27 luglio 2016

RIFORMA COSTITUZIONALE: LE RAGIONI DEL NO

Risposte sbagliate a problemi veri


La riforma del Senato muove a mio giudizio da un’idea giusta (differenziare composizione e compiti delle due Camere, in particolare facendo del Senato una Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali), ma dà una risposta sbagliata sulla composizione e in parte sulle funzioni del nuovo Senato. Quanto invece ai rapporti fra Stato e Regioni (il Titolo V) mi pare sbagliata la diagnosi degli inconvenienti cui si vorrebbe rimediare e ancor più sbagliato il rimedio proposto.

imageLa diagnosi erronea concerne le cause delle incertezze e del contenzioso costituzionale sui rapporti fra Stato e Regioni. Cause che non sono affatto da rinvenire nella scelta costituzionale del 2001 (ma già del 1948), di configurare nelle materie più rilevanti per l’interesse delle autonomie regionali – come il governo del territorio e i servizi alla persona – un sistema di competenze “concorrenti”, attribuendo allo Stato il compito di stabilire i principi fondamentali e alle Regioni quello di legiferare nell’ambito di questi. E’ vero invece che lo Stato, negli ultimi decenni, non è stato capace di legiferare “per principi”, preferendo intervenire anche nelle materie regionali con norme specifiche.

Ed è vero che la riforma del 2001 era incorsa in alcuni errori, come quello di attribuire alla competenza concorrente materie di chiaro interesse nazionale come “grandi reti di trasporto e di navigazione” o “trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, e per converso quello di riservare alla competenza esclusiva dello Stato la “tutela dell’ambiente”. Ma le cause principali dell’accresciuto contenzioso sono state piuttosto la difficoltà di definire i confini di materie identificate dalla Costituzione con formule verbali sintetiche, in assenza di una legislazione generale di attuazione del Titolo V (così che la riforma del 2001 è stata abbandonata a se stessa e all’opera della Corte costituzionale); nonché l’uso illimitatamente estensivo fatto dallo Stato delle proprie competenze esclusive nelle materie cosiddette “trasversali” (come la tutela della concorrenza), che consentono di interferire negli ambiti di pertinenza delle Regioni.

La riforma attuale, invece di limitarsi a correggere puntualmente gli errori di quella del 2001, si è tradotta in un completo rovesciamento di prospettiva e in un’operazione di ri-accentramento selvaggio. Soppresse del tutto le competenze concorrenti, quasi tutte le materie più rilevanti per le Regioni vengono trasferite alla competenza espressamente definita “esclusiva” dello Stato, sia pure introducendo l’ambigua formula per cui lo Stato detterebbe “disposizioni generali e comuni” in tali materie. Formula ambigua perché, a meno di sostenere che equivalga a quella di “principi fondamentali” (col che il dichiarato intento di sopprimere la competenza concorrente sarebbe pienamente contraddetto), essa in sostanza equivale a sancire che è lo Stato a decidere, in quelle materie, quali e quante disposizioni dettare nell’esercizio della propria competenza “esclusiva”, lasciando poi, se lo ritiene e del tutto discrezionalmente, alle Regioni la possibilità di dettare disposizioni ulteriori, non derogatorie (naturalmente, se lo spazio ulteriore sussiste).

Questo drastico accentramento delle competenze legislative si traduce altresì in un accentramento delle funzioni regolamentari e di quelle amministrative. Infatti la potestà regolamentare, che oggi nelle materie di competenza concorrente spetta alla Regione, nelle materie trasferite dalla riforma alla competenza esclusiva dello Stato spetterebbe invece allo Stato, salvo delega (libera) alle Regioni.
Quanto alla potestà amministrativa, formalmente non viene modificato l’impianto attuale, secondo cui essa spetta in linea di principio ai Comuni, “salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”. Ma conferite da chi? Evidentemente da chi può disporre in via legislativa. Il che significa che lo Stato, nelle materie che acquisterebbe alla propria competenza legislativa esclusiva, potrebbe anche disporre dell’attribuzione della potestà amministrativa, non solo a favore degli enti intermedi, ma anche a favore della propria amministrazione.

La scomparsa della menzione costituzionale delle Province, che dovrebbero essere sostituite da non meglio definiti “enti di area vasta” disciplinati in via generale dallo Stato e successivamente dalle Regioni (senza alcuna garanzia che si tratti di enti democratici elettivi) è un’altra innovazione assai discutibile. Se vi era un’operazione da fare era quella di razionalizzazione delle dimensioni provinciali (con soppressione di esse nelle Regioni più piccole, com’è già accaduto per la Valle d’Aosta): non quella di un’indiscriminata soppressione. Si sente qui l’eco del demagogico ritornello della “soppressine delle poltrone”: quasi che si potessero in via generale considerare come “enti inutili” enti territoriali rappresentativi della popolazione, e come poltrone da sopprimere le cariche elettive in tali enti.

Sappiamo bene che questo è il frutto del diffuso sentimento dell’antipolitica, ma che siano Governo e Parlamento a inseguirlo e coltivarlo non può non colpire negativamente. Il “contenimento del costo di funzionamento delle istituzioni” (assunto significativamente fin nel titolo della legge) non può essere l’obiettivo di una riforma della Costituzione, a meno di considerare come sprechi quelli che sono piuttosto i costi – da regolare opportunamente in sede di legislazione ordinaria – della democrazia rappresentativa.

Infine, non si può omettere di segnalare la scelta fatta dalla riforma a proposito delle Regioni a statuto speciale, cui la legge non si applicherebbe, fino alla revisione dei rispettivi statuti (approvati con legge costituzionale) sulla base di intese con le Regioni interessate: così approfondendo una differenza di disciplina che non si giustifica in base alle ragioni vere e ancora attuali della specialità.

Valerio Onida

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