7 marzo 2017

SCALI: INTERROGAZIONI SULLE LINEE DI INDIRIZZO

Verso un “accordo di programma alternativo”


Ho avuto modo di intervenire l’8 febbraio durante le Commissioni Consiliari Urbanistica e Mobilità per l’Apertura del percorso di ascolto pubblico sugli scali ferroviari e vorrei riprendere alcune questioni e cercare di introdurre e analizzare i temi che sono emersi in merito alla trasformazione degli scali ferroviari milanesi. Inizio a esaminare le argomentazioni che sono alla base per capire quali siano le forze in gioco e dove ci possa essere ancora spazio per ulteriori interrogativi. Vorrei poi affrontare il tema da un punto di vista funzionale e strategico, prevedendo uno scenario possibile ed entrando in pratica in considerazioni sia urbanistiche sia architettoniche. E infine vorrei fare qualche considerazione sul processo che potrebbe guidare lo sviluppo dell’area milanese, cercando di trarre qualche conclusione.

06sarfatti09FBConsiderazioni preliminari
– Stiamo ragionando quasi come se le Ferrovie dello Stato (FS), Rete Ferroviaria Italiana (RSI), Ferrovie dello Stato Sistemi Urbani (FSSU), e le relative sotto società fossero un soggetto privato a tutti gli effetti.
– La politica accetta per comodità e semplicità che i vari organismi dello stato operino autonomamente, ma anche in questo caso la proprietà pubblica dovrebbe essere regolata sempre da un’etica non speculativa.
– Non va dimenticato che con legge degli anni ’90, le aree degli scali, intese come beni demaniali, sono passate sotto alla voce patrimonio del bilancio di FS a costo zero, come servizi di interesse pubblico.
– In un’ipotesi di conflitto tra le parti, il pronunciamento della magistratura come miglior scelta pubblica sarebbe paradossalmente da evitare. In attesa di una riforma della giustizia, le note e gravose lungaggini che a oggi la caratterizzano, arrecherebbero conseguenti danni allo sviluppo.
– Vista la poliedricità e l’importanza della trasformazione, dobbiamo auspicare sia una forte affermazione comune di tutte le parti alla sudditanza pubblica, che un’apertura alla partecipazione di terzi soggetti.

Breve analisi dei documenti a disposizione
Dopo un’attenta analisi dobbiamo rilevare che anni di studi e tentativi di accordo (2005-oggi) hanno prodotto solo i pochi documenti disponibili sul sito del comune e che comprendono per di più analisi compiute anche da terze parti.
E inoltre:
– i documenti a disposizione non chiariscono precisamente la natura del problema e sono di difficile comprensione.
– alcuni documenti per la pessima risoluzione risultano illeggibili.
– uno dei documenti principali che ricapitola tutto lo storico e illustra le “STRATEGIE PRINCIPALI DELL’ACCORDO” saltato nel dicembre 2015, riporta incongruenze e imprecisioni.

Non ci soffermiamo a discutere sugli aspetti generali, che troveranno altre considerazioni più avanti, ma semplicemente vogliamo condividere la considerazione che in questo documento banalmente le addizioni dei termini economici dell’accordo e dei costi degli interventi non sono chiari o riportano dei conteggi errati (vedi STRATEGIE PRINCIPALI DELL’ACCORDO – PERCORSO DI ATTUAZIONE URBANISTICA – IL PIANO FINANZIARIO).

Un accordo di programma, per sua natura, non dovrebbe lasciare porte aperte soprattutto su questi argomenti, per evitare rischi di inconcludenza e i pericolosi ricorsi alla magistratura e inoltre, come si fa a capire i termini degli accordi e degli interventi, se proprio quando si parla di “soldi” non vi è una chiarezza cristallina?

Ma ancora di più, come si può chiedere una consultazione pubblica a 360 gradi, ovvero a persone anche non informate e tantomeno esperte di leggi, territori, costi, possibilità di sviluppo … se prima non si spiega chiaramente quali sono le proprie intenzioni? Le stesse proposte non possono essere realistiche e portare a dei contributi concreti senza una piena conoscenza dello sviluppo e delle risorse disponibili, con un rischio aggiuntivo di mortificare gli interlocutori. E’ per questo che analisi e partecipazione sono due fatti imprescindibili.

Lo stato di fatto
Prima di parlare dei due principali interlocutori (Comune di Milano e FSSU) cerchiamo di capire meglio, generalizzando, quali sono i lavori da svolgere sugli scali ferroviari, sempre con l’intenzione di poter affiancare meglio le scelte e contribuire realmente nell’implementare processo e progetti.

Premettendo che:
– comunque ci sarà il perdurare di una gestione separata di porzioni d’area, in quanto FS le gestisce con società distinte a seconda delle funzioni;
– l’accordo di programma (ADP) viene siglato perché attualmente le aree non sono edificabili e la stessa definizione delle volumetrie da edificarsi è lasciata al volere delle parti contraenti;
– FS, per la risaputa scarsità di efficienza del nostro sistema amministrativo, chiede un percorso privilegiato per l’approvazione delle proprie domande edilizie.

Gli scali ferroviari dovranno essere dismessi più o meno di tutto quello che vi sta sopra, visto che la fase successiva sarà la bonifica. Seguiranno le urbanizzazioni, ovvero la predisposizione delle aree per accogliere le nuove funzioni (acqua, elettricità, gas, fognature, comunicazioni, ecc.), anche se gli edifici saranno a quasi consumo zero di energia (NZEB).

Solo allora si potrà iniziare a costruire. Per la parte di accordo di valenza più pubblica verranno realizzati edilizia convenzionata, edifici pubblici, ammodernamento della rete dei trasporti, ecc, nonché il verde. Per la parte speculativa sarà il valore di mercato degli edifici a ripagare questo sviluppo, oltre che a fornire necessariamente delle quote di guadagno per le FS. Valutazioni sulle quote di guadagno delle ferrovie in termini di ritorno edilizio andrebbero fatte e considerate. Non dimentichiamoci che oltre a queste fonti di guadagno, FS beneficerà del conseguente incremento del traffico sulle proprie infrastrutture, nonché della prevista quotazione in borsa.

Anche questo è un aspetto che va tenuto in considerazione, in quanto porterà nella fase iniziale un interesse positivo per la rivalutazione delle aree, ma non è sufficiente per garantire la stessa volontà anche dopo che l’accordo sia stato siglato, ancora di più se si considera che le aree possono essere divise in parti per “le ferrovie” (stazioni, binari) e in parti edificabili. Infatti è da sottolineare è che l’accordo è suddiviso in fasi da 5-8-10 anni, e il mancato rispetto delle relative dead-line farà decadere il suddetto accordo.

A questo proposito, la storia edilizia Milanese insegna che: con i cambi di proprietà quasi sempre cambiano anche gli accordi, che più in generale costruire non è un gioco e i casi di fallimento e/o altri problemi quali corruzione, ambientali, ecc. sono frequenti.

Nel caso in cui FSSU dovesse vendere prima della conclusione dei lavori, non ci è dato sapere se successivi costruttori saranno egualmente affidabili e come già chiaramente espresso in precedenza, non possiamo permetterci né ricorsi alla magistratura, né di lasciare ferme le aree per chi sa quanto tempo. I termini conclusivi dell’accordo devono quindi presentare maggiori garanzie o benefici a fronte dell’impegno da mantenere, piuttosto che il semplicistico decadimento dell’Accordo di Programma (ad esempio le proprietà potrebbero passare al comune).

Lapo Sarfatti

 

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