30 novembre 2016

LEGGI MIGLIORI PERCHÈ PIÙ VELOCI

Una riflessione sul sì


Caro direttore, mi avevi chiesto domenica scorsa di scriverti qualcosa su un problema specifico, un problema che a tuo avviso può influenzare la decisione di molti sul quesito referendario: se – ammesso che l’esclusione del Senato dalla co-decisione sulla gran parte delle leggi provochi una maggiore speditezza del processo legislativo – questo aumento di velocità vada anche insieme con un miglioramento della qualità. Di leggi ne produciamo troppe e malfatte, rispetto a paesi con governi più autorevoli e pubbliche amministrazioni più efficienti: in questi paesi ciò che noi troppo spesso regoliamo mediante legge è regolato mediante decisioni amministrative e la legge è riservata a quelle disposizioni generali e astratte per le quali essa è indispensabile. Non ti nascondo che avrei voluto farti rispondere da un qualche collega giurista (amministrativista o costituzionalista) o politologo più competente di me in materia, ma non ne ho trovato nessuno disposto a sacrificare un pomeriggio di domenica per risponderti. Ti dico allora in breve l’opinione che mi son fatta in proposito.

02salvati39fbComincio con l’esprimere un dubbio su quanti faranno discendere il loro voto al referendum dall’opinione che si sono fatta su questa questione specifica: secondo me pochi, data la torsione politicistica che il referendum ha subito. Renzi ci ha messo del suo, ma sarebbe avvenuta lo stesso, perché l’occasione di sbarazzarsi di un politico inviso per i più diversi motivi era troppo ghiotta per farsela sfuggire. Questo detto, nel disegno della riforma – e ancor più nel famoso “combinato disposto” riforma costituzionale/legge elettorale – è chiara l’intenzione di avviarsi a una stagione di democrazia decidente, e dunque di un governo di legislatura con un progetto riformatore coerente e non contrattato con forze politiche eterogenee, come avviene di necessità in governi di coalizione.

Anche se la riforma resta nell’ambito di una forma di governo parlamentare, la stella polare del disegno renziano è sempre stata quella della riforma della legge elettorale comunale del ‘93, che attribuisce gran parte del potere di decisione ai sindaci e alle giunte da loro costituite e lo sottrae alle deliberazioni “legislative” dei consigli. Credo allora che la risposta alla tua domanda possa in parte discendere da un’analisi dettagliata di come questa innovazione abbia funzionato, tenendo conto della differenza tra un governo locale e un governo nazionale. Per quanto ne ho capito io, un netto miglioramento c’è stato.

Difficilmente, però, il disegno del “combinato disposto” potrà realizzarsi, per il timore di tutti di consegnare il paese in mano ai 5 Stelle. È invece probabile che, se non lo faranno prima i politici (cosa di cui dubito), sarà la Corte Costituzionale a eliminare la legge elettorale per la Camera dei deputati ora in vigore (quella col ballottaggio finale di lista) e indicare a quali principi attenersi nella riscrittura della nuova. Ed eventualmente, nel caso prevalesse il No, a come rendere compatibili le leggi della Camera e di un Senato che rimarrebbe in vita com’è ora.

Si andrebbe quasi sicuramente a leggi elettorali che, nell’attuale quadro politico, daranno luogo a governi di coalizione. In questo caso temo che continuerebbe l’ipertrofia di leggi di merito malfatte che abbiamo conosciuto sia nella seconda parte della Prima Repubblica, sia nei vent’anni di bipolarismo che a essa hanno fatto seguito. Solo governi forti, con un programma coerente, non soggetti a continue mediazioni tra forze politiche eterogenee, e che possono contare su tempi lunghi, sarebbero in grado di estirpare, lentamente, il vizio di legiferare troppo e male.

Resta la questione della riforma costituzionale, da considerarsi a prescindere dalla legge elettorale che l’accompagnerà: la legge attuale avrebbe esaltato l’efficacia decisionale del governo mentre leggi che rendono indispensabili coalizioni l’attenuano, ma una costituzione deve adattarsi a entrambe le circostanze. Come sai il mio giudizio sulla riforma è moderatamente positivo: a differenza di chi teme un’involuzione autoritaria io trovo che l’esigenza di far passare una proposta di riforma anzitutto nel Partito Democratico e poi una legge di riforma in questo parlamento abbiano prodotto una riforma utile ma timida. È utile aver limitato alla sola Camera la fiducia al governo; avere corretto, sulla scia delle sentenze della Corte, l’iper-regionalismo confuso dell’attuale Titolo V; avere frenato l’abuso dei decreti legge offrendo al governo tempi certi per le leggi che incorporano il suo indirizzo politico; e sono utili tante altre disposizioni che ora non posso elencare. Il tutto senza aver compromesso, anzi avendo rafforzato, l’attuale sistema di garanzie.

Ma il timore che il complesso del tiranno rendesse impossibile ogni deliberazione razionale ha impedito di rafforzare in modo significativo il potere del Presidente del Consiglio in Parlamento, come invece sarebbe avvenuto se si fosse introdotto l’obbligo della sfiducia costruttiva e soprattutto la possibilità di sciogliere il Parlamento in caso della mancata concessione della fiducia richiesta dal governo. Sono norme che esistono in due democrazie esemplari – tedesca e spagnola – e anche la riforma costituzionale di Berlusconi, nel 2006, le prevedeva. E proprio questo credo sia stato uno dei motivi che hanno indotto a non includerle nel testo della riforma: immagina le reazioni! Ora che il rafforzamento e la coerenza del governo non è più ottenibile mediante la legge elettorale, temo che ne sentiremo la mancanza. Un caro saluto e complimenti per ArcipelagoMilano.

Michele Salvati

 

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