14 dicembre 2016

MILANO – ITALIA: LA QUESTIONE SCALI NON É LOCALE

Non negare il ruolo di “città innovatrice”


Nel recente referendum, col manifestare una forte divergenza tra periferia e centro, Milano conferma la sua specificità ma anche il suo ruolo di città laboratorio politico. La vicenda degli scali ferroviari deve essere l’occasione non solo per confermare questo ruolo ma per consolidare la vocazione della città all’innovazione: innovazione nei rapporti tra la città e il Governo, innovazione nei rapporti politici locali, innovazione nel governo urbanistico milanese e metropolitano.

01editoriale41fbLa vicenda “scali” è una matassa molto ingarbugliata che va dipanata facendo ordine tra gli attori in campo e i loro ruoli ma partendo da alcuni punti fermi.

  • La Giunta Piasapia al suo insediamento ha trovato sul tavolo un Piano del Governo del Territorio figlio di una visione della città che non era certo la sua e l’ha dichiarato.
  • Pur avendo la possibilità di mandare a monte tutto per l’incompletezza delle procedure, il sindaco non l’ha fatto solo per allontanare da sé l’accusa di paralizzare ancora l’attività edilizia e immobiliare che già languiva drammaticamente da qualche anno per ragioni di mercato. Dunque il PGT è stato approvato “obtorto collo”solo accogliendo le osservazioni che ne attenuavano alcuni aspetti meno condivisibili.
  • Parallelamente al Piano di Governo del Territorio si muoveva la vicenda degli scali ferroviari e dell’Accordo di Programma sottostante il cui iter naufragava negli ultimi mesi di vita della Giunta Pisapia per il liquefarsi della maggioranza in Consiglio Comunale messa di fronte alla ratifica dell’accordo di programma: non vi era mai stata discussione.

Veniamo alla cronaca degli ultimi tempi.

L’assessore all’urbanistica Maran, rifacendosi a un’indicazione fornita dal sindaco Sala in campagna elettorale – e ribadita anche recentemente – ha rimesso in moto la vicenda “Accordo di Programma” commettendo alcuni passi falsi come il varo di una manifestazione in tandem con FS Sistemi Urbani con il chiaro obbiettivo di prefigurare una soluzione che nei fatti sarebbe fortemente gradita all’interlocutore ferroviario. Nelle more, tanto per far capire il garbo istituzionale, nell’aprile scorso Fs Sistemi Urbani ha depositato ed è pendente davanti al TAR un ricorso contro la mancata ratifica dell’Accordo di Programma nel 2015 da parte del Consiglio Comunale di Milano, fatto del quale i consiglieri comunali sembra non siano stati nemmeno informati. In ogni caso della anomalia di questa procedura ho già parlato.

Si pongono ora alcune questioni fondamentali e di principio.

  • L’adozione dello strumento “Accordo di Programma” è legittimo? Questa questione l’ho già sollevata e non mi voglio ripetere.
  • L’Accordo di Programma è l’unico strumento attraverso il quale un Comune può entrare nella disponibilità di beni immobili utili alla corretta gestione del suo territorio? Lo strumento principe è l’esproprio per pubblica utilità, strumento regolato dal D.P.R 327.2001 aggiornato un’ultima volta nel 2012 e che prevede tutte le fattispecie di cui abbiamo bisogno tra le quali anche l’esproprio nei confronti di beni posseduti da altre amministrazioni o enti. Perché non seguire questa via?
  • Se si vuol restare pervicacemente nell’ambito dell’accordo di programma bisogna comunque che Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A., Fs Sistemi urbani e RFI S.p.A. (rete ferroviaria) si dichiarino formalmente enti pubblici altrimenti debbono abbandonare il tavolo essendo l’accordo di programma riservato agli enti pubblici.
  • Se Fs Sistemi Urbani è un ente pubblico per affidare incarichi professionali deve ricorrere alle procedure del Codice degli appalti recentemente rinnovato. Niente Scali Milano Vision.

A questo punto si apre una questione di principio che Milano, l’unico Comune in grado di farlo per dimensioni, autorevolezza e lontananza fisica dal potere centrale può fare ed è di chiarire una volta per sempre il ruolo delle Ferrovie dello Stato S.p.A. in Italia: come figura giuridica, come gestore di un servizio di pubblica utilità, come percettore di denari pubblici.

La sua andata in Borsa, che sta tanto a cuore al suo Amministratore delegato Mazzoncini, da cui la fretta di concludere l’Accordo di Programma, configura una sua definitiva uscita dal pubblico e si apre l’interrogativo di come sia possibile far coincidere l’interesse degli azionisti privati – fare utili – con l’interesse della collettività che comunque dovrebbe prevalere. Certo meglio concludere l’Accordo di Programma prima di andare in borsa, farlo dopo sarebbe spudorato.

Il primo passo milanese è dunque imboccare la strada, tutta in salita, dell’esproprio per pubblica utilità con due obbiettivi: rintuzzare la voracità di Ferrovie dello Stato S.P.A. e, da parte del Comune, dotarsi nuovamente di un demanio pubblico di aree indispensabili al suo organico sviluppo, dopo anni di sciagurato depauperamento. Portato il fieno in cascina si discuta “senza condizionamenti” del futuro di queste aree in maniera seria, dopo aver valutato i futuri bisogni e lo si può fare in fretta. Il problema dell’indennizzo all’espropriato, pur con qualche incertezza, è regolato dalla legge. Usciremmo così dal torbido rapporto oggi previsto dall’accordo di programma, nato da un vizio di fondo: pensare di dover “pagare” in qualche modo quel che è già nostro.

Il sindaco Sala non pensi di chiudere la vicenda con l’annunciato dibattito, incredibilmente concentrato in tre giorni e le sue conclusioni tratte in un paio di mesi, tappando la bocca a chi non è d’accordo con l’accusa di “discussionismo” (?). Qui non si tratta di discutere di uno sciagurato Accordo di Programma, facendo in tre giorni quello che, come si continua a dire, ha richiesto nove (inutili e dannosi) anni di lavoro, ma di ridiscutere del destino di una città, del ruolo dei beni comuni e di nuova urbanistica non più affidata alle “emozioni” di qualche architetto. Quanto alla partecipazione, che non è “discussionismo”: perché contraddirsi platealmente e non dare attuazione alla delibera 1086 del 27/05/2016 sulle Linee guida sull’urbanistica partecipata?

Insistere col “basso continuo”dell’urgenza e del fare a prescindere può avere esiti pericolosi: la reazione dei cittadini, insofferenti a queste politiche, genera una spinta a ricorrere a quanto prevede lo Statuto comunale in materia di Interrogazioni popolari, istanze e petizioni (art. 9), Iniziative popolari (art.10) e Referendum popolari (art.11). Gli esiti dei referendum sono sempre incerti (o no), ma compattano una variegatissima opposizione. Vale la pena?

 

Luca Beltrami Gadola

 

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