14 febbraio 2017

PM 10 A MILANO NON SOLO TAVOLI

L’occasione degli scali


Giuseppe Bonomi, rispondendo al mio intervento, ha colto nel segno quando dice che gli studi, (leggasi VAS) sono utili quando “possano essere analizzati e utilizzati con un filtro critico ed obiettivo, per evitare che diventino freni al processo di sviluppo anziché risorse.” Il filtro critico, come prevede il procedimento e direi confermato dal buon utilizzo dello studio che qui sollecito, deve essere posto dal pianificatore cioè, in questo caso, dal Comune, regista, stratega e soggetto preposto all’ascolto e al recepimento delle indicazioni, delle necessità e delle esigenze complesse che oggettivamente sono in campo.

10wallnhofer06FBIl nocciolo della questione è proprio questo: l’amministrazione comunale, che è committente degli studi ambientali, dovrebbe non solo commissionarli, ma condividerli e tenerne conto in fase pianificatoria come metodologia reale! In Italia abbiamo questa incapacità di far dialogare il mondo della ricerca con quello della politica: gli studi rimangono teorici anche se fondati su dati reali, in quanto non sfruttati strategicamente nel processo politico decisionale.

Come leggevo sempre su queste pagine, ogni volta che si superano i livelli di PM 10 si propongono tavoli di lavoro con esperti, come se il problema non fosse noto e perfettamente inquadrato! Sono convinta che la città di Milano abbia in sé la maturità sufficiente per fare questo salto e allinearsi per mentalità, metodologie e procedure a realtà più nordiche che, contrariamente a noi, non avvierebbero nessun tipo di azione in mancanza di dati scientifici a supporto.

Lo sprone è proprio quello di lasciare da parte le ideologie e procedere basandosi su dati oggettivi, sulle indicazioni concrete in merito alle varie questioni ambientali rilevate anche da soggetti autorevoli come Arpa e ASL e se i dati non sono ancora sufficienti o esaustivi bisogna procedere senza indugio nell’elaborazione di quelli mancanti per avere un quadro di supporto alle decisioni esaustivo.

Concordo sulla necessità di attivare questa “cura del ferro” che mi sembra essere condivisa largamente. Il fine ultimo invece credo che sia molto lontano dai binari: più ambizioso, complesso, strategico appunto: il fine ultimo è quello di cogliere l’occasione di questa importante pianificazione territoriale, forse l’ultima prima dell’applicazione reale del risparmio del suolo, per strutturare una metodologia di sviluppo che abbia come fine ultimo la salute pubblica e la mitigazione delle criticità ambientali cittadine dei quattro elementi e che possa essere il filo conduttore dei cambiamenti territoriali futuri con lo sguardo sempre teso verso la città metropolitana e le ambizioni europeistiche.

In questo caso più che in altri, credo che le scelte di metodo siano la sostanza e non la forma, mentre le azioni (e la realizzazione di una linea ferroviaria, per quanto grande importante e strategica sia è e rimane un’azione del piano), devono essere una conseguenza, un mezzo attuativo per raggiungere gli obbiettivi della strategia.

La prassi consolidata e quella di anteporre le cose urgenti a quelle importanti: l’amministrazione ha deciso che il progetto deve partire in un anno e quindi non c’è tempo da perdere! Allora non si faccia l’errore di mettere il carro davanti ai buoi: prima obbiettivi (pochi chiari raggiungibili e condivisi); definizione di metodologie adeguate e solo in ultimo la definizione delle azioni!

Donatella Wallnöfer

 

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