14 dicembre 2016

EX SCALI FERROVIARI: UN MODELLO MILANO ANCHE PER LA PARTECIPAZIONE

Scegliere le parti in commedia guardando ai beni comuni


La democrazia è partecipazione cantava Gaber nella Milano ormai del secolo scorso. Oggi sappiamo bene che i tipi di partecipazione possono essere tanti e non sempre fanno bene alla democrazia. Gli esperti parlano di nozione-ombrello, buona per molte e differenti situazioni e troppe volte usata per riparare dal dissenso scelte calate dall’alto. Per Milano e per la più grande questione urbanistica in agenda, quella degli ex scali ferroviari, con la tre giorni del cantiere delle idee che parte il prossimo 15 dicembre si tratta di scongiurare il pericolo di un’operazione di facciata che non incida sulla sostanza delle scelte. Se si vuole realizzare un vero percorso di democrazia urbana e di amministrazione condivisa, questo evento non può esserne che l’inizio e non certo la conclusione.

03fantigrossi41fbCome è già stato sollecitato da più parti, da ultimo dalla Presidente dell’Ordine degli architetti, la prima questione da affrontare è quella della chiara definizione dei ruoli delle parti in causa. La quale, a sua volta, presuppone che sia messa in chiaro la natura delle aree di cui si tratta di definire il futuro utilizzo. Ferrovie dello Stato e la sua società immobiliare sono società in mano pubblica e hanno ricevuto questo patrimonio immobiliare in esito ad una operazione di sdemanializzazione, la quale però non ha certo cancellato la vocazione, naturale e storica, di questi beni a soddisfare le esigenze collettive.

In questo quadro ogni intento meramente speculativo, mirato cioè a massimizzare il ritorno economico delle operazioni, deve essere recessivo. Se cosi non fosse e Ferrovie volessero giocare nella sola veste del privato proprietario, non si giustificherebbe l’utilizzo condiviso di strumenti di pianificazione e la posizione di vantaggio che questo percorso privilegiato offre loro nei confronti della restante proprietà edilizia privata. In ogni caso il Comune non può rinunciare a indicare, con il supporto e tramite un percorso di partecipazione forte, gli obiettivi e le scelte strategiche che con il buon uso di queste aree si vogliono perseguire e raggiungere, oltre a fissare le priorità e i tempi.

In parte questo ruolo è stato svolto dal Consiglio Comunale con la delibera del 14 novembre scorso, ma i cui contenuti, seppure pregevoli, presentano un grado di genericità ancora troppo ampio e vanno certamente implementati con il supporto dei vari attori e per il tramite del nuovo percorso partecipativo. Rispetto a quella delibera il coinvolgimento di cinque team di architetti di fama internazionale, che opererebbero per tre mesi successivi ai tre giorni di workshop aperti al pubblico, ha suscitato, come era facile prevedere, le critiche dei settori più sensibili e attivi della società civile e delle professioni.

Questa presa di posizione ha fatto preoccupare qualche osservatore, di quelli sempre pronti a utilizzare lo spauracchio della paralisi e dei tempi lunghi ogni volta che si chiedono più trasparenza e più democrazia nei percorsi decisionali che coinvolgono interessi importanti. Adesso la palla è agli amministratori, i quali se vogliono essere all’altezza delle promesse elettorali e delle aspettative della città – e si può dire del paese visto il ruolo di Milano – devono reimpostare il percorso per articolarlo in modo più ampio, assicurando che le dinamiche del confronto siano adeguate alla complessità del tema e alla molteplicità delle forze e delle aspettative in campo. Vanno meglio soddisfatte le esigenze di terzietà e di condivisione delle informazioni e il tutto deve essere curato da una cabina di regia dotata di competenze multidisciplinari e di grande autorevolezza.

Umberto Fantigrossi

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