eccezionalità” dell’evento (anche se un po’ seccato dalla lunga attesa dietro le transenne e sotto la pioggia in attesa dell’arrivo dello sgommante corteo delle “autorità” … ).

musica12FBDopo l’inno nazionale uno Chailly in gran forma ha dato l’avvio al programma: Settima di Beethoven, esecuzione scintillante, ritmata, “maschia” – insomma “alla Toscanini”; poi lo Stabat Mater nel quale l’ottimo coro ha cercato invano di ritrovare il pathos del Requiem verdiano di quasi vent’anni prima; infine, la “chicca” dell’Inno delle Nazioni. È una composizione del 1861, scritta da Verdi su testo di Arrigo Boito per le celebrazioni dell’Esposizione Universale di Londra dell’anno successivo.

Siamo in pieno fin de siècle e gli autori condividono l’ottimismo per l’inevitabile successo che la Storia avrebbe arriso ai valori della Rivoluzione francese («Francia, tu che spargesti il generoso sangue per una terra incatenata»), della grande tradizione democratica inglese («Salve, Inghilterra, Regina dei mari, di libertà vessillo antico») cui si aggiunge l’esaltazione della lotta per l’Italia unita e sovrana («O Italia, o Patria mia tradita, che il cielo benigno ti sia propizio ancora, fino a quel dì che libera tu ancor risorga al sole»).

Musicalmente Verdi dà corpo a questo progetto patriottico con un curioso e magistrale pastiche, nel quale i tre inni nazionali, introdotti anzitutto singolarmente, nelle riprese via via si fondono contrappuntisticamente accompagnati dall’invocazione, affidata al tenore solista, «Signor, che sulla terra / […] fa che la pace torni / coi benedetti giorni / e un mondo di fratelli / sarà la terra allor». E questa struttura Chailly fedelmente ha eseguito. Ma … non si celebrava Toscanini?

Toscanini, unica eccezione alla sua lunga carriera di esecutore fedele alla lettera e al testo originali, e nemico di ogni libera interpretazione, creò – eseguendola nel 1943 in un filmato destinato alle truppe in guerra – una sua versione aggiungendo ai tre originali trascritti da Verdi due altri inni: l’americano (The Star-Spangled Banner) e quello sovietico (L’Internazionale), volendo così celebrare l’alleanza antifascista che univa le cinque nazioni.

L’unicum storico di questa versione – oggi visibile su YouTube, Toscanini: Hymn of the Nations – è figlio dell’impegno democratico del Maestro che lo aveva portato ad auto-esiliarsi dall’Italia; e l’Internazionale fu collocata e strumentata in modo da suonare non solo come uno degli inni nazionali, ma come un sintesi trionfale di tutti gli altri.

Ecco perché ha avuto sempre, per chi – come me – ha vissuto certi climi e certe illusioni, un forte impatto emotivo, tanto da farmi uscire frustrato dal concerto sentito l’altra sera. Giusto e bello dunque celebrare Toscanini, ricordando la sua grandezza musicale e insieme la sua dimensione politica, ma inconcepibile arrogarsi il diritto di censurare la testimonianza più lampante del suo credo democratico, ancorché fosse legata all’eccezionalità del momento in cui incontrava l’originale pezzo verdiano!

Forse, e lo capiamo, il finale con L’Internazionale avrebbe potuto scandalizzare l’inclita platea, che probabilmente, udendo quella versione universalistica, non avrebbe acclamato, come ieri ha fatto, sino ad ottenerne il bis. Ma se questo era il timore, Chailly non avrebbe certo avuto difficoltà a trovare un altro pezzo altrettanto significativo del vasto repertorio toscaniniano. Senza dire che, se la volontà fosse stata quella di adeguare il pezzo alla realtà politica di questo 25 gennaio 2017, coevo anniversario della nascita della fondazione dell’Unione Europea, allora si sarebbe per uguali motivi dovuto espungere non solo L’Internazionale, ma anche il God Save the King della Gran Bretagna post Brexit!

P.S. Dell’esecuzione e della storia dell’Inno ha scritto domenica, sulle colonne del Corriere della Sera, Pierluigi Panza che diffusamente racconta la genesi sia dell’originale verdiano che della versione toscaniniana. Ma dov’era Panza allorché, per ben due volte, la censura scaligera ha colpito la seconda versione?

Andrea Silipo

***

NEGLI STESSI GIORNI A MILANO…

È impossibile tacere, però, i due eventi all’Auditorium e al MA.MU.che hanno messo in vista alcuni giovani musicisti – esordienti o comunque molto giovani – in ruoli di primissimo piano.

All’Auditorium, accompagnato dall’orchestra Verdi (laVerdi) e da Jader Bignamini che la dirigeva, lo straordinario violinista di diciannove anni Giovanni Andrea Zanon di Castelfranco Veneto – il cui curriculum inizia con un concorso vinto all’età di 4 anni – ha sbalordito il pubblico e, credo, lo stesso Bignamini che ne è sembrato travolto, eseguendo il Concerto per violino e orchestra in re maggiore opera 61 di Beethoven come raramente è capitato di ascoltare.

Uno straordinario temperamento musicale e una prorompente ma controllata vitalità, ben mitigati entrambi dalla capacità di approfondire il senso di ogni nota e di ogni misura, ha tenuto tutti con il fiato sospeso fino alla fine quando, con un bis bachiano di intensa intimità, il geniale ragazzo ha saputo dare una ulteriore prova di maturità.

Perfetta e profondissima, poi, nella seconda parte del concerto, è apparsa la Ottava Sinfonia – la celeberrima Incompiuta – di Schubert, che Bignamini ha diretto e interpretato con grande rigore (toscaniniano, come voleva la dedica del concerto), ma senza perdere di vista le celestiali dolcezze schubertiane.

L’altro evento è stata la replica, al Magazzino Musica e a un anno di distanza, delle mozartiane Nozze di Figaro, prodotte in forma cameristica da FuoriOpera con la modalità di cui è si già scritto più volte in questa rubrica.

Hanno colpito per la qualità della loro voce, per la perfetta intonazione, per le ricche capacità interpretative, i tre soprani (Mariacristina Ciampi, Silvia Coia e Silvia Ricca, nelle parti rispettivamente di Susanna, della Contessa e di Cherubino) e i due bassi (Filippo Rotondo nella parte di Figaro e Martino R. Dondi in quella del Conte); i cinque giovani e giovanissimi cantanti, pronti e in attesa di salire su palcoscenici più impegnativi, sono stati istruiti da Andrea Gottfried (al pianoforte) e da Altea Pivetta (costumista e scenografa ma soprattutto regista dell’opera).

Sono stati capaci di trasmettere tutte le emozioni proprie delle Nozze toccando con la stessa credibilità gli aspetti comici e quelli seri che, come si sa, necessitano di particolari capacità introspettive. Cinque belle scommesse per la nostra lirica.

Paolo Viola

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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