21 febbraio 2017

CONSIDERAZIONI SULLA PROCEDURA DI ACCORDO DI PROGRAMMA PER GLI SCALI

I pericoli di un percorso disattento alle norme


A quanto si legge nell’oggetto della deliberazione del Consiglio Comunale n. 44/2016 sulle linee di indirizzo per gli scali ferroviari, l’operazione di “trasformazione urbanistica delle aree ferroviarie dismesse e in dismissione site in Comune di Milano, …, in correlazione con il potenziamento del sistema ferroviario in ambito milanese”, potrebbe e dovrebbe avvenire “attraverso la procedura di accordo di programma, in conformità all’art.31.3 delle Norma Attuative del Piano delle Regole del Piano del Governo del Territorio” e a guida comunale.

10viviani07FBIn realtà, non pare davvero che la nuova procedura possa essere ricondotta alle diverse fattispecie del tutto particolari considerate dal ricordato art.31.3. A seguito della conclusione non favorevole del precedente, il procedimento che muove dalle linee di indirizzo approvate nel novembre 2016 va considerato nuovo e, in quanto tale, può trovare la propria fonte semmai soltanto nella disciplina di legge richiamata nella deliberazione consiliare e, cioè, negli artt.34 D.Lgs. n.267/2000 e 6 LR n.2/2003.

Preliminare è comunque la puntuale individuazione delle effettive finalità che si intendono perseguire con l’AdP. Tali finalità sono ampiamente e variamente illustrate nella parte dispositiva della ricordata delibera consiliare, la quale non manca di far riferimento alla progettazione e alla realizzazione della “circle-line ferroviaria da San Cristoforo a Stephenson con la garanzia di tempi e risorse adeguati” (tempi e risorse che, invero, possono essere regolati solo dai soggetti competenti all’approvazione di piani e progetti ferroviari) e con la garanzia della “regia pubblica del processo di sviluppo delle aree ferroviarie dismesse”, aree che costituiscono patrimonio della FS Sistemi Urbani srl e che, soprattutto, sono (o dovrebbero essere) “non funzionali all’esercizio ferroviario”.

Le indicazioni di contenuto mettono in evidenza che la disciplina del suddetto patrimonio immobiliare sarà volta alla preminente realizzazione di insediamenti di carattere residenziale (“alloggi e strutture per gli studenti universitari”, edilizia abitativa agevolata) nonché un “aumento significativo di verde fruibile e attrezzato, tale che le aree a verde rappresentino l’ossatura portante delle trasformazioni urbanistiche locali”.

La delibera sopra richiamata è anzitutto sufficiente a comprendere che l’unitarietà del complesso fondiario, “patrimonio del gruppo e non funzionale all’esercizio ferroviario”, deriva esclusivamente dall’unicità della proprietà e non da connotati omogenei ed esclusivi dei terreni sotto il profilo urbanistico. Questo fa insorgere immediatamente il problema della correttezza di un’azione di pianificazione urbanistica non appropriata in quanto riferita ad aree fondiarie distribuite sull’intero territorio comunale ed aventi superfici che vanno dai 21.000 mq di Rogoredo ai 618.000 mq di Farini e, cioè, di un compendio di consistenza relativamente modesta ma privo di comuni connotati territoriali e urbanistici, inserito in diversi e disomogenei contesti, ciascuno dei quali dovrebbe trovare una propria compiuta e organica disciplina, indipendentemente dalla presenza sul territorio comunale di altre aree, della medesima proprietà, situate però in altri contesti.

Ad ogni modo, la ricerca e la definizione di una disciplina urbanistica che valorizzi il patrimonio immobiliare privato o comunque destinato a diventare tale (al riguardo non soccorre il riferimento a una “società a maggioranza pubblica” di cui al primo comma dell’art.6 L.R. n.2/2003, in quanto si deve pur sempre trattare di società che gestisce pubblici servizi) sono senza dubbio estranee alla finalità pubblicistica propria degli interventi, delle opere o dei programmi cui è dedicato l’istituto dell’Accordo di Programma. Insomma, anche a considerare tale obiettivo uno tra più (e non il principale), la presenza dello stesso ha una rilevanza decisiva per individuare l’oggetto e la finalità dell’Accordo di Programma, un oggetto e una finalità del tutto estranei a tale istituto.

Né, in proposito, può essere sufficiente evidenziare che la valorizzazione del patrimonio di FS Sistemi Urbani srl può servire anche a finanziare, indirettamente, la futura auspicabile circle-line ferroviaria. Tale questione è stata oggetto anche di qualche pronuncia giurisprudenziale che ha concluso nel senso “che la variazione urbanistica sia legittimamente conseguibile attraverso tale strumento (l’AdP: ndr) solo se volta in chiave direttamente ed immediatamente urbanistica, al raccordo tra piano ed opera …”, senza la possibilità che “ulteriori variazioni urbanistiche … possano avere valenza del tutto generalizzata …” e, quindi, riferibile pure “ad aree diverse da quella deputata alla realizzazione dell’opera pubblica …” (TAR Emilia, Sez. Parma, Sez.I, n.578/2007). Tale decisione è però stata annullata in appello con argomenti a mio giudizio non condivisibili, (Consiglio di Stato, IV Sezione, n.3757/2008) attribuendo a un certo insediamento produttivo rilevanza pubblicistica anche con riferimento all’art.40 L.R. Emilia-Romagna n.20/2000.

Ma, nella recente decisione n.1053/2016, la Sezione V del CdS ha aderito alla tesi svolta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo cui un Accordo di Programma che dovesse vedere la partecipazione di privati, nella veste di attuatori, va ricondotto alla tipologia degli accordi di cui al primo comma dell’art. 11 L. 241/1990 e non di quelli di cui all’art.15 della medesima legge cui questa giurisprudenza assimila l’AdP “con esclusione … dei privati eventualmente coinvolti nella sua attuazione”.

Oggetto e finalità dell’atto di cui si tratta portano a escludere che lo stesso possa essere ricondotto all’istituto dell’Accordo di Programma e che, quindi, comporti quell’effetto di variante urbanistica che è invece espressamente previsto nella disciplina dell’AdP medesimo.

Quanto sopra, ovviamente, significa non che l’operazione in quanto tale non sia ammissibile, ma che la stessa debba essere veicolata con lo strumento della variante urbanistica ordinaria e non della variante urbanistica semplificata prevista per l’AdP. L’utilizzazione di quest’ultimo strumento, non può, a mio giudizio, considerarsi alla stregua di una legittima.

 

Mario Viviani

 

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