30 novembre 2016

LA CINCIALLEGRA SI POSA DI SCALO IN SCALO

Il progetto dei bisogni o il progetto dai bisogni?


Un gruppo di ecologi dell’Università di Exeter ha provato a verificare sul campo una delle tante curiose interazioni fra natura e città, quei curiosi e ancora in gran parte sconosciuti rapporti fra esseri umani, flora, fauna e cemento. L’ha fatto, monitorando colpo d’ala dopo colpo d’ala diverse centinaia di cinciallegre che si spostavano da una manciata di gustoso becchime all’altro, su davanzali e contenitori installati sopra gli alberi, e ricostruendo «L’influenza delle forme urbane nel movimento degli uccellini» (così suona, tradotto quasi alla lettera, il titolo della ricerca appena pubblicata su Scientific Reports).

05bottini39fbSecondo il quotidiano nazionalpopolare Daily Mail, che commenta la notizia, questa sarebbe l’ennesima sanzione accademica della superiorità morale e addirittura naturale, della casetta unifamiliare suburbana, rispetto agli odiati casermoni popolari. Come spesso accade, però, la realtà cambia secondo le prospettive di osservazione, e leggendo direttamente il breve saggio si capisce quanto alle cinciallegre non freghi assolutamente nulla, delle nostre umane polemiche su architettura e urbanistica, ma molto invece delle cosiddette «infrastrutture verdi». Perché, vuoi per caso, vuoi per scelta diciamo così «teorica», la vera differenza fra i due modelli di quartiere qui sta nelle alberature, sommate alla forma e dimensioni dei lotti: in un caso si garantisce continuità, nell’altro molto meno. Cosa possiamo imparare, da un piccolo esempio del genere?

Credo che, tutto sommato, gli uccellini che svolazzano da una manciata di becchime all’altra, esprimendo un’indicativa preferenza di mercato, possano essere l’ennesima conferma di quanto distanti, seppur complementari, possano essere i piani dell’approccio seriamente strategico, e l’altro, più visibile, minuto, variabile, del controllabile «progetto». Da un lato la detestata mini-villettopoli dei giardinetti spontanei improvvisati, dei piccoli lotti incastrati l’uno nell’altro, dall’altro volumi edificati e verde progettati secondo precisi criteri, più o meno corrispondenti a culture «di piano» novecentesche, tradotte in regole, tecniche, obiettivi.

Ma le cinciallegre (esattamente come gli abitanti delle casette con giardino) di quell’approccio non sanno che farsene, gli provoca disagio, e in definitiva dimostrano che qualcosa d’importante mancava davvero, anzi di essenziale: la geometria dei pieni e dei vuoti lasciava fuori la vita, lasciava fuori i comportamenti, i flussi, il collegamento diretto fra generale e particolare. Perché si era ribaltata la prospettiva, usando indebitamente un metodo induttivo: uno spazio ideale cui adattare poi i bisogni, anziché desumere da questi bisogni la qualità spaziale in grado di rispondere meglio.

Saltando da cinciallegra di palo in frasca, ma anche no, con gli scali ferroviari e il dibattito sul loro ruolo urbano (o addirittura metropolitano), pare si sia un pochino ricascati dentro un approccio simile: si vede tantissimo la «occasione di progetto» di quegli spazi così preziosi, dal punto di vista economico e sociale, teorizzando poi il loro ruolo nel quadro generale.

A che bisogni può rispondere il mio progetto, condizionato da tutta una serie di contingenze? Anziché: che bisogni esistono? Pensare, che la fede in una sorta di mano invisibile della divina provvidenza dovrebbe quantomeno vacillare, dopo la fine ingloriosa delle non-strategie ad assetto variabile di quel patchwork mega-progettuale che si chiamava Ricostruire la Grande Milano. Anche le forme degli spazi aperti, visto che le ipotesi in campo per il riuso degli scali enfatizzano tanto quell’aspetto, derivano o dovrebbero derivare da un obiettivo di carattere più generale individuato. Da dove nasce e dove sfocia quel fiume, usato come metafora di natura e di flusso insieme? Lo si dovrebbe sapere, prima di lanciarsi nei particolari, perché un bello slogan è ottima strategia di marketing, ma da lasciare a interessi particolari. Le strategie sociali, ambientali, politiche di un’amministrazione pubblica dovrebbero muovere da altre prospettive, e contenerli, quei progetti, invece di farsi contenere.

Fabrizio Bottini

Segui il dibattito sugli scali  ferroviari

 



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