1 marzo 2017

sipario – SMASCHERIAMO LA TEATRALITÀ DEL CARNEVALE


Il teatro contemporaneo, attuale, “giovane”, è libero e spavaldo, rispettosamente provocatorio, consapevolmente sovversivo; poco incline ai compromessi, senza vincoli di forma e contenuto, mai costretto a un finto pudore né disposto all’autocensura. E per questo, piuttosto che avanguardistico e “innovativo”, si rivela inaspettatamente tradizionale, tipico, addirittura preclassico.

sipario08FBSe i canoni della drammaturgia vengono codificati dall’autorevolezza della tragedia e della commedia greca, bisogna guardare ancora più “dietro le quinte” per individuarne l’origine. In particolare la commedia antica e il genere comico derivano dalle feste agrarie (feste propiziatorie della fertilità, feste falloforiche), da cui ereditano la centralità dell’elemento materiale e corporeo: immagini e linguaggi sono sempre riconducibili ai piaceri legati al cibo e al sesso, desideri universali che la cultura popolare non disdegna di riconoscere.

Il risultato è un realismo grottesco ma democratico, capace di svolgere una funzione sociale sfruttando un’istanza comune a tutta l’umanità (che voglia o meno ammetterlo). La materialità festosa della commedia sottolinea la solidarietà tra tutti gli esseri umani (che condividono l’utopia di infinita se impossibile soddisfazione dei desideri più semplici) e il legame tra questi e le radici materiali e corporee del mondo. Non la fisicità egoistica del singolo essere biologico dunque, ma quella identificabile come principio vitale del tutto e come primo carattere distintivo dell’organismo-popolo, che solo partendo dall’accettazione di questo sostrato concreto potrà evolvere verso istanze più alte, spirituali, ideali e astratte.

L’aspetto dell’esagerazione assume un carattere positivo, affermativo: serve a sublimare la consapevolezza che il desiderio (di fertilità, abbondanza, lusso, cibo) non è soddisfabile pienamente nel quotidiano; un’impossibilità “materiale” che sottintende, per via anagogica, che anche l’aspirazione alla felicità, libertà, dignità è inesaudibile. L’eccezione della festa, del banchetto, dell’allegria diviene così il veicolo catartico per compensare, a un livello primario e “basso”, un inappagamento morale più nobile.

L’eccesso (del corporeo) nasconde in realtà il vuoto (dello spirito) e l’abbandono a un piacere iperbolico ma contingente serve come temporanea distrazione al senso di costante impotenza e miseria: ciò di cui non si può godere durevolmente, viene trasferito idealmente a un oggetto fisico e “divorato”, posseduto o consumato in una sola occasione che rovescia il quotidiano.

Dunque, il primo esempio di performance “teatrale” è individuabile nelle feste agricole e nei rituali religiosi o pagani della tradizione antica, in cui sono già riconoscibili in forma elementare tutti gli aspetti essenziali del successivo teatro ufficiale: recitazione (improvvisata e metricamente scorretta), danza (scomposta), componente mimica (comicamente aggressiva e intonata all’oscenità apotropaica delle parole), uso del mascheramento (gli “attori” indossavano spaventose maschere di corteccia intagliata o si tingevano il viso di rosso, colore del fuoco).

Questi elementi contribuiscono a rendere la festa un momento di distacco dalla realtà terrena, di sospensione dal comportamento “civile” per trasgredire, sfogare il represso e mettersi in contatto con una dimensione trascendente o una “magica irrealtà”.

E se oggi il Carnevale sopravvive come rievocazione “estetica” di quell’effimera, fantastica rottura dell’ordine prestabilito, socialmente approvata e incoraggiata (secondo un calendario prestabilito), il teatro contemporaneo ne ha assunto ed esaltato la funzione “psicologica”: lo spettacolo è una parentesi ritagliata nella realtà, un’evasione controllata ma che sfugge alle omissioni imposte dal codice di comportamento sociale.

Non ci sono argomenti proibiti o aspetti del vivere troppo umili per essere portati sul palcoscenico: la drammaturgia moderna affronta le paure, i sogni, le miserie di tutti e lo fa attraverso un linguaggio universale, i cui segni sono gli oggetti di scena, le parole dei personaggi, i gesti degli attori, la fisicità degli spettatori con le loro reazioni immediate, tutti riuniti in un democratico rituale, per riconoscersi in una comune ambizione alla pienezza, confrontarsi con la propria miseria e riappacificarsi con la propria umanità.

Chiara Di Paola

 

questa rubrica è a cura di Domenico G. Muscianisi e Chiara Di Paola

rubriche@arcipelagomilano.org



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