7 dicembre 2016
MILANO – ITALIA: LA QUESTIONE SCALI NON É LOCALE
Non negare il ruolo di “città innovatrice”
7 dicembre 2016
Non negare il ruolo di “città innovatrice”
Nel recente referendum, col manifestare una forte divergenza tra periferia e centro, Milano conferma la sua specificità ma anche il suo ruolo di città laboratorio politico. La vicenda degli scali ferroviari deve essere l’occasione non solo per confermare questo ruolo ma per consolidare la vocazione della città all’innovazione: innovazione nei rapporti tra la città e il Governo, innovazione nei rapporti politici locali, innovazione nel governo urbanistico milanese e metropolitano.
La vicenda “scali” è una matassa molto ingarbugliata che va dipanata facendo ordine tra gli attori in campo e i loro ruoli ma partendo da alcuni punti fermi.
Veniamo alla cronaca degli ultimi tempi.
L’assessore all’urbanistica Maran, rifacendosi a un’indicazione fornita dal sindaco Sala in campagna elettorale – e ribadita anche recentemente – ha rimesso in moto la vicenda “Accordo di Programma” commettendo alcuni passi falsi come il varo di una manifestazione in tandem con FS Sistemi Urbani con il chiaro obbiettivo di prefigurare una soluzione che nei fatti sarebbe fortemente gradita all’interlocutore ferroviario. Nelle more, tanto per far capire il garbo istituzionale, nell’aprile scorso Fs Sistemi Urbani ha depositato ed è pendente davanti al TAR un ricorso contro la mancata ratifica dell’Accordo di Programma nel 2015 da parte del Consiglio Comunale di Milano, fatto del quale i consiglieri comunali sembra non siano stati nemmeno informati. In ogni caso della anomalia di questa procedura ho già parlato.
Si pongono ora alcune questioni fondamentali e di principio.
A questo punto si apre una questione di principio che Milano, l’unico Comune in grado di farlo per dimensioni, autorevolezza e lontananza fisica dal potere centrale può fare ed è di chiarire una volta per sempre il ruolo delle Ferrovie dello Stato S.p.A. in Italia: come figura giuridica, come gestore di un servizio di pubblica utilità, come percettore di denari pubblici.
La sua andata in Borsa, che sta tanto a cuore al suo Amministratore delegato Mazzoncini, da cui la fretta di concludere l’Accordo di Programma, configura una sua definitiva uscita dal pubblico e si apre l’interrogativo di come sia possibile far coincidere l’interesse degli azionisti privati – fare utili – con l’interesse della collettività che comunque dovrebbe prevalere. Certo meglio concludere l’Accordo di Programma prima di andare in borsa, farlo dopo sarebbe spudorato.
Il primo passo milanese è dunque imboccare la strada, tutta in salita, dell’esproprio per pubblica utilità con due obbiettivi: rintuzzare la voracità di Ferrovie dello Stato S.P.A. e, da parte del Comune, dotarsi nuovamente di un demanio pubblico di aree indispensabili al suo organico sviluppo, dopo anni di sciagurato depauperamento. Portato il fieno in cascina si discuta “senza condizionamenti” del futuro di queste aree in maniera seria, dopo aver valutato i futuri bisogni e lo si può fare in fretta. Il problema dell’indennizzo all’espropriato, pur con qualche incertezza, è regolato dalla legge. Usciremmo così dal torbido rapporto oggi previsto dall’accordo di programma, nato da un vizio di fondo: pensare di dover “pagare” in qualche modo quel che è già nostro.
Il sindaco Sala non pensi di chiudere la vicenda con l’annunciato dibattito, incredibilmente concentrato in tre giorni e le sue conclusioni tratte in un paio di mesi, tappando la bocca a chi non è d’accordo con l’accusa di “discussionismo” (?). Qui non si tratta di discutere di uno sciagurato Accordo di Programma, facendo in tre giorni quello che, come si continua a dire, ha richiesto nove (inutili e dannosi) anni di lavoro, ma di ridiscutere del destino di una città, del ruolo dei beni comuni e di nuova urbanistica non più affidata alle “emozioni” di qualche architetto. Quanto alla partecipazione, che non è “discussionismo”: perché contraddirsi platealmente e non dare attuazione alla delibera 1086 del 27/05/2016 sulle Linee guida sull’urbanistica partecipata?
Insistere col “basso continuo”dell’urgenza e del fare a prescindere può avere esiti pericolosi: la reazione dei cittadini, insofferenti a queste politiche, genera una spinta a ricorrere a quanto prevede lo Statuto comunale in materia di Interrogazioni popolari, istanze e petizioni (art. 9), Iniziative popolari (art.10) e Referendum popolari (art.11). Gli esiti dei referendum sono sempre incerti (o no), ma compattano una variegatissima opposizione. Vale la pena?
Luca Beltrami Gadola
Segui il dibattito sugli scali ferroviari su ArcipelagoMilano