8 febbraio 2017

sipario – ORFEO È RAUCO EURIDICE È SORDA

Eutanasia e accanimento terapeutico a teatro


Amore e Morte, due grandi temi, imprescindibili e forse inseparabili nell’esistenza umana, nella vita di chiunque, in tutte le epoche. Due grandi presenze che nell’interpretazione che la compagnia Eco di Fondo offre dello spettacolo Orfeo e Euridice di César Brie, sono rappresentate dalle figure mitiche di Orfeo ed Euridice, e al tempo stesso si incarnano nella quotidianità di una coppia qualsiasi, come ce ne sono tante.

sipario05FBGiulia e Giacomo sono giovani, si incontrano durante un viaggio di lei in Sicilia, nella terra di lui: tutto inizia con una fotografia di due sconosciuti che decidono di farsi immortalare insieme per non “intristire il paesaggio” con una foto solitaria. Si conoscono, si frequentano, si innamorano e iniziano la loro vita condivisa. Il tempo è scandito dalla quotidianità, dal lavoro, dai gesti d’affetto, dagli incubi che scuotono dal sonno e dal conforto che trovano l’uno nelle braccia dell’altra. Ma anche dalle tragedie silenziose che circondano la loro storia di felicità, per esempio l’incidente di un amico. Giuliano, il loro testimone di nozze, un ragazzo “sempre pieno di vita”, è ormai ridotto a un vegetale, paralizzato e incapace di comunicare, sentire, vivere.

Questo evento “esterno” è il punto di partenza per una riflessione profonda sul significato e sul valore dell’esistenza, sulla possibilità di preferire la morte a una vita dimezzata, sulla necessità di “lasciare andare” chi si ama per sottrarlo all’umiliazione di essere ridotto a una scatola vuota, un corpo senz’anima.

Sulla scorta di questi pensieri comuni, i due protagonisti scelgono di scambiarsi la promessa più difficile e dolorosa: giurano di non ostinarsi a voler trattenere in questo mondo il partner, nel caso gli capitasse un incidente tale da renderlo un altro, una “cosa” più che una persona, togliendogli la possibilità di “essere”, la capacità di decidere e il diritto di esprimere la propria volontà.

Profetica e funesta, questo voto trova presto modo di realizzarsi: in una mattina d’inverno, su una strada ghiacciata, Giulia va incontro al suo triste destino; la sua auto scivola e si schianta, e lei si trasforma in Euridice, “non viva, non morta”, costretta in un limbo, nell’Ade che è il reparto di terapia intensiva, dal quale spetta a Giacomo (divenuto un moderno Orfeo) salvarla.

Ma se nel famoso mito, l’eroe è costretto a scendere agli Inferi per trarne la sua amata e riportarla nel regno dei vivi, qui il compito di Giacomo sarà molto più doloroso e difficile: aiutarla a morire, a completare la sua discesa nel “non esserci”, lottando contro e la prassi medica, i pregiudizi della gente, il moralismo dell’opinione comune e l’assenza di leggi che consentano a chi resta di decidere della sorte dei cari che non possono più farlo da soli.

Giacomo trascorre diciassette anni accanto alla moglie, o almeno a quella che un tempo era stata la sua compagna, e ora non è altro che un guscio tenuto in vita da macchine, una marionetta mossa da altri, incapace di sentire altro che il silenzio nel quale cadono le parole di Giacomo, il nulla nel quale si perdono le sue carezze non più corrisposte. Compleanni, anniversari, feste di Natale si perdono così in un tempo senza fine e senza mutamenti. Un’eternità di dolore e umiliazione, di stanchezza e lotte per far valere il diritto alla vita, che proprio in quanto tale dovrebbe essere anche possibilità di rinunciarvi.

La tradizione narra che Orfeo fallì la sua impresa perché incapace di rispettare il vincolo imposto dal signore degli Inferi (non voltarsi a guardare la bella Euridice lungo tutto il tragitto, fino alla porta dell’Ade), nello spettacolo invece Giacomo vince infine la sua battaglia: dopo anni di discussioni coi medici, diatribe giudiziarie, lacrime trattenute, coraggio da contrapporre allo sconforto, egli ottiene la libertà per la sua amata e per sé. È una vittoria senza trionfo, senza gioia, senza premio. È una conclusione dolorosa ma pacificatrice, che sebbene non possa colmare l’abisso che separa i due amanti, serve però a stabilire la giusta distanza tra i loro mondi. Solo così, uscendo dal limbo della “non vita”, della non condivisione e non comunicazione, Giacomo e Giulia potranno trovare ciascuno la propria dimensione d’appartenenza: quella della vita e della pace per lui; quella della morte e della dignità per lei. E nello spazio che separa questi due mondi, riacquisterà senso il loro amarsi, fatto di ricordi, giorni condivisi, progetti non realizzati ma ugualmente desiderati.

Prendendo spunto, con rispetto e discrezione, dalla vicenda di Eluana Englaro, Orfeo ed Euridice vuole essere un invito alla riflessione sul tema dell’eutanasia, sulla fragilità del confine tra amore e crudeltà, sulla necessità di accettare la morte per preservare la dignità della vita e riaffermarne il valore.

Senza pretendere di fornire risposte universali o giudizi morali, lo spettacolo apre nuove prospettive sul significato di libertà e amore, sul bisogno di tenersi stretta la vita (quella vissuta, popolata di volti, luoghi, ricordi e fotografie, ma anche quella che avrebbe potuto essere e non si è realizzata per un inciampo del destino) e sulla generosità di lasciarla andare.

Mirabile l’interpretazione dei due attori, Giacomo Ferraù e Giulia Viana, capaci di esprimere la naturalezza giocosa dell’amore giovanile fiducioso e proteso sul futuro, e l’intensità emotiva di un dramma che non scade nella retorica del lamento fine a se stesso. Il pubblico ride, sorride, si commuove e resta in silenzioso ascolto di fronte a quella che non è mera performance teatrale, bensì occasione per immedesimarsi in quelle situazioni della vita che non si vorrebbero dover affrontare. I due protagonisti lo fanno con coraggio e genuino coinvolgimento, come dimostra il fatto che, prima di trasformarsi in Orfeo ed Euridice, prestino ai personaggi i propri veri nomi.

Chiara Di Paola

Lo spettacolo sarà in scena l’11 febbraio al Teatro del Cerchio (Parma) e il 24 febbraio ad Arona.

 

questa rubrica è a cura di Domenico G. Muscianisi e Chiara Di Paola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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